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Ordine
Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo
Gran Priorato
d'Italia |
Concilio
Vaticano
II°
PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
DECRETO SULL’ECUMENISMO
UNITATIS REDINTEGRATIO
PROEMIO
1. Promuovere il ristabilimento dell'unità fra
tutti i cristiani è uno dei principali intenti del
sacro Concilio ecumenico Vaticano II. Da Cristo
Signore la Chiesa è stata fondata una e unica,
eppure molte comunioni cristiane propongono se
stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù
Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli
del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano
per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso
(1). Tale divisione non solo si oppone apertamente
alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al
mondo e danneggia la più santa delle cause: la
predicazione del Vangelo ad ogni creatura.
Ora, il Signore dei secoli, il quale con sapienza
e pazienza persegue il disegno della sua grazia
verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha
incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei
cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento
e il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in
ogni dove sono stati toccati da questa grazia, e tra
i nostri fratelli separati è sorto anche per grazia
dello Spirito Santo un movimento che si allarga di
giorno in giorno per il ristabilimento dell'unità di
tutti i cristiani. A questo movimento per l'unità,
che è chiamato nuovamente ecumenico, partecipano
quelli che invocano la Trinità e confessano Gesù
come Signore e Salvatore, e non solo presi a uno a
uno, ma anche riuniti in comunità, nelle quali hanno
ascoltato il Vangelo e che essi chiamano la Chiesa
loro e la Chiesa di Dio. Quasi tutti però, anche se
in modo diverso, aspirano a una Chiesa di Dio una e
visibile, che sia veramente universale e mandata al
mondo intero, perché questo si converta al Vangelo e
così si salvi per la gloria di Dio.
Perciò questo sacro Concilio, considerando con
gioia tutti questi fatti, dopo avere già esposta la
dottrina sulla Chiesa, mosso dal desiderio di
ristabilire l'unità fra tutti i discepoli di Cristo,
intende ora proporre a tutti i cattolici gli aiuti,
gli orientamenti, e i modi, con i quali possano essi
stessi rispondere a questa vocazione e a questa
grazia divina.
CAPITOLO IPRINCIPI CATTOLICI
SULL'ECUMENISMO
Unità e unicità della Chiesa
2. In questo si è mostrato l'amore di Dio per
noi, che l'unigenito Figlio di Dio è stato mandato
dal Padre nel mondo affinché, fatto uomo, con la
redenzione rigenerasse il genere umano e lo
radunasse in unità (2). Ed egli, prima di offrirsi
vittima immacolata sull'altare della croce, pregò il
Padre per i credenti, dicendo: « che tutti siano una
sola cosa, come tu, o Padre, sei in me ed io in te;
anch'essi siano uno in noi, cosicché il mondo creda
che tu mi hai mandato » (Gv 17,21), e istituì
nella sua Chiesa il mirabile sacramento
dell'eucaristia, dal quale l'unità della Chiesa è
significata ed attuata. Diede ai suoi discepoli il
nuovo comandamento del mutuo amore (3) e promise lo
Spirito consolatore (4), il quale restasse con loro
per sempre, Signore e vivificatore.
Innalzato poi sulla croce e glorificato, il
Signore Gesù effuse lo Spirito promesso, per mezzo
del quale chiamò e riunì nell'unità della fede,
della speranza e della carità il popolo della Nuova
Alleanza, che è la Chiesa, come insegna l'Apostolo:
« Un solo corpo e un solo Spirito, come anche con la
vostra vocazione siete stati chiamati a una sola
speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo
battesimo » (Ef 4,4-5). Poiché « quanti siete
stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di
Cristo... Tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal
3,27-28). Lo Spirito Santo che abita nei
credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce
questa meravigliosa comunione dei fedeli e li unisce
tutti così intimamente in Cristo, da essere il
principio dell'unità della Chiesa. Egli realizza la
diversità di grazie e di ministeri (5), e
arricchisce di funzioni diverse la Chiesa di Gesù
Cristo « per rendere atti i santi a compiere il loro
ministero, affinché sia edificato il corpo di
Cristo» (Ef 4,12).
Per stabilire dovunque fino alla fine dei secoli
questa sua Chiesa santa, Cristo affidò al collegio
dei dodici l'ufficio di insegnare, governare e
santificare (6). Tra di loro scelse Pietro, sopra il
quale, dopo la sua confessione di fede, decise di
edificare la sua Chiesa; a lui promise le chiavi del
regno dei cieli (7) e, dopo la sua professione di
amore, affidò tutte le sue pecore perché le
confermasse nella fede (8) e le pascesse in perfetta
unità (9), mentre egli rimaneva la pietra angolare
(10) e il pastore delle anime nostre in eterno (11).
Gesù Cristo vuole che il suo popolo, per mezzo
della fedele predicazione del Vangelo,
dell'amministrazione dei sacramenti e del governo
amorevole da parte degli apostoli e dei loro
successori, cioè i vescovi con a capo il successore
di Pietro, sotto l'azione dello Spirito Santo,
cresca e perfezioni la sua comunione nell'unità:
nella confessione di una sola fede, nella comune
celebrazione del culto divino e nella fraterna
concordia della famiglia di Dio. Così la Chiesa,
unico gregge di Dio, quale segno elevato alla vista
delle nazioni (12), mettendo a servizio di tutto il
genere umano il Vangelo della pace (13), compie
nella speranza il suo pellegrinaggio verso la meta
che è la patria celeste (14).
Questo è il sacro mistero dell'unità della
Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo
Spirito Santo opera la varietà dei ministeri. Il
supremo modello e principio di questo mistero è
l'unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio
Padre e Figlio nello Spirito Santo.
Relazioni dei fratelli separati con la
Chiesa cattolica
3. In questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte
fino dai primissimi tempi alcune scissioni (15),
condannate con gravi parole dall'Apostolo (16) ma
nei secoli posteriori sono nate dissensioni più
ampie, e comunità considerevoli si staccarono dalla
piena comunione della Chiesa cattolica, talora per
colpa di uomini di entrambe le parti. Quelli poi che
ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in
tali comunità, non possono essere accusati di
peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li
circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro
infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto
validamente il battesimo, sono costituiti in una
certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa
cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari
modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia
nel campo della dottrina e talora anche della
disciplina, sia circa la struttura della Chiesa,
costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta
gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al
superamento di essi tende appunto il movimento
ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo
dalla fede, sono incorporati a Cristo (17) e perciò
sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e
dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente
riconosciuti quali fratelli nel Signore (18).
Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso
dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata,
alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono
trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa
cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della
grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri
doni interiori dello Spirito Santo ed elementi
visibili. Tutte queste cose, le quali provengono da
Cristo e a lui conducono, appartengono a buon
diritto all'unica Chiesa di Cristo.
Anche non poche azioni sacre della religione
cristiana vengono compiute dai fratelli da noi
separati, e queste in vari modi, secondo la diversa
condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono
senza dubbio produrre realmente la vita della
grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla
comunione della salvezza.
Perciò queste Chiese (19) e comunità separate,
quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel
mistero della salvezza non son affatto spoglie di
significato e di valore. Lo Spirito di Cristo
infatti non ricusa di servirsi di esse come di
strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla
stessa pienezza della grazia e della verità, che è
stata affidata alla Chiesa cattolica.
Tuttavia i fratelli da noi separati, sia essi
individualmente, sia le loro comunità e Chiese, non
godono di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto
elargire a tutti quelli che ha rigenerato e
vivificato insieme per formare un solo corpo in
vista di una vita nuova, unità attestata dalle sacre
Scritture e dalla veneranda tradizione della Chiesa.
Infatti solo per mezzo della cattolica Chiesa di
Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si
può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di
salvezza. In realtà noi crediamo che al solo
Collegio apostolico con a capo Pietro il Signore ha
affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al
fine di costituire l'unico corpo di Cristo sulla
terra, al quale bisogna che siano pienamente
incorporati tutti quelli che già in qualche modo
appartengono al popolo di Dio. Il quale popolo,
quantunque rimanga esposto al peccato nei suoi
membri finché dura la sua terrestre peregrinazione,
cresce tuttavia in Cristo ed è soavemente condotto
da Dio secondo i suoi arcani disegni, fino a che
raggiunga gioioso tutta la pienezza della gloria
eterna nella celeste Gerusalemme.
L'ecumenismo
4. Siccome oggi, sotto il soffio della grazia
dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la
preghiera, la parola e l'azione si fanno molti
sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità
che Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta
tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i
segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera
ecumenica.
Per « movimento ecumenico » si intendono le
attività e le iniziative suscitate e ordinate a
promuovere l'unità dei cristiani, secondo le varie
necessità della Chiesa e secondo le circostanze.
Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare
parole, giudizi e opere che non rispecchiano con
giustizia e verità la condizione dei fratelli
separati e perciò rendono più difficili le mutue
relazioni con essi. Poi, in riunioni che si tengono
con intento e spirito religioso tra cristiani di
diverse Chiese o comunità, il « dialogo » condotto
da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno
espone più a fondo la dottrina della propria
comunione e ne presenta con chiarezza le
caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti
acquistano una conoscenza più vera e una stima più
giusta della dottrina e della vita di ogni
comunione. Inoltre quelle comunioni vengono a
collaborare più largamente in qualsiasi dovere
richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene
comune, e possono anche, all'occasione, riunirsi per
pregare insieme. Infine, tutti esaminano la loro
fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e,
com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di
rinnovamento e di riforma.
Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza
sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica
sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a
promuovere la giustizia e la verità, la concordia e
la collaborazione, la carità fraterna e l'unione.
Per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli
frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti
i cristiani, nell'unica celebrazione
dell'eucaristia, si troveranno riuniti in quella
unità dell'unica Chiesa che Cristo fin dall'inizio
donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere,
senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa
cattolica, e speriamo che crescerà ogni giorno più
fino alla fine dei secoli.
È chiaro che l'opera di preparazione e di
riconciliazione delle singole persone che desiderano
la piena comunione cattolica, si distingue, per sua
natura, dall'iniziativa ecumenica; non c'è però tra
esse alcuna opposizione, poiché l'una e l'altra
procedono dalla mirabile disposizione di Dio.
I fedeli cattolici nell'azione ecumenica si
mostreranno senza esitazione pieni di sollecitudine
per i loro fratelli separati, pregando per loro,
parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i
primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono
essi stessi con sincerità e diligenza considerare
ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella
stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita
renda una testimonianza più fedele e più chiara
della dottrina e delle istituzioni tramandate da
Cristo per mezzo degli apostoli.
Infatti, benché la Chiesa cattolica sia stata
arricchita di tutta la verità rivelata da Dio e di
tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri
non se ne servono per vivere con tutto il dovuto
fervore. Ne risulta che il volto della Chiesa
rifulge meno davanti ai fratelli da noi separati e
al mondo intero, e la crescita del regno di Dio ne è
ritardata. Perciò tutti i cattolici devono tendere
alla perfezione cristiana (20) e sforzarsi, ognuno
secondo la sua condizione, perché la Chiesa,
portando nel suo corpo l'umiltà e la mortificazione
di Gesù (21), vada di giorno in giorno purificandosi
e rinnovandosi, fino a che Cristo se la faccia
comparire innanzi risplendente di gloria, senza
macchia né ruga (22).
Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato
ad ognuno sia nelle varie forme della vita
spirituale e della disciplina, sia nella diversità
dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione
teologica della verità rivelata, pur custodendo
l'unità nelle cose necessarie, serbino la debita
libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità.
Poiché agendo così manifesteranno ogni giorno meglio
la vera cattolicità e insieme l'apostolicità della
Chiesa.
D'altra parte è necessario che i cattolici con
gioia riconoscano e stimino i valori veramente
cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si
trovano presso i fratelli da noi separati.
Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere
virtuose nella vita degli altri, i quali rendono
testimonianza a Cristo talora sino all'effusione del
sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è
sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue
opere.
Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia
dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli
separati, può pure contribuire alla nostra
edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano,
non è mai contrario ai beni della fede ad esso
collegati, anzi può sempre far sì che lo stesso
mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più
perfettamente.
Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono
che la Chiesa realizzi la pienezza della cattolicità
a lei propria in quei figli che le sono certo uniti
col battesimo, ma sono separati dalla sua piena
comunione. Inoltre le diventa più difficile
esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della
cattolicità nella realtà della vita.
Questo santo Concilio costata con gioia che la
partecipazione dei fedeli all'azione ecumenica
cresce ogni giorno, e la raccomanda ai vescovi
d'ogni parte della terra, perché sia promossa
solertemente e sia da loro diretta con prudenza.
CAPITOLO IIESERCIZIO
DELL'ECUMENISMO
L'unione deve interessare a tutti
5. La cura di ristabilire l'unione riguarda tutta
la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca
ognuno secondo le proprie possibilità, tanto nella
vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi
teologici e storici. Tale cura manifesta già in
qualche modo il legame fraterno che esiste fra tutti
i cristiani e conduce alla piena e perfetta unità,
conforme al disegno della bontà di Dio.
La riforma della Chiesa
6. Siccome ogni rinnovamento della Chiesa (23) I
consiste essenzialmente in una fedeltà più grande
alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione
del movimento verso l'unità. La Chiesa peregrinante
è chiamata da Cristo a questa continua riforma di
cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha
sempre bisogno. Se dunque alcune cose, sia nei
costumi che nella disciplina ecclesiastica ed anche
nel modo di enunziare la dottrina - che bisogna
distinguere con cura dal deposito vero e proprio
della fede--sono state osservate meno accuratamente,
a seguito delle circostanze, siano opportunamente
rimesse nel giusto e debito ordine. Questo
rinnovamento ha quindi una importanza ecumenica
singolare. I vari modi poi attraverso i quali tale
rinnovazione della vita della Chiesa già è in atto -
come sono il movimento biblico e liturgico, la
predicazione della parola di Dio e la catechesi,
l'apostolato dei laici, le nuove forme di vita
religiosa, la spiritualità del matrimonio, la
dottrina e l'attività della Chiesa in campo
sociale--vanno considerati come garanzie e auspici
che felicemente preannunziano i futuri progressi
dell'ecumenismo.
La conversione del cuore
7. Non esiste un vero ecumenismo senza interiore
conversione. Infatti il desiderio dell'unità nasce e
matura dal rinnovamento dell'animo (24),
dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio
della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo
Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione,
dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della
fraterna generosità di animo verso gli altri. « Vi
scongiuro dunque - dice l'Apostolo delle genti - io,
che sono incatenato nel Signore, di camminare in
modo degno della vocazione a cui siete stati
chiamati, con ogni umiltà e dolcezza, con
longanimità, sopportandovi l'un l'altro con amore,
attenti a conservare l'unità dello spirito mediante
il vincolo della pace» (Ef 4,1-3). Questa
esortazione riguarda soprattutto quelli che sono
stati innalzati al sacro ordine per continuare la
missione di Cristo, il quale « non è venuto tra di
noi per essere servito, ma per servire » (Mt
20,28).
Anche delle colpe contro l'unità vale la
testimonianza di san Giovanni: « Se diciamo di non
aver peccato, noi facciamo di Dio un mentitore, e la
sua parola non è in noi» (1 Gv 1,10). Perciò
con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai
fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai
nostri debitori.
Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio
promuoveranno, anzi vivranno in pratica l'unione dei
cristiani, quanto più si studieranno di condurre una
vita più conforme al Vangelo. Quanto infatti più
stretta sarà la loro comunione col Padre, col Verbo
e con lo Spirito Santo, tanto più intima e facile
potranno rendere la fraternità reciproca.
L'unione nella preghiera
8. Questa conversione del cuore e questa santità
di vita, insieme con le preghiere private e
pubbliche per l'unità dei cristiani, devono essere
considerate come l'anima di tutto il movimento
ecumenico e si possono giustamente chiamare
ecumenismo spirituale.
È infatti consuetudine per i cattolici di
recitare insieme la preghiera per l'unità della
Chiesa, con la quale ardentemente alla vigilia della
sua morte lo stesso Salvatore pregò il Padre: « che
tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).
In alcune speciali circostanze, come sono le
preghiere che vengono indette « per l'unità » e
nelle riunioni ecumeniche, è lecito, anzi
desiderabile, che i cattolici si associno nella
preghiera con i fratelli separati. Queste preghiere
in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace
per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono
una manifestazione autentica dei vincoli con i quali
i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati:
« Poiché dove sono due o tre adunati nel nome mio,
ci sono io in mezzo a loro » (Mt 18,20).
Tuttavia, non è permesso considerare la «
communicatio in sacris » come un mezzo da usarsi
indiscriminatamente per il ristabilimento dell'unità
dei cristiani. Questa « communicatio » è regolata
soprattutto da due principi: esprimere l'unità della
Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia. Essa
è, per lo più, impedita dal punto di vista
dell'espressione dell'unità; la necessità di
partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa
il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le
circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida
prudentemente l'autorità episcopale del luogo, a
meno che non sia altrimenti stabilito dalla
conferenza episcopale a norma dei propri statuti, o
dalla santa Sede.
La reciproca conoscenza
9. Bisogna conoscere l'animo dei fratelli
separati. A questo scopo è necessario lo studio, e
bisogna condurlo con lealtà e benevolenza. I
cattolici debitamente preparati devono acquistare
una migliore conoscenza della dottrina e della
storia, della vita spirituale e liturgica, della
psicologia religiosa e della cultura propria dei
fratelli. A questo scopo molto giovano le riunioni
miste, con la partecipazione di entrambe le parti,
per dibattere specialmente questioni teologiche,
dove ognuno tratti da pari a pari, a condizione che
quelli che vi partecipano, sotto la vigilanza dei
vescovi, siano veramente competenti. Da questo
dialogo apparirà più chiaramente anche la vera
posizione della Chiesa cattolica. In questo modo si
verrà a conoscere meglio il pensiero dei fratelli
separati e a loro verrà esposta con maggiore
precisione la nostra fede.
La formazione ecumenica
10. L'insegnamento della sacra teologia e delle
altre discipline, specialmente storiche, deve essere
impartito anche sotto l'aspetto ecumenico, perché
abbia sempre meglio a corrispondere alla verità dei
fatti. È molto importante che i futuri pastori e i
sacerdoti conoscano bene la teologia accuratamente
elaborata in questo modo, e non in maniera polemica,
soprattutto per quanto riguarda le relazioni dei
fratelli separati con la Chiesa cattolica. È infatti
dalla formazione dei sacerdoti che dipende
soprattutto l'istituzione e la formazione spirituale
dei fedeli e dei religiosi. Anche i cattolici che
attendono alle opere missionarie in terre in cui
lavorano altri cristiani devono conoscere,
specialmente oggi, le questioni e i frutti che nel
loro apostolato nascono dall'ecumenismo.
Modi di esprimere e di esporre la dottrina
della fede
11. Il modo e il metodo di enunziare la fede
cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo
al dialogo con i fratelli. Bisogna assolutamente
esporre con chiarezza tutta intera la dottrina.
Niente è più alieno dall'ecumenismo che quel falso
irenismo, che altera la purezza della dottrina
cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso.
Allo stesso tempo la fede cattolica va spiegata
con maggior profondità ed esattezza, con un modo di
esposizione e un linguaggio che possano essere
compresi anche dai fratelli separati. Inoltre nel
dialogo ecumenico i teologi cattolici, fedeli alla
dottrina della Chiesa, nell'investigare con i
fratelli separati i divini misteri devono procedere
con amore della verità, con carità e umiltà. Nel
mettere a confronto le dottrine si ricordino che
esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della
dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto
differente col fondamento della fede cristiana. Così
si preparerà la via nella quale, per mezzo di questa
fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una
più profonda cognizione e più chiara manifestazione
delle insondabili ricchezze di Cristo (25).
La cooperazione con i fratelli separati
12. Tutti i cristiani professino davanti a tutti
i popoli la fede in Dio uno e trino, nel Figlio di
Dio incarnato, Redentore e Signore nostro, e con
comune sforzo nella mutua stima rendano
testimonianza della speranza nostra, che non
inganna. Siccome in questi tempi si stabilisce su
vasta scala la cooperazione nel campo sociale, tutti
gli uomini sono chiamati a questa comune opera, ma a
maggior ragione quelli che credono in Dio e, in
primissimo luogo, tutti i cristiani, a causa del
nome di Cristo di cui sono insigniti. La
cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente
l'unione già esistente tra di loro, e pone in più
piena luce il volto di Cristo servo. Questa
cooperazione, già attuata in non poche nazioni, va
ogni giorno più perfezionata-- specialmente nelle
nazioni dove è in atto una evoluzione sociale o
tecnica--sia facendo stimare rettamente la dignità
della persona umana, sia lavorando a promuovere il
bene della pace, sia applicando socialmente il
Vangelo, sia facendo progredire con spirito
cristiano le scienze e le arti, come pure usando
rimedi d'ogni genere per venire incontro alle
miserie de. nostro tempo, quali sono la fame e le
calamità, l'analfabetismo e l'indigenza, la mancanza
di abitazioni e l'ineguale distribuzione della
ricchezza. Da questa cooperazione i credenti in
Cristo possono facilmente imparare come ci si possa
meglio conoscere e maggiormente stimare gli uni e
gli altri, e come si appiani la via verso l'unità
dei cristiani.
CAPITOLO IIICHIESE E COMUNITÀ
ECCLESIALI SEPARATE DALLA SEDE APOSTOLICA ROMANA
Le varie divisioni
13. Noi rivolgiamo ora il nostro pensiero alle
due principali categorie di scissioni che hanno
intaccato l'inconsutile tunica di Cristo.
Le prime di esse avvennero in Oriente, sia per la
contestazione delle forme dogmatiche dei Concili di
Efeso e di Calcedonia, sia, più tardi, per la
rottura della comunione ecclesiastica tra i
patriarchi orientali e la sede romana.
Le altre sono sorte, dopo più di quattro secoli,
in Occidente, a causa di quegli eventi che
comunemente sono conosciuti con il nome di Riforma.
Da allora parecchie Comunioni sia nazionali che
confessionali, si separarono dalla Sede romana. Tra
quelle nelle quali continuano a sussistere in parte
le tradizioni e le strutture cattoliche, occupa un
posto speciale la Comunione anglicana. Tuttavia
queste varie divisioni differiscono molto tra di
loro non solo per ragione dell'origine, del luogo e
del tempo, ma soprattutto per la natura e gravità
delle questioni spettanti la fede e la struttura
ecclesiastica. Perciò questo santo Concilio, il
quale né misconosce le diverse condizioni delle
diverse Comunioni cristiane, né trascura i legami
ancora esistenti tra loro nonostante la divisione,
per una prudente azione ecumenica decide di proporre
le seguenti considerazioni.
I. Speciale considerazione delle Chiese
orientali
Carattere e storia propria degli orientali
14. Le Chiese d'Oriente e d'Occidente hanno
seguito per molti secoli una propria via, unite però
dalla fraterna comunione nella fede e nella vita
sacramentale, sotto la direzione della Sede romana
di comune consenso accettata, qualora fra loro
fossero sorti dissensi circa la fede o la
disciplina. È cosa gradita per il sacro Concilio
richiamare alla mente di tutti, tra le altre cose di
grande importanza, che in Oriente prosperano molte
Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il
primo posto le Chiese patriarcali, e come non poche
di queste si gloriano d'essere state fondate dagli
stessi apostoli. Perciò presso gli orientali grande
fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di
conservare, in una comunione di fede e di carità,
quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle,
devono esistere tra le Chiese locali.
Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese
d'Oriente hanno fin dall'origine un tesoro dal quale
la Chiesa d'Occidente ha attinto molti elementi nel
campo della liturgia, della tradizione spirituale e
dell'ordine giuridico. Né si deve sottovalutare il
fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana
sulla Trinità e sul Verbo di Dio incarnato da Maria
vergine, sono stati definiti in Concili ecumenici
celebrati in Oriente e come, per conservare questa
fede, quelle Chiese hanno molto sofferto e soffrono
ancora. L'eredità tramandata dagli apostoli è stata
accettata in forme e modi diversi e, fin dai
primordi stessi della Chiesa, qua e là variamente
sviluppata, anche per le diversità di carattere e di
condizioni di vita. Tutte queste cose, oltre alle
cause esterne e anche per mancanza di mutua
comprensione e carità, diedero ansa alle
separazioni.
Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma
specialmente quelli che intendono lavorare al
ristabilimento della desiderata piena comunione tra
le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, a tenere
in debita considerazione questa speciale condizione
della nascita e della crescita delle Chiese
d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra
esse e la Sede di Roma prima della separazione, e a
formarsi un equo giudizio su tutte queste cose.
Questa regola, ben osservata, contribuirà moltissimo
al dialogo che si vuole stabilire.
Tradizione liturgica e spirituale degli
orientali
15. È pure noto a tutti con quanto amore i
cristiani d'Oriente celebrino la sacra liturgia,
specialmente quella eucaristica, fonte della vita
della Chiesa e pegno della gloria futura; in essa i
fedeli, uniti al vescovo, hanno accesso a Dio Padre
per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e
glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed
entrano in comunione con la santissima Trinità,
fatti «partecipi della natura divina » (2 Pt
1,4). Perciò con la celebrazione dell'eucaristia del
Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è
edificata e cresce (26), e con la concelebrazione si
manifesta la comunione tra di esse.
In questo culto liturgico gli orientali
magnificano con splendidi inni Maria sempre vergine,
solennemente proclamata santissima madre di Dio dal
Concilio ecumenico Efesino, perché Cristo conforme
alla sacra Scrittura fosse riconosciuto, in senso
vero e proprio, Figlio di Dio e figlio dell'uomo;
similmente tributano grandi omaggi a molti santi,
fra i quali vi sono Padri della Chiesa universale.
Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate,
hanno veri sacramenti - e soprattutto, in virtù
della successione apostolica, il sacerdozio e
l'eucaristia - che li uniscono ancora a noi con
strettissimi vincoli, una certa « communicatio in
sacris », presentandosi opportune circostanze e con
l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo
è possibile, ma anche consigliabile.
In Oriente si trovano pure le ricchezze di quelle
tradizioni spirituali che sono espresse specialmente
dal monachismo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi
dei santi Padri fiorì quella spiritualità monastica
che si estese poi all'Occidente, e dalla quale, come
da sua fonte, trasse origine la regola monastica dei
latini e in seguito ricevette di tanto in tanto
nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i
cattolici con maggior frequenza accedano a queste
ricchezze de Padri orientali, che elevano tutto
l'uomo alla contemplazione delle cose divine.
Tutti sappiano che il conoscere, venerare,
conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio
liturgico e spirituale degli orientali è di somma
importanza per la fedele custodia dell'integra
tradizione cristiana per la riconciliazione dei
cristiani d'Oriente e d'occidente.
Disciplina degli orientali
16. Inoltre fin dai primi tempi le Chiese
d'Oriente seguivano discipline proprie, sancite dai
santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. Una
certa diversità di usi e consuetudini, come abbiamo
sopra ricordato, non si oppone minimamente all'unità
della Chiesa, anzi ne accresce la bellezza e
costituisce un aiuto prezioso al compimento della
sua missione perciò il sacro Concilio, onde togliere
ogni dubbio dichiara che le Chiese d'Oriente, memori
della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno
potestà di regolarsi secondo le proprie discipline,
come più consone al carattere dei loro fedeli e più
adatte a pro muovere il bene delle anime. La
perfetta osservanza di questo principio
tradizionale, invero non sempre rispettata,
appartiene a quelle cose che sono assolutamente
richieste come previa condizione al ristabilimento
dell'unità.
Carattere proprio degli orientali
nell'esporre i misteri
17. Ciò che sopra è stato detto circa la
legittima diversità deve essere applicato anche alla
diversa enunziazione delle dottrine teologiche.
Effettivamente nell'indagare la verità rivelata in
Oriente e in Occidente furono usati metodi e cammini
diversi per giungere alla conoscenza e alla
confessione delle cose divine. Non fa quindi
meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato
siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti
in miglior luce dall'uno che non dall'altro,
cosicché si può dire che quelle varie formule
teologiche non di rado si completino, piuttosto che
opporsi. Per ciò che riguarda le tradizioni
teologiche autentiche degli orientali, bisogna
riconoscere che esse sono eccellentemente radicate
nella sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse
dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva
tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e
dagli scrittori ascetici orientali, e tendono a una
retta impostazione della vita, anzi alla piena
contemplazione della verità cristiana.
Questo sacro Concilio, ringraziando Dio che molti
orientali figli della Chiesa cattolica, i quali
custodiscono questo patrimonio e desiderano viverlo
con maggior purezza e pienezza, vivano già in piena
comunione con i fratelli che seguono la tradizione
occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio
spirituale e liturgico, disciplinare e teologico,
nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena
cattolicità e apostolicità della Chiesa.
Conclusione
18. Considerate bene tutte queste cose, questo
sacro Concilio inculca di nuovo ciò che è stato
dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai romani
Pontefici, che cioè, per ristabilire o conservare la
comunione e l'unità bisogna « non imporre altro peso
fuorché le cose necessarie » (At 15,28). Desidera
pure ardentemente che d'ora in poi, nelle varie
istituzioni e forme della vita della Chiesa, tutti
gli sforzi tendano passo passo al conseguimento di
essa, specialmente con la preghiera e il dialogo
fraterno circa la dottrina e le più urgenti
necessità pastorali del nostro tempo. Raccomanda
parimenti ai pastori e ai fedeli della Chiesa
cattolica di stabilire delle relazioni con quelli
che non vivono più in Oriente, ma lontani dalla
patria. Così crescerà la fraterna collaborazione con
loro in spirito di carità, bandendo ogni sentimento
di litigiosa rivalità. Se questa opera sarà promossa
con tutto l'animo, il sacro Concilio spera che,
tolta la parete che divide la Chiesa occidentale
dall'orientale, si avrà finalmente una sola dimora
solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo
Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola (27).
II. Chiese e Comunità ecclesiali separate in
Occidente
Condizione di queste comunità
19. Le Chiese e Comunità ecclesiali che, o in
quel gravissimo sconvolgimento incominciato in
Occidente già alla fine del medioevo, o in tempi
posteriori si sono separate dalla Sede apostolica
romana sono unite alla Chiesa cattolica da una
speciale affinità e stretta relazione, dovute al
lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei
secoli passati trascorse nella comunione
ecclesiastica.
Ma siccome queste Chiese e Comunità ecclesiali
per la loro diversità di origine, di dottrina e di
vita spirituale, differiscono non poco anche tra di
loro, e non solo da noi, è assai difficile
descriverle con precisione, e noi non abbiamo qui
l'intenzione di farlo.
Sebbene il movimento ecumenico e il desiderio di
pace con la Chiesa cattolica non sia ancora invalso
dovunque, nutriamo speranza che a poco a poco cresca
in tutti il sentimento ecumenico e la mutua stima.
Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese e
Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti
divergenze, non solo di carattere storico,
sociologico, psicologico e culturale, ma soprattutto
nell'interpretazione della verità rivelata. Per
poter più facilmente, nonostante queste differenze,
riprendere il dialogo ecumenico, vogliamo qui
mettere in risalto alcuni elementi, che possono e
devono essere la base e il punto di partenza di
questo dialogo.
La fede in Cristo
20. Il nostro pensiero si rivolge prima di tutto
a quei cristiani che apertamente confessano Gesù
Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio
e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e
Figlio e Spirito Santo. Sappiamo che vi sono invero
non lievi discordanze dalla dottrina della Chiesa
cattolica anche intorno a Cristo Verbo di Dio
incarnato e all'opera della redenzione, e perciò
intorno al mistero e al ministero della Chiesa e
alla funzione di Maria nell'opera della salvezza. Ci
rallegriamo tuttavia vedendo i fratelli separati
tendere a Cristo come a fonte e centro della
comunione ecclesiale. Presi dal desiderio
dell'unione con Cristo, essi sono spinti a cercare
sempre di più l'unità ed anche a rendere dovunque
testimonianza della loro fede presso le genti.
Studio della sacra Scrittura
21. L'amore e la venerazione--quasi il culto--
delle sacre Scritture conducono i nostri fratelli al
costante e diligente studio del libro sacro. Il
Vangelo infatti « è la forza di Dio per la salvezza
di ogni credente, del Giudeo prima, e poi del
Gentile » (Rm 1,16).
Invocando lo Spirito Santo, cercano nella stessa
sacra Scrittura Dio come colui che parla a loro in
Cristo, preannunziato dai profeti, Verbo di Dio per
noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo
e quanto il divino Maestro ha insegnato e compiuto
per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri
della sua morte e resurrezione.
Ma quando i cristiani da noi separati affermano
la divina autorità dei libri sacri, la pensano
diversamente da noi - e in modo invero diverso gli
uni dagli altri - circa il rapporto tra la sacra
Scrittura e la Chiesa. Secondo la fede cattolica,
infatti, il magistero autentico ha un posto speciale
nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta.
Cionondimeno nel dialogo la sacra Scrittura
costituisce uno strumento eccellente nella potente
mano di Dio per il raggiungimento di quella unità,
che il Salvatore offre a tutti gli uomini.
La vita sacramentale
22. Col sacramento del battesimo, quando secondo
l'istituzione del Signore è debitamente conferito e
ricevuto con le disposizioni interiori richieste,
l'uomo e veramente incorporato a Cristo crocifisso e
glorificato e viene rigenerato per partecipare alla
vita divina, secondo le parole dell'Apostolo: «
Sepolti insieme con lui nel battesimo, nel battesimo
insieme con lui siete risorti, mediante la fede
nella potenza di Dio, che lo ha ridestato da morte (Col
2,12) (28).
Il battesimo quindi costituisce il vincolo
sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli
che per mezzo di esso sono stati rigenerati.
Tuttavia il battesimo, di per sé, è soltanto
l'inizio e l'esordio, che tende interamente
all'acquisto della pienezza della vita in Cristo.
Pertanto esso è ordinato all'integra professione
della fede, all'integrale incorporazione
nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha
voluta, e infine alla piena inserzione nella
comunità eucaristica.
Le comunità ecclesiali da noi separate,
quantunque manchi loro la piena unità con noi
derivante dal battesimo, e quantunque crediamo che
esse, specialmente per la mancanza del sacramento
dell'ordine, non hanno conservata la genuina ed
integra sostanza del mistero eucaristico, tuttavia,
mentre nella santa Cena fanno memoria della morte e
della resurrezione del Signore, professano che nella
comunione di Cristo è significata la vita e
aspettano la sua venuta gloriosa. Bisogna quindi che
la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri
sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa
costituiscano oggetto del dialogo.
La vita in Cristo
23. La vita cristiana di questi fratelli è
alimentata dalla fede in Cristo e beneficia della
grazia del battesimo e dell'ascolto della parola di
Dio. Si manifesta poi nella preghiera privata, nella
meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia
cristiana, nel culto della comunità riunita a lodare
Dio. Del resto il loro culto mostra talora
importanti elementi della comune liturgia antica.
La fede con cui si crede a Cristo produce i
frutti della lode e del ringraziamento per i
benefici ricevuti da Dio; a ciò si aggiunge un vivo
sentimento della giustizia e una sincera carità
verso il prossimo. E questa fede operosa ha pure
creato non poche istituzioni per sollevare la
miseria spirituale e corporale per l'educazione
della gioventù, per rendere più umane le condizioni
sociali della vita, per stabilire ovunque una pace
stabile.
Anche se in campo morale molti cristiani non
intendono sempre il Vangelo alla stessa maniera dei
cattolici, né ammettono le stesse soluzioni dei
problemi più difficili dell'odierna società,
tuttavia vogliono come noi aderire alla parola di
Cristo quale sorgente della virtù cristiana e
obbedire al precetto dell'Apostolo: « Qualsiasi cosa
facciate, o in parole o in opere, fate tutto nel
nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre
per mezzo di lui » (Col 3,17). Di qui può
prendere inizio il dialogo ecumenico intorno alla
applicazione morale del Vangelo.
Conclusione
24. Così dopo avere brevemente esposto le
condizioni di esercizio dell'azione ecumenica e i
principi con i quali regolarla, volgiamo fiduciosi
gli occhi al futuro. Questo sacro Concilio esorta i
fedeli ad astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo
imprudente, che potrebbero nuocere al vero progresso
dell'unità. Infatti la loro azione ecumenica non può
essere se non pienamente e sinceramente cattolica,
cioè fedele alla verità che abbiamo ricevuto dagli
apostoli e dai Padri, e conforme alla fede che la
Chiesa cattolica ha sempre professato; nello stesso
tempo tende a quella pienezza con la quale il
Signore vuole che cresca il suo corpo nel corso dei
secoli.
Questo santo Concilio desidera vivamente che le
iniziative dei figli della Chiesa cattolica
procedano congiunte con quelle dei fratelli
separati, senza che sia posto alcun ostacolo alle
vie della Provvidenza e senza che si rechi
pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo.
Inoltre dichiara d'essere consapevole che questo
santo proposito di riconciliare tutti i cristiani
nell'unità di una sola e unica Chiesa di Cristo,
supera le forze e le doti umane. Perciò ripone tutta
la sua speranza nell'orazione di Cristo per la
Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella potenza
dello Spirito Santo. «La speranza non inganna,
poiché l'amore di Dio è largamente diffuso nei
nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci fu
dato » (Rm 5,5).
Tutte e
singole le cose stabilite in questo Decreto sono
piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in
virtù della potest Apostolica conferitaci da Cristo,
unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo
le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e
quanto stato cos sinodalmente deciso, comandiamo che
sia promulgato a gloria di Dio.
Roma,
presso San Pietro, 21 novembre 1964.
Io PAOLO
Vescovo della Chiesa Cattolica
Seguono le firme dei Padri.
Firme dei Padri
Io PAOLO
Vescovo della Chiesa Cattolica
† Ego
IOANNES titulo S. Marci Presbyter Cardinalis URBANI,
Patriarcha Venetiarum.
Ego PAULUS
titulo S. Mariae in Vallicella Presbyter Cardinalis
GIOBBE, S. R. E. Datarius.
Ego
FERDINANDUS titulo S. Eustachii Presbyter Cardinalis
CENTO.
† Ego
IOSEPHUS titulo S. Honuphrii in Ianiculo Presbyter
Cardinalis GARIBI Y RIVERA, Archiepiscopus
Guadalajarensis.
Ego CAROLUS
titulo S. Agnetis extra moenia Presbyter Cardinalis
CONFALONIERI.
† Ego
PAULUS titulo Ss. Quirici et Iulittae Presbyter
Cardinalis RICHAUD, Archiepiscopus Burdigalensis.
† Ego
IOSEPHUS M. titulo Ss. Viti, Modesti et Crescentiae
Presbyter Cardinalis BUENO Y MONREAL, Archiepiscopus
Hispalensis.
† Ego
FRANCISCUS titulo S. Eusebii Presbyter Cardinalis
KÖNIG, Archiepiscopus Vindobonensis.
† Ego
IULIUS titulo S. Mariae Scalaris Presbyter
Cardinalis DÖPFNER, Archiepiscopus Monacensis et
Frisingensis.
Ego PAULUS
titulo S. Andreae Apostoli de Hortis Presbyter
Cardinalis MARELLA.
Ego
GUSTAVUS titulo S. Hieronymi Illyricorum Presbyter
Cardinalis TESTA.
† Ego
ALBERTUS titulo S. Caeciliae Presbyter Cardinalis
MEYER, Archiepiscopus Chicagiensis.
Ego
ALOISIUS titulo S. Andreae de Valle Presbyter
Cardinalis TRAGLIA.
† Ego
PETRUS TATSUO titulo S. Antonii Patavini de Urbe
Presbyter Cardinalis DOI, Archiepiscopus Tokiensis.
† Ego
IOSEPHUS titulo S. Ioannis Baptistae Florentinorum
Presbyter Cardinalis LEFEBVRE, Archiepiscopus
Bituricensis.
† Ego
BERNARDUS titulo S. Ioachimi Presbyter Cardinalis
ALFRINK, Archiepiscopus Ultraiectensis.
† Ego
LAUREANUS titulo S. Francisci Assisiensis ad Ripam
Maiorem Presbyter Cardinalis RUGAMBWA, Episcopus
Bukobaënsis.
† Ego
IOSEPHUS titulo Ssmi Redemptoris et S. Alfonsi in
Exquiliis Presbyter Cardinalis RITTER,
Archiepiscopus S. Ludovici.
† Ego
IOSEPHUS HUMBERTUS titulo Ss. Andreae et Gregorii ad
Clivum Scauri Presbyter Cardinalis QUINTERO,
Archiepiscopus Caracensis.
† Ego
IGNATIUS PETRUS XVI BATANIAN, Patriarcha Ciliciae
Armenorum.
† Ego
IOSEPHUS VIEIRA ALVERNAZ, Patriarcha Indiarum
Orientalium.
† Ego
IOSEPHUS SLIPYJ, Archiepiscopus Maior et Metropolita
Leopolitanus Ucrainorum.
† Ego
IOANNES CAROLUS MCQUAID, Archiepiscopus Dublinensis,
Primas Hiberniae.
† Ego
ANDREAS ROHRACHER, Archiepiscopus Salisburgensis,
Primas Germaniae.
† Ego
DEMETRIUS MOSCATO, Archiepiscopus Primas
Salernitanus et Administrator Perpetuus Acernensis.
† Ego
MAURITIUS ROY, Archiepiscopus Quebecensis, Primas
Canadiae.
† Ego HUGO
CAMOZZO, Archiepiscopus Pisanus, Primas Sardiniae et
Corsicae.
† Ego
ALEXANDER TOKI , Archiepiscopus Antibarensis, Primas
Serbiae.
† Ego
MICHAEL DARIUS MIRANDA, Archiepiscopus Mexicanus,
Primas Mexici.
† Ego
OCTAVIUS ANTONIUS BERAS, Archiepiscopus S. Dominici,
Primas Indiarum Occidentalium.
† Ego
IOANNES CAROLUS HEENAN, Archiepiscopus
Vestmonasteriensis, Primas Angliae.
† Ego
GUILLELMUS CONWAY, Archiepiscopus Armachanus, Primas
totius Hiberniae.
† Ego
FRANCISCUS MARIA DA SILVA, Archiepiscopus
Bracharensis, Primas Hispaniarum.
† Ego
PAULUS GOUYON, Archiepiscopus Rhedonensis, Primas
Britanniae.
† Ego
ANDREAS CESARANO, Archiepiscopus Sipontinus et
Admin. Perp. Vestanus.
Sequuntur
ceterae subsignationes.
Ita est.
† Ego PERICLES
FELICI
Archiepiscopus tit. Samosatensis
Ss. Concilii Secretarius Generalis
† Ego IOSEPHUS ROSSI
Episcopus tit. Palmyrenus
Ss. Concilii Notarius
† Ego FRANCISCUS HANNIBAL FERRETTI
Ss. Concilii Notarius
DAGLI ATTI DEL SS. CONCILIO
ECUMENICO VATICANO II
NOTIFICAZIONI
Fatte dall’Ecc.mo Segretario Generale del Ss.
Concilio nella CXXIII Congregazione Generale del 16
nov. 1964
stato chiesto quale debba essere la
qualificazione teologica della dottrina che esposta
nello Schema sulla Chiesa e viene sottoposta alla
votazione.
Al quesito sulla valutazione dei Modi riguardanti
il capitolo terzo dello Schema sulla Chiesa la
Commissione Dottrinale ha risposto in questi
termini:
"Come di per sé evidente, il testo del Concilio
deve essere sempre interpretato secondo le regole
generali, a tutti note".
Con l’occasione, la Commissione Dottrinale
rimanda alla sua Dichiarazione del 6 marzo 1964, di
cui qui trascriviamo il testo:
"Tenendo conto della procedura conciliare e della
finalit pastorale del presente Concilio, questo S.
Sinodo definisce come vincolante per la Chiesa
soltanto quello che in materia di fede e di morale
avr apertamente dichiarato come tale.
"Le altre cose che il S. Sinodo propone, in
quanto dottrina del Supremo Magistero della Chiesa,
tutti e ciascun fedele devono accoglierle e aderirvi
secondo la mente dello stesso S. Sinodo, quale si
deduce sia dalla materia trattata sia dal tenore
dell’espressione verbale, secondo le norme
dell’interpretazione teologica".
Su mandato dell’Autorit Superiore viene poi
trasmessa ai Padri una nota esplicativa previa ai
Modi circa il capitolo terzo dello Schema sulla
Chiesa; secondo la mente e il giudizio di questa
nota dev’essere spiegata e intesa la dottrina
esposta nel detto capitolo terzo.
Nota esplicativa previa
"La
Commissione ha stabilito di premettere all’esame dei
Modi le seguenti osservazioni generali.
1.
Collegio non si intende in senso strettamente
giuridico, cio di un gruppo di uguali che
demandano il loro potere al loro presidente, ma
di un gruppo stabile, la cui struttura ed
autorit devono essere dedotte dalla Rivelazione.
Perci nella Risposta al Modo, 12, dei Dodici
[Apostoli] si dice esplicitamente che il Signore
li costitu "sotto forma di collegio o gruppo
stabile". Cf anche il Modo 53, c. - Per la
stessa ragione si usa anche spesso il termine
Ordine o Corpo per il Collegio dei Vescovi. Il
parallelismo fra Pietro e gli altri Apostoli da
una parte e il Sommo Pontefice e i Vescovi
dall’altra non implica una trasmissione del
potere straordinario degli Apostoli ai loro
successori, né, com’ ovvio, una uguaglianza tra
il Capo e i membri del Collegio, ma la sola
proporzionalit fra la prima relazione (Pietro -
gli Apostoli) e l’altra (Papa - Vescovi). Per
questo la Commissione ha deciso di scrivere nel
n. 22 non stessa ma in modo analogo. Cf il Modo
57.
2.
Uno
diventa membro del Collegio in virt della
consacrazione episcopale e della comunione
gerarchica con il Capo del Collegio e con i
membri. Cf n. 22, alla fine. Nella consacrazione
viene data la partecipazione ontologica ai sacri
uffici, come indubbiamente consta dalla
Tradizione, anche liturgica. Volutamente usata
la parola uffici e non potest , perché
quest’ultimo vocabolo potrebbe essere inteso
come potest libera negli atti. Ma perché ci sia
tale libera potest , deve intervenire la
determinazione canonica ossia giuridica da parte
dell’autorit gerarchica. Questa determinazione
della potest pu consistere nella concessione di
un ufficio particolare o nell’assegnazione di
sudditi, e viene data secondo norme approvate
dall’autorit suprema. Siffatta norma ulteriore
richiesta dalla natura della cosa, perché si
tratta di incarichi che devono essere esercitati
da pi soggetti, cooperanti gerarchicamente per
volere di Cristo. evidente che questa
"comunione" nella vita della Chiesa stata
applicata secondo le contingenze dei tempi,
prima che fosse come codificata nel diritto.
Perci
detto espressamente che si richiede la comunione
gerarchica con il Capo della Chiesa e con i suoi
membri. Comunione un concetto che era tenuto in
grande onore nella Chiesa antica (come anche
oggi soprattutto in Oriente). Non va intesa per
come un certo vago affetto, ma come una realt
organica, che esige una forma giuridica ed
insieme animata dalla carit : per questo la
Commissione, con consenso quasi unanime, ha
deciso di scrivere "in comunione gerarchica". Cf
il Modo 40 ed anche quanto detto sulla missione
canonica, al n. 24.
I
documenti degli ultimi Sommi Pontefici circa la
giurisdizione dei Vescovi vanno interpretati in
riferimento a questa necessaria determinazione
dei poteri.
3.
Il
Collegio, che non pu essere senza il Capo, detto
"soggetto di suprema e piena potest su tutta la
Chiesa". Il che si deve necessariamente
ammettere, per non mettere in pericolo la
pienezza di potest del Romano Pontefice. Infatti
il Collegio presuppone sempre necessariamente il
suo Capo, che nel Collegio conserva intatta la
sua funzione di Vicario di Cristo e Pastore
della Chiesa universale. In altre parole la
distinzione non tra il Romano Pontefice e i
Vescovi presi collettivamente, ma tra il Romano
Pontefice da solo e il Romano Pontefice insieme
ai Vescovi. Siccome per il Sommo Pontefice Capo
del Collegio, lui solo pu compiere alcuni atti
che non competono in nessun modo ai Vescovi, per
esempio convocare e dirigere il Collegio,
approvare le norme dello svolgimento, ecc. Cf
Modo 81. Al giudizio del Sommo Pontefice, a cui
stata affidata la cura di tutto il gregge di
Cristo, secondo le necessit della Chiesa
variabili nel corso dei tempi, spetta
determinare il modo in cui conviene che sia
attuata questa cura, sia in modo personale, sia
in modo collegiale. Nell’ordinare, promuovere,
approvare l’esercizio collegiale il Romano
Pontefice procede a propria discrezione, mirando
al bene della Chiesa.
4.
Il
Sommo Pontefice, in quanto Pastore Supremo della
Chiesa, pu esercitare a piacimento la sua potest
in ogni tempo, com’ richiesto dal suo stesso
ufficio. Invece il Collegio, pur esistendo
sempre, non per questo agisce in permanenza con
azione strettamente collegiale, come risulta
dalla Tradizione della Chiesa. In altri termini
non sempre "in atto pieno", anzi, non compie un
atto strettamente collegiale se non ad
intervalli e se non consenziente il Capo. Si
dice "consenziente il Capo" perché non si pensi
ad una dipendenza per cos dire da un estraneo;
il termine "consenziente" evoca viceversa la
comunione tra il Capo e i membri, ed implica la
necessit di un atto che propriamente compete al
Capo. La cosa esplicitamente affermata nel n. 22
§ 2 ed ivi spiegata verso la fine. La forma
negativa "se non" comprende tutti i casi; donde
evidente che le norme approvate dalla suprema
Autorit devono sempre essere osservate. Cf Modo
84.
Da
tutto questo risulta che si tratta di unione dei
Vescovi con il loro Capo, e mai di azione dei
Vescovi indipendentemente dal Papa. Nel qual
caso, mancando l’azione del Capo, i Vescovi non
possono agire come Collegio, come appare dalla
nozione di "Collegio". Questa comunione
gerarchica di tutti i Vescovi con il Sommo
Pontefice certamente importante nella
Tradizione.
N.B.
Senza la comunione gerarchica l’ufficio
sacramentale-ontologico, che va distinto
dall’aspetto canonico-giuridico, non pu essere
esercitato. La Commissione tuttavia ha ritenuto
di non dover entrare in questioni di liceit e di
validit , che sono lasciate alla discussione dei
teologi, specialmente per ci che riguarda la
potest che di fatto viene esercitata presso gli
Orientali separati, e della cui spiegazione ci
sono varie sentenze".
† Pericle
Felici
Arcivescovo titolare di Samosata
Segretario Generale del Ss. Concilio
(1) Cf.
1 Cor 1,13.
(2) Cf. 1
Gv 4,9; Col 1,18-20; Gv 11,52.
(3) Cf.
Gv 13,34.
(4) Cf.
Gv 16,7.
(5) Cf.
1 Cor 12,4-11.
(6) Cf.
Mt 28,18-20 da confr.con Gv 20,21-23.
(7) Cf.
Mt 16,19 da confr. con Mt 18,18.
(8) Cf.
Lc 22,32.
(9) Cf.
Gv 21,15-17.
(10) Cf.
Ef 2,20.
(11) Cf.
1 Pt 2,25; CONC. VAT. I, Cost. Pastor
Aeternus: Coll. Lac. 7, 482a [Dz 3050ss;
Collantes 7.176ss].
(12) Cf.
Is 11,10-12.
(13) Cf.
Ef 2,17-18 da confr. con Mc 16,15.
(14) Cf. 1
Pt 1,3-9.
(15) Cf.
1 Cor 11,18-19; Gal 1,6-9; 1 Gv
2,18-19.
(16) Cf. 1
Cor 1,11ss; 11,22.
(17) Cf.
CONC. DI FIRENZE, Sess. VIII, Decreto Exultate
Deo: MANSI 31, 1055A [Dz 1314; Collantes 9.044].
(18) Cf. S.
AGOSTINO, In Ps. 32, Enarr. II, 29: PL
36, 299.
(19) Cf.
CONC. LAT. IV, Costituzione IV: MANSI 22, 990; CONC.
DI LIONE II (1274), Professione di fede di Michele
Paleologo: MANSI 24, 71E [Dz 861; Collantes 7.146];
CONC. DI FIRENZE, Sess. VI (1439), Definizione
Laetentur caeli: MANSI 31, 1026E.
(20) Cf.
Gc 1,4; Rm 12,1-2.
(21) Cf. 2
Cor 4,10; Fil 2,5-8.
(22) Cf.
Ef 5,27.
(23) Cf.
CONC. LAT. V, Sess. XII, Cost. Constituti:
MANSI 32, 988BC.
(24) Cf.
Ef 4,23.
(25) Cf.
Ef 3,8.
(26) Cf. S.
GIOVANNI CRISOSTOMO, In Ioannem Homilia
XLVI: PG 59, 260-262.
(27) Cf.
CONC. DI FIRENZE, Sess. VI, Definizione Laetentur
caeli: MANSI 31, 1026E.
Fonti: Vaticano
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