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Ordine
Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo
Gran Priorato
d'Italia |
Bernardo
di Chiaravalle
Bernardo di
Chiaravalle o
Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon,
1090 –
Ville-sous-la-Ferté,
20
agosto
1153) è stato un
religioso,
abate e
teologo
francese, fondatore della celebre
abbazia di Clairvaux e di altri monasteri
(ad esempio, in Italia, l'Abbazia
di Chiaravalle).
Viene venerato come
santo dalla
Chiesa cattolica.
Canonizzato nel
1174 da
papa Alessandro III, fu dichiarato
Dottore della Chiesa, da
papa Pio VIII nel
1830. Nel
1853
papa Pio XII gli dedicò l'enciclica
Doctor Mellifluus.
Terzo di sette
fratelli, nacque da Tescelino il Sauro, vassallo di
Oddone I di Borgogna, e da Aletta, figlia
di Bernardo di Montbard, anch'egli vassallo del duca
di Borgogna. Studiò solo grammatica e retorica (non
tutte le sette arti liberali, dunque) nella scuola
dei canonici di Nôtre Dame di Saint-Vorles, presso
Châtillon-sur-Seine, dove la famiglia
aveva dei possedimenti.
La casa natale di
Bernardo di Chiaravalle
Ritornato nel
castello paterno di Fontaines, nel
1111, insieme ai cinque fratelli e ad
altri parenti e amici, si ritirò nella casa di
Châtillon per condurvi una vita di ritiro e di
preghiera finché, l'anno seguente, con una trentina
di compagni si fece monaco nel convento cistercense
di
Cîteaux, fondato quindici anni prima da
Roberto di Molesmes e allora retto da
Stefano Harding.
Nel
1115, insieme con dodici compagni, tra i
quali erano quattro fratelli, uno zio e un cugino,
si trasferì nella proprietà di un parente, nella
regione della
Champagne, che aveva donato ai monaci un
vasto terreno sulle rive del fiume
Aube, nella diocesi di
Langres perché vi fosse costruito un
nuovo convento cistercense: essi chiamarono quella
valle Clairvaux, chiara valle.
Ottenuta
l'approvazione del vescovo
Guglielmo di Champeaux e ricevute
numerose donazioni, l'abbazia divenne in breve tempo
un centro di richiamo oltre che di irradiazione: già
dal 1118 monaci di Clairvaux partirono per fondare
altrove nuovi conventi, come a
Trois-Fontaines, a
Fontenay, a
Foigny, a
Autun, a
Laon; alla morte di Bernardo le abbazie
cistercensi erano 343, di cui 66 fondate o riformate
da lui stesso. Per tutta la sua vita Bernardo fu il
difensore ostinato dell'ortodossia religiosa, della
lotta contro le eresie e dell'autorità assoluta
della Chiesa. Nel concilio di
Sens del
1140, si scagliò contro le dottrine di
Pietro Abelardo, che furono condannate;
lottò inoltre contro
Gilberto Porretano e
Arnaldo da Brescia. La seconda crociata
del 1147 fu opera della sua predicazione. I punti
fondamentali della dottrina di Bernardo consistono
nella negazione del valore della ragione,
contrapposta alla esaltazione della vita mistica,
considerata come la via dell'umiltà e della rinuncia
ad ogni autonomia umana.
Bernardo si pronuncia senza riserve contro la
ragione e la scienza: il desiderio di conoscere gli
appare come «una turpe curiosità».
Inoltre Il santo nega il valore dell'uomo,
spingendolo a riconoscere il proprio nulla, al fine
di ottenere la liberazione da tutti i legami
corporei e di abbandonare completamente la sua
volontà ai voleri divini.
I concetti di Bernardo riguardanti la mistica e
l’ascesi, come anche le tematiche politiche della
“plenitudo potestatis” del pontefice e delle due
spade, hanno profondamente condizionato tutto il
medioevo centrale e ultimo.
La via mistica di
Bernardo
Bernardo è
fondamentalmente propenso non alla speculazione
intellettuale, ma alle questioni pratiche, di vita
vissuta, e alle riflessioni morali. Secondo Bernardo
l’unico modo per giungere alla verità consiste nella
pratica della
contemplazione e della
preghiera e non nell’astratto
ragionamento. Nel Sermo 36 super cantica, Bernardo
illustra la natura e i limiti del sapere affermando
che lo studio può essere giustificato solo se ha una
finalità di tipo religioso, mentre se è condotto per
il puro desiderio di sapere, per illuminare
l’intelletto, per risolvere problemi di ogni genere,
esso viene etichettato come “turpis” (vergognoso,
immorale).
La più alta
conquista umana è, per Bernardo, il volo dell’anima
verso la contemplazione: l’unica via attraverso la
quale sia possibile conoscere Dio. Attraverso
l’assidua meditazione dei misteri del
Cristo è possibile giungere alla
conoscenza e all’amore nei confronti del crocifisso.
Solo la contemplazione mistica è in grado di dare la
pace e la gioia del pieno possesso.
Per giungere a
questo risultato è però necessaria una limitazione
dell’intelletto che, se si spinge troppo oltre e
invade i confini della fede, compie una vera e
propria profanazione del sacro. Come esempi da non
imitare, di curiosità e vanità, Bernardo presenta
Aristotele e
Platone, ritenuti i due massimi esponenti
dell’umana sapienza. Occorre evitare di studiare le
curiose sottigliezze del primo e le vane arguzie del
secondo. Dice il santo ai suoi monaci che i nostri
maestri dovrebbero essere
Pietro e
Paolo, che ci insegnano invece a vivere.
In occasione della
presentazione a Innocenzo II dell’accusa contro
Abelardo, Bernardo prende di mira gli “Academici”
additandoli come pensatori che vagano qua e là,
curiosi e vani, tra opinioni ed errori, che devono
accontentarsi di rimanere nell’incertezza e non
possono mai giungere a verità certe.
Rapporti con gli
altri religiosi
L'abbazia di Cluny
Nella Lettera 1,
spedita verso il
1124 al cugino Roberto, Bernardo mostra
di considerare la vita monastica dei benedettini di
Cluny, allora all'apogeo del loro
sviluppo, come un luogo che negava i valori della
povertà, dell'austerità e della santità; egli
rifiuta la teoria della regola benedettina della
stabilitas - ossia del legame permanente e
definitivo che dovrebbe stabilirsi fra monaco e
monastero - sostenendo la legittimità del passaggio
da un convento cluniacense a uno cistercense,
essendovi in quest'ultimo professata una regola più
rigorosa e più aderente alla
Regola di San Benedetto, pertanto una
vita monastica perfetta. La polemica fu da lui
ripresa nell' Apologia all'abate Guglielmo,
sollecitata da Guglielmo, abate del monastero di
Saint-Thierry, che ebbe una risposta dall'abate di
Cluny,
Pietro il Venerabile, nella quale l'abate
rivendicava la legittimità della discrezione
nell'interpretazione della regola benedettina.
Nel
1130, alla morte di Onorio II, furono
eletti due papi: uno, dalla fazione della famiglia
romana dei Frangipane, col nome di
Innocenzo II e un altro, appoggiato dalla
famiglia dei Pierleoni, con il nome di
Anacleto II; Bernardo appoggiò
attivamente il primo che, nella storia della Chiesa,
per quanto eletto da un minor numero di cardinali,
sarà riconosciuto come autentico papa, grazie
soprattutto all'appoggio dei maggiori regni europei
(Anacleto secondo verrà considerato un
antipapa).
Numerosi furono i
suoi interventi in questioni che riguardavano i
comportamenti di ecclesiastici: accusò di
scorrettezza Simone, vescovo di
Noyon e di
simonia Enrico, vescovo di
Verdun; nel
1138 favorì l'elezione a vescovo di
Langres del proprio cugino Goffredo della
Roche-Vanneau, malgrado l'opposizione di Pietro il
Venerabile e, nel 1141, ad arcivescovo di
Bourges di
Pietro de La Châtre, mentre l'anno dopo
ottenne la sostituzione di Guglielmo di Fitz-Herbert,
vescovo di
York, con l'amico cistercense Enrico
Murdac, abate di Fountaine.
I Templari
Nel
1119 alcuni cavalieri, sotto la guida di
Ugo di Payns, feudatario della Champagne
e parente di Bernardo, fondarono un nuovo ordine
monastico-militare, l'Ordine
dei Cavalieri del Tempio, con sede in
Gerusalemme, nella spianata ove sorgeva
il Tempio ebraico; lo scopo dell'Ordine, posto sotto
l'autorità del patriarca di Gerusalemme, era di
vigilare sulle strade percorse dai pellegrini
cristiani. L'Ordine ottenne nel concilio di
Troyes del
1128 l'approvazione di
papa Onorio II e sembra che la sua regola
sia stata ispirata da Bernardo, il quale scrisse,
verso il
1135, l'Elogio
della nuova cavalleria (De laude novae
militiae ad Milites Templi).
L'interesse di
Bernardo per le vicende politiche del suo tempo si
manifestò anche in occasione dei conflitti che
opposero il conte della Champagne, Tibaldo II, da
lui sostenuto, al re
Luigi VII di Francia e in occasione della
repressione, nel
1140, del neonato Comune di
Reims, operata dal suo pupillo
cistercense, il vescovo Sansone di Mauvoisin.
Il conflitto con
Pietro Abelardo
L' Apologia contra Bernardum di
Abelardo
Grande fu la
risonanza del conflitto che oppose Bernardo al
filosofo
Pietro Abelardo.
Nel
1140
Guglielmo di Saint-Thierry, cistercense
del convento di
Signy, scriveva al vescovo di
Chartres,
Goffredo di Lèves e a Bernardo,
denunciando che due opere di Abelardo, il Liber
sententiarum e la Theologia scholarium, contenevano,
a suo giudizio, affermazioni teologicamente erronee,
elencandole in un proprio scritto, la Discussione
contro Pietro Abelardo.
Bernardo, «senza
però leggere direttamente i testi incriminati
(alcuni dei quali, di fatto, non erano di
Abelardo)»,
scrisse a
papa Innocenzo II la Lettera 190,
sostenendo che Abelardo concepiva la fede come una
semplice opinione; davanti agli studenti parigini
pronunciò il sermone de La conversione, attaccando
Abelardo e invitandoli ad abbandonare le sue
lezioni.
Abelardo reagì
chiedendo all'arcivescovo di
Sens di organizzare un pubblico confronto
con Bernardo, da tenersi il
3
giugno
1140, ma questi, temendo l'abilità
dialettica del suo controversista, il giorno prima
presentò 19 affermazioni chiaramente eretiche,
attribuendole ad Abelardo, chiamando i vescovi
presenti a condannarle e invitando il giorno dopo lo
stesso Abelardo a pronunciarsi in proposito.
Al rifiuto di
Abelardo, che abbandonò il concilio, seguì la
condanna dei vescovi, ribadita il
16
luglio successivo dal papa.
La lotta contro gli
eretici
Nel
1144 il monaco
Evervino di Steinfeld lo informò di
un'eresia, di tipo pauperistico, diffusa in quel di
Colonia, alla quale rispose con i Sermoni 63, 64, 65
e 66; l'anno successivo accolse l'invito del
cardinale di
Ostia, Alberico, a combattere un'eresia
diffusa nella regione di
Tolosa dal monaco
Enrico di Losanna, seguace di
Pietro di Bruys, critico nei confronti
delle gerarchie ecclesiali e propositore di una vita
improntata alla povertà e alla penitenza; in questa
occasione, Bernardo ritenne necessario recarsi,
insieme con il suo segretario
Goffredo d'Auxerre a Tolosa. Ottenuta,
dopo molti contrasti, una professione di fede, tornò
a Chiaravalle e indirizzò una lettera agli abitanti
di Tolosa - la Lettera 242 - nella quale esprimeva
la sua convinzione che quelle dottrine fossero state
definitivamente confutate.
Richiesto ancora di
pronunciarsi sulle tesi trinitarie del vescovo di
Poitiers e maestro di
teologia a
Parigi,
Gilberto Porretano, nel
1148, nuovamente Bernardo tentò di far
approvare da vescovi da lui riuniti a parte, una
preventiva condanna che il sinodo da tenere il
giorno successivo a
Reims avrebbe dovuto semplicemente
ratificare; questa volta, tuttavia, i vescovi non
appoggiarono la sua iniziativa, tanto che Bernardo
dovette cercare appoggio da
papa Eugenio III. La difesa di Gilberto -
che affermò di non aver mai sostenuto le tesi a lui
contestate, frutto, a suo dire, di interpretazioni
erronee dei suoi studenti - fece cadere ogni accusa.
Il
"De Laude Novae Militiate
Questa
opera fu composta tra il 1128, anno del concilio di
Troyes ed il 1136, anno della morte di Ugo di Payns,
Maestro dell'Ordine dei Templari, cui fu dedicata
l'opera.
San Bernardo indica
la figura del Cavaliere del Tempio, come un
monaco-guerriero, che fa uso di due spade: una, da
impiegarsi nella lotta contro il Male, una lotta
prettamente interna alla persona e spirituale, e
l'altra rivolta verso i nemici esterni: gli
infedeli, i pagani, gli eretici. Bernardo è animato
da un odio estremo verso tutto ciò che si oppone
alla vera fede, per come egli la intende. Contro
tali nemici, considerati come categorie inferiori,
incarnazione del male, agenti del demonio, conduce
una guerra in cui pietà e carità sono escluse. I
nemici per antonomasia sono eretici e infedeli, per
i quali Bernardo utilizza la calunnia e l'ipocrisia,
fondandosi sulle dicerie più inverosimili. Gli
eretici sono «zotici e imbecilli spregevoli, [...]
povere donne idiote, profondamente ignoranti, [...]
gente grossolana, rozza, incolta e inadatta al
combattimento». Dal momento che sono ottusi,
ripugnanti e irrecuperabili, «è meglio ucciderli di
spada che lasciare che numerosi si trascinino
nell'errore». Lo stesso atteggiamento riserva a
infedeli e pagani. I musulmani sono «vasi
d’iniquità», posseduti dal demonio. Con loro, una
sola soluzione è possibile, lo sterminio: «Uccidete!
Uccidete! E fatevi uccidere se necessario: è per
Cristo»
Secondo Bernardo
l'uccisione di un infedele, di un eretico o di un
pagano non è da considerarsi come un atto criminoso:
nihil habeat criminis (non c'è crimine). L'uccisione
di un nemico della fede da parte di un soldato di
Cristo non rappresenta un omicidio ma un "malicidio",
ossia l'uccisione dell'incarnazione del male.
Bernardo contrappone
la guerra in nome di Cristo alla guerra condotta
dalle milizie secolari, dove «Christus non est causa
militandi». Secondo Bernardo nessuna causa può
rendere buona una guerra profana: né le biasimevoli
passioni, né il desiderio di vendetta, né la
necessità di eludere un pericolo incombente. Ma, se
la causa è Cristo, allora l'usare la spada è
addirittura meritorio: con questo argomento Bernardo
intendeva volgere completamente gli ideali
cavallereschi al servizio della chiesa nella lotta
agli infedeli.
La seconda crociata
Bernardo predica la II Crociata
Il
15
febbraio
1145, a
Roma, nel convento di san Cesario, sul
Palatino, il conclave eleggeva nuovo
papa Eugenio III, abate del convento
romano dei Ss Vincenzo e Anastasio; il nuovo papa,
Bernardo Paganelli, conosceva bene Bernardo, per
averlo incontrato nel concilio di
Pisa del
1135 e per essersi ordinato cistercense
proprio a Chiaravalle nel
1138. Bernardo, felicitandosi per
l'elezione, gli ricordava curiosamente che si diceva
«che non siete voi a essere papa, ma io e ovunque,
chi ha qualche problema si rivolge a me» e che era
stato proprio lui, Bernardo, ad «averlo generato per
mezzo del Vangelo».
Eugenio III incaricò
Bernardo di predicare a favore della nuova crociata
che si stava preparando, e che avrebbe dovuto essere
composta soprattutto da francesi, ma Bernardo riuscì
a coinvolgere anche i tedeschi. La crociata fu un
completo fallimento che Bernardo giustificò, nel suo
trattato La considerazione, con i peccati dei
crociati, che Dio aveva messo alla prova.
Questo trattato,
finito di comporre nel
1152 si occupava anche dei compiti del
papato, e Bernardo lo mandò a papa Eugenio che si
dibatteva con le difficoltà procurategli
dall'opposizione dei repubblicani romani, guidati da
Arnaldo da Brescia.
Le sue condizioni di
salute cominciano a peggiore alla fine del 1152: ha
ancora la forza di intraprendere un viaggio fino a
Metz, in
Lorena, per mettere fine ai disordini che
travagliavano quella città. Tornato a Chiaravalle,
apprende la notizia della morte di papa Eugenio,
avvenuta l'8
luglio
1153 e muore il mese dopo.
Rivestito con un
abito appartenuto al vescovo
Malachia, del quale aveva appena finito
di scrivere una biografia, viene sepolto davanti
all'altare della sua abbazia.
La
restaurazione della natura umana
Riguardo il suo
pensiero teologico e filosofico, Bernardo esprime
sul piano morale un orientamento ispirato,
apparentemente, al
pessimismo:
|
« [...]
generati dal peccato, noi peccatori
generiamo peccatori; nati corrotti,
generiamo dei corrotti; nati schiavi,
generiamo degli schiavi. » |
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San Bernardo,
dunque, combatte alcune tesi del suo tempo, come la
teoria secondo la quale i discendenti di
Adamo (cioè noi) non abbiano in sé un
«peccato originale» sin dalla nascita, ma solo un «malum
poenae», un «male di pena». Bernardo dice anche:
|
« L'uomo
è impotente di fronte al peccato. » |
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Ciò, evidentemente
non è una giustificazione al peccato stesso, ma una
spiegazione della miseria umana che nei nostri
peccati si rivela, ma che è originata dal peccato
originale che in ciascuno è impresso come un
marchio. Dunque, la questione fondamentale è
restaurare la natura umana, per riportare l'uomo al
suo stato di «figlio di
Dio», e dunque «essere eterno» nella
beatitudine del Padre. Poiché ognuno porta in sé il
peccato originale, però, nessuno può restaurare la
propria natura da solo, ma può farlo solamente
attraverso la «mediazione» di
Cristo, che è «Soter» (cioè «Salvatore»),
proprio in quanto per noi è morto, espiando al
nostro posto quel peccato originale che nessun altro
poteva espiare, essendone sottoposto. Nella sua
opera De gradibus humilitatis et superbiae,
tuttavia, dice che, per avere la «mediazione» di
Cristo, l'uomo deve superare l'«io di carne», deve
limitare e poi annullare la
superbia e l'amore di sé, attraverso l'umiltà.
Contro di sé, dunque, deve porre l'amore di Dio,
poiché solo col Suo amore si ottiene anche la Sua
vera intelligenza, e solo con esso
|
« [...]
l'anima passa dal mondo delle ombre e delle
apparenze all'intensa luce meridiana della
Grazia e della verità. » |
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I quattro
gradi dell'amore
Nel De diligendo
Deo, San Bernardo continua la spiegazione di come si
possa raggiungere l'amore di Dio, attraverso la via
dell'umiltà. La sua dottrina cristiana dell'amore è
originale, indipendente dunque da ogni influenza
platonica e
neoplatonica. Secondo Bernardo esistono
quattro gradi sostanziali dell'amore, che presenta
come un itinerario, che dal sé esce, cerca Dio, ed
infine torna al sé, ma solo per Dio. I gradi sono:
- 1)
L'amore di se stessi per sé:
|
« [...]
bisogna che il nostro amore cominci dalla
carne. Se poi è diretto secondo un giusto
ordine, [...] sotto l'ispirazione della
Grazia, sarà infine perfezionato dallo
spirito. Infatti non viene prima lo
spirituale, ma ciò che è animale precede ciò
che è spirituale. [...] Perciò prima l'uomo
ama sé stesso per sé [...]. Vedendo poi che
da solo non può sussistere, comincia a
cercare Dio per mezzo della fede, come un
essere necessario e Lo ama. » |
|
|
- 2)
L'amore di Dio per sé:
|
« Nel
secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé,
non per Lui. Cominciando però a frequentare
Dio e ad onorarlo in rapporto alle proprie
necessità, viene a conoscerlo a poco a poco
con la lettura, con la riflessione, con la
preghiera, con l'obbedienza; così gli si
avvicina quasi insensibilmente attraverso
una certa familiarità e gusta pura quanto
sia soave. » |
|
|
- 3)
L'amore di Dio per Dio:
|
« Dopo
aver assaporato questa soavità l'anima passa
al terzo grado, amando Dio non per sé, ma
per Lui. In questo grado ci si ferma a
lungo, anzi, non so se in questa vita sia
possibile raggiungere il quarto grado. » |
|
|
- 4)
L'amore di sé per Dio:
|
« Quello
cioè in cui l'uomo ama sé stesso solo per
Dio. [...] Allora, sarà mirabilmente quasi
dimentico di sé, quasi abbandonerà sé stesso
per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno
spirito solo con Lui. Io credo che provasse
questo il profeta, quando diceva: "-Entrerò
nella potenza del Signore e mi ricorderò
solo della Tua giustizia-". [...] » |
|
(San
Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo,
cap. XV) |
Nel De diligendo
Deo, dunque, San Bernardo presenta l'amore come una
forza finalizzata alla più alta e totale fusione in
Dio col Suo
Spirito, che, oltre ad essere sorgente
d'ogni amore, ne è anche «foce», in quanto il
peccato non sta nell'«odiare», ma nel disperdere
l'amore di Dio verso il sé (la carne), non
offrendolo così a Dio stesso, Amore d'amore
Latino |
Italiano |
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