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Ordine
Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo
Gran Priorato
d'Italia |
Concilio
Vaticano
II°
PAOLO
VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA
SACROSANCTUM CONCILIUM
4
dicembre 1963
PROEMIO
1. Il sacro
Concilio si propone di far crescere ogni giorno più
la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare
alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni
che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che
può contribuire all'unione di tutti i credenti in
Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare
tutti nel seno della Chiesa. Ritiene quindi di
doversi occupare in modo speciale anche della
riforma e della promozione della liturgia.
La
liturgia nel mistero della Chiesa
2. La
liturgia infatti, mediante la quale, specialmente
nel divino sacrificio dell'eucaristia, «si attua
l'opera della nostra redenzione» [1],
contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano
nella loro vita e manifestino agli altri il mistero
di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa.
Questa ha infatti la caratteristica di essere nello
stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di
realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita
alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia
pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò
che in essa è umano sia ordinato e subordinato al
divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla
contemplazione, la realtà presente alla città
futura, verso la quale siamo incamminati [2].
In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica
quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio
santo nel Signore, un'abitazione di Dio nello
Spirito [3],
fino a raggiungere la misura della pienezza di
Cristo [4]
, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le
loro energie perché possano predicare il Cristo.
Così a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa,
come vessillo innalzato di fronte alle nazioni [5],
sotto il quale i figli di Dio dispersi possano
raccogliersi [6]
, finché ci sia un solo ovile e un solo pastore [7].
Liturgia e riti
3. Il sacro
Concilio ritiene perciò opportuno richiamare i
seguenti principi riguardanti la promozione e la
riforma della liturgia e stabilire delle norme per
attuarli. Fra queste norme e questi principi
parecchi possono e devono essere applicati sia al
rito romano sia agli altri riti, benché le norme
pratiche che seguono debbano intendersi come
riguardanti il solo rito romano, a meno che si
tratti di cose che per la loro stessa natura si
riferiscono anche ad altri riti.
Stima
per i riti riconosciuti
4. Infine
il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla
tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa
considera come uguali in diritto e in dignità tutti
i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in
avvenire essi siano conservati e in ogni modo
incrementati; desidera infine che, ove sia
necessario, siano riveduti integralmente con
prudenza nello spirito della sana tradizione e venga
loro dato nuovo vigore, come richiedono le
circostanze e le necessità del nostro tempo.
CAPITOLO I
PRINCIPI
GENERALI PER LA RIFORMA E LA
PROMOZIONE DELLA SACRA LITURGIA
I.
Natura della sacra liturgia e sua importanza nella
vita della Chiesa
5. Dio, il
quale «vuole che tutti gli uomini si salvino e
arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4),
«dopo avere a più riprese e in più modi parlato un
tempo ai padri per mezzo dei profeti» (Eb 1,1),
quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo
Figlio, Verbo fatto carne, unto dallo Spirito Santo,
ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare
i cuori affranti [8],
« medico di carne e di spirito » [9],
mediatore tra Dio e gli uomini [10].
Infatti la sua umanità, nell'unità della persona del
Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per
questo motivo in Cristo « avvenne la nostra perfetta
riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data
la pienezza del culto divino » [11].
Quest'opera della redenzione umana e della perfetta
glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle
mirabili gesta divine operate nel popolo dell'Antico
Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore
principalmente per mezzo del mistero pasquale della
sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa
ascensione, mistero col quale « morendo ha distrutto
la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita»
[12].
Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce
è scaturito il mirabile sacramento di tutta la
Chiesa [13].
La
liturgia attua l'opera della salvezza propria della
Chiesa
6.
Pertanto, come il Cristo fu inviato dal Padre, così
anch'egli ha inviato gli apostoli, ripieni di
Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti
gli uomini [14]
, non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio
di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha
liberati dal potere di Satana [15]
e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del
Padre, bensì dovevano anche attuare l'opera di
salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e
i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita
liturgica. Così, mediante il battesimo, gli uomini
vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con
lui morti, sepolti e risuscitati [16],
ricevono lo Spirito dei figli adottivi, «che ci fa
esclamare: Abba, Padre» (Rm 8,15), e diventano quei
veri adoratori che il Padre ricerca [17].
Allo stesso modo, ogni volta che essi mangiano la
cena del Signore, ne proclamano la morte fino a
quando egli verrà [18].
Perciò, proprio nel giorno di Pentecoste, che segnò
la manifestazione della Chiesa al mondo, «quelli che
accolsero la parola di Pietro furono battezzati » ed
erano « assidui all'insegnamento degli apostoli,
alla comunione fraterna nella frazione del pane e
alla preghiera... lodando insieme Dio e godendo la
simpatia di tutto il popolo » (At 2,41-42,47). Da
allora la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in
assemblea per celebrare il mistero pasquale:
leggendo « in tutte le Scritture ciò che lo
riguardava» (Lc 24,27), celebrando l'eucaristia,
nella quale « vengono resi presenti la vittoria e il
trionfo della sua morte » [19]
e rendendo grazie «a Dio per il suo dono ineffabile»
(2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, «a lode della sua
gloria» (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo.
Cristo è presente nella liturgia
7. Per
realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre
presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle
azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della
messa, sia nella persona del ministro, essendo egli
stesso che, « offertosi una volta sulla croce [20],
offre ancora se stesso tramite il ministero dei
sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie
eucaristiche. È presente con la sua virtù nei
sacramenti, al punto che quando uno battezza è
Cristo stesso che battezza [21].
È presente nella sua parola, giacché è lui che parla
quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È
presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui
che ha promesso:
« Dove sono
due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo
a loro » (Mt 18,20).
Effettivamente per il compimento di quest'opera così
grande, con la quale viene resa a Dio una gloria
perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo
associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima,
la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di
lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente
perciò la liturgia è considerata come l'esercizio
della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa,
la santificazione dell'uomo è significata per mezzo
di segni sensibili e realizzata in modo proprio a
ciascuno di essi; in essa il culto pubblico
integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù
Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò
ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di
Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è
azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione
della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso
titolo e allo stesso grado.
Liturgia terrena e liturgia celeste
8. Nella
liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione
alla liturgia celeste che viene celebrata nella
santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo
come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di
Dio [22]
quale ministro del santuario e del vero tabernacolo;
insieme con tutte le schiere delle milizie celesti
cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con
venerazione i santi, speriamo di aver parte con
essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro
Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che
è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui
nella gloria [23].
La
liturgia non esaurisce l'azione della Chiesa
9. La sacra
liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa.
Infatti, prima che gli uomini possano accostarsi
alla liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede
e alla conversione: «Come potrebbero invocare colui
nel quale non hanno creduto? E come potrebbero
credere in colui che non hanno udito? E come lo
potrebbero udire senza chi predichi? E come
predicherebbero senza essere stati mandati?» (Rm
10,14-15). Per questo motivo la Chiesa annunzia il
messaggio della salvezza a coloro che ancora non
credono, affinché tutti gli uomini conoscano l'unico
vero Dio e il suo inviato, Gesù Cristo, e cambino la
loro condotta facendo penitenza [24].
Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di
predicare la fede e la penitenza; deve inoltre
disporli ai sacramenti, insegnar loro ad osservare
tutto ciò che Cristo ha comandato [25],
ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e
di apostolato, per manifestare attraverso queste
opere che i seguaci di Cristo, pur non essendo di
questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e
rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini.
...
ma ne è il culmine e la fonte
10.
Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende
l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte
da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro
apostolico, infatti, è ordinato a che tutti,
diventati figli di Dio mediante la fede e il
battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio
nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla
mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i
fedeli, nutriti dei « sacramenti pasquali », a
vivere « in perfetta unione » [26];
prega affinché « esprimano nella vita quanto hanno
ricevuto mediante la fede » [27];
la rinnovazione poi dell'alleanza di Dio con gli
uomini nell'eucaristia introduce i fedeli nella
pressante carità di Cristo e li infiamma con essa.
Dalla liturgia, dunque, e particolarmente
dall'eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la
grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella
santificazione degli uomini nel Cristo e quella
glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a
loro fine, tutte le altre attività della Chiesa.
Necessità delle disposizioni personali
11. Ad
ottenere però questa piena efficacia, è necessario
che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con
retta disposizione d'animo, armonizzino la loro
mente con le parole che pronunziano e cooperino con
la grazia divina per non riceverla invano [28].
Perciò i pastori di anime devono vigilare attenta
mente che nell'azione liturgica non solo siano
osservate le leggi che rendono possibile una
celebrazione valida e lecita, ma che i fedeli vi
prendano parte in modo consapevole, attivo e
fruttuoso.
Liturgia e preghiera personale
12. La vita
spirituale tuttavia non si esaurisce nella
partecipazione alla sola liturgia Il cristiano,
infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è
sempre tenuto a entrare nella propria stanza per
pregare il Padre in segreto [29];
anzi, secondo l'insegnamento dell'Apostolo [30],
è tenuto a pregare incessantemente. L'Apostolo ci
insegna anche a portare continuamente nel nostro
corpo i patimenti di Gesù morente, affinché anche la
vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale
[31].
Per questo nel sacrificio della messa preghiamo il
Signore che, « accettando l'offerta del sacrificio
spirituale », faccia « di noi stessi un'offerta
eterna» [32].
Liturgia e pii esercizi
13. I « pii
esercizi » del popolo cristiano, purché siano
conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, sono
vivamente raccomandati, soprattutto quando si
compiono per mandato della Sede apostolica. Di
speciale dignità godono anche quei « sacri esercizi
» delle Chiese particolari che vengono compiuti per
disposizione dei vescovi, secondo le consuetudini o
i libri legittimamente approvati. Bisogna però che
tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi
liturgici e in modo da armonizzarsi con la liturgia;
derivino in qualche modo da essa e ad essa
introducano il popolo, dal momento che la liturgia è
per natura sua di gran lunga superiore ai pii
esercizi.
II.
Necessità di promuovere l'educazione liturgica e la
partecipazione attiva
14. È
ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i
fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e
attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche,
che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e
alla quale il popolo cristiano, « stirpe eletta,
sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato
» (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in
forza del battesimo. A tale piena e attiva
partecipazione di tutto il popolo va dedicata una
specialissima cura nel quadro della riforma e della
promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e
indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono
attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i
pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale
devono sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata
formazione. Ma poiché non si può sperare di ottenere
questo risultato, se gli stessi pastori d'anime non
saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e
della forza della liturgia e se non ne diventeranno
maestri, è assolutamente necessario dare il primo
posto alla formazione liturgica del clero. Pertanto
il sacro Concilio ha stabilito quanto segue.
Gli
insegnanti di liturgia
15. Coloro
che vengono destinati all'insegnamento della sacra
liturgia nei seminari, negli studentati religiosi e
nelle facoltà teologiche devono ricevere una
speciale formazione per tale compito in istituti a
ciò destinati.
L'insegnamento della liturgia
16. Nei
seminari e negli studentati religiosi la sacra
liturgia va computata tra le materie necessarie e
più importanti e, nelle facoltà teologiche, tra le
materie principali; inoltre va insegnata sia sotto
l'aspetto teologico che sotto l'aspetto storico,
spirituale, pastorale e giuridico. A loro volta i
professori delle altre materie, soprattutto della
teologia dommatica, della sacra Scrittura, della
teologia spirituale e pastorale abbiano cura di
mettere in rilievo, secondo le intrinseche esigenze
di ogni disciplina, il mistero di Cristo e la storia
della salvezza, in modo che la loro connessione con
la liturgia e l'unità della formazione sacerdotale
risulti chiara.
Formazione liturgica dei chierici
17. Nei
seminari e nelle case religiose i chierici ricevano
una formazione spirituale a sfondo liturgico,
mediante una opportuna iniziazione che li metta in
grado di penetrare il senso dei sacri riti e di
prendervi parte con tutto il loro animo, mediante la
celebrazione stessa dei sacri misteri e mediante
altre pratiche di pietà imbevute di spirito
liturgico. Parimenti imparino ad osservare le leggi
liturgiche, di modo che la vita dei seminari e degli
istituti religiosi sia profondamente permeata di
spirito liturgico.
Aiuto
ai sacerdoti
18. I
sacerdoti, sia secolari che religiosi, che già
lavorano nella vigna del Signore, vengano aiutati
con tutti i mezzi opportuni a penetrare sempre più
il senso di ciò che compiono nelle sacre funzioni, a
vivere la vita liturgica e a condividerla con i
fedeli loro affidati.
Formazione liturgica dei fedeli
19. I
pastori d'anime curino con zelo e con pazienza la
formazione liturgica, come pure la partecipazione
attiva dei fedeli, sia interna che esterna, secondo
la loro età, condizione, genere di vita e cultura
religiosa. Assolveranno così uno dei principali
doveri del fedele dispensatore dei misteri di Dio. E
in questo campo cerchino di guidare il loro gregge
non solo con la parola ma anche con l'esempio.
Liturgia e mezzi audiovisivi
20. Le
trasmissioni radiofoniche e televisive di funzioni
sacre, specialmente se si tratta della santa messa,
siano fatte con discrezione e decoro, sotto la
direzione e la garanzia di persona competente,
destinata a tale ufficio dai vescovi.
III. La
riforma della sacra liturgia
21. Perché
il popolo cristiano ottenga più sicuramente le
grazie abbondanti che la sacra liturgia racchiude,
la santa madre Chiesa desidera fare un'accurata
riforma generale della liturgia. Questa infatti
consta di una parte immutabile, perché di
istituzione divina, e di parti suscettibili di
cambiamento, che nel corso dei tempi possono o
addirittura devono variare, qualora si siano
introdotti in esse elementi meno rispondenti alla
intima natura della liturgia stessa, oppure queste
parti siano diventate non più idonee. In tale
riforma l'ordinamento dei testi e dei riti deve
essere condotto in modo che le sante realtà che essi
significano, siano espresse più chiaramente e il
popolo cristiano possa capirne più facilmente il
senso e possa parteciparvi con una celebrazione
piena, attiva e comunitaria. A tale scopo il sacro
Concilio ha stabilito le seguenti norme di carattere
generale.
A) Norme
generali
L'ordinamento liturgico compete alla gerarchia
22.
- Regolare la sacra liturgia compete
unicamente all'autorità della Chiesa, la quale
risiede nella Sede apostolica e, a norma del
diritto, nel vescovo.
- In base ai poteri concessi dal diritto,
regolare la liturgia spetta, entro limiti
determinati, anche alle competenti assemblee
episcopali territoriali di vario genere
legittimamente costituite.
- Di conseguenza assolutamente nessun altro,
anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa,
aggiungere, togliere o mutare alcunché in
materia liturgica.
Sana
tradizione e legittimo progresso
23. Per
conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la
via ad un legittimo progresso, la revisione delle
singole parti della liturgia deve essere sempre
preceduta da un'accurata investigazione teologica,
storica e pastorale. Inoltre devono essere prese in
considerazione sia le leggi generali della struttura
e dello spirito della liturgia, sia l'esperienza
derivante dalle più recenti riforme liturgiche e
dagli indulti qua e là concessi. Infine non si
introducano innovazioni se non quando lo richieda
una vera e accertata utilità della Chiesa, e con
l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano
organicamente, in qualche maniera, da quelle già
esistenti. Si evitino anche, per quanto è possibile,
notevoli differenze di riti tra regioni confinanti.
Bibbia e liturgia
24. Nella
celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una
importanza estrema. Da essa infatti si attingono le
letture che vengono poi spiegate nell'omelia e i
salmi che si cantano; del suo afflato e del suo
spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i
carmi liturgici; da essa infine prendono significato
le azioni e i simboli liturgici. Perciò, per
promuovere la riforma, il progresso e l'adattamento
della sacra liturgia, è necessario che venga
favorito quel gusto saporoso e vivo della sacra
Scrittura, che è attestato dalla venerabile
tradizione dei riti sia orientali che occidentali.
Revisione dei libri liturgici
25. I libri
liturgici siano riveduti quanto prima, servendosi di
persone competenti e consultando vescovi di diversi
paesi del mondo.
B) Norme
derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria
della liturgia
26. Le
azioni liturgiche non sono azioni private ma
celebrazioni della Chiesa, che è «sacramento
dell'unità », cioè popolo santo radunato e ordinato
sotto la guida dei vescovi [33].
Perciò tali azioni appartengono all'intero corpo
della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; ma i
singoli membri vi sono interessati in diverso modo,
secondo la diversità degli stati, degli uffici e
della partecipazione effettiva.
Preferire la celebrazione comunitaria
27. Ogni
volta che i riti comportano, secondo la particolare
natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria
caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione
attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da
preferirsi, per quanto è possibile, alla
celebrazione individuale e quasi privata. Ciò vale
soprattutto per la celebrazione della messa benché
qualsiasi messa abbia sempre un carattere pubblico e
sociale e per l'amministrazione dei sacramenti.
Dignità della celebrazione liturgica
28. Nelle
celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o
semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio si
limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo
la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua
competenza.
Educazione allo spirito liturgico
29. Anche i
ministranti, i lettori, i commentatori e i membri
della « schola cantorum » svolgono un vero ministero
liturgico. Essi perciò esercitino il proprio ufficio
con quella sincera pietà e con quel buon ordine che
conviene a un così grande ministero e che il popolo
di Dio esige giustamente da essi. Bisogna dunque che
tali persone siano educate con cura, ognuna secondo
la propria condizione, allo spirito liturgico, e
siano formate a svolgere la propria parte secondo le
norme stabilite e con ordine.
Partecipazione attiva dei fedeli
30. Per
promuovere la partecipazione attiva, si curino le
acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei
salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i
gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche,
a tempo debito, un sacro silenzio.
31. Nella
revisione dei libri liturgici si abbia cura che le
rubriche tengano conto anche delle parti dei fedeli.
Liturgia e condizioni sociali
32. Nella
liturgia, tranne la distinzione che deriva
dall'ufficio liturgico e dall'ordine sacro, e tranne
gli onori dovuti alle autorità civili a norma delle
leggi liturgiche, non si faccia alcuna preferenza di
persone private o di condizioni sociali, sia nelle
cerimonie sia nelle solennità esteriori.
C) Norme
derivanti dalla natura didattica e pastorale della
liturgia
33. Benché
la sacra liturgia sia principalmente culto della
maestà divina, tuttavia presenta anche un grande
valore pedagogico per il popolo credente [34].
Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e
Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a
sua volta risponde a Dio con il canto e con la
preghiera. Anzi, le preghiere rivolte a Dio dal
sacerdote che presiede l'assemblea nel ruolo di
Cristo, vengono dette a nome di tutto il popolo
santo e di tutti gli astanti. Infine, i segni
visibili di cui la sacra liturgia si serve per
significare le realtà invisibili, sono stati scelti
da Cristo o dalla Chiesa. Perciò non solo quando si
legge « ciò che fu scritto a nostra istruzione » (Rm
15,4) ma anche quando la Chiesa prega o canta o
agisce, la fede dei partecipanti è alimentata, le
menti sono elevate verso Dio per rendergli un
ossequio ragionevole e ricevere con più abbondanza
la sua grazia. Pertanto, nell'attuazione della
riforma, si tenga conto delle seguenti norme
generali.
Semplicità e decoro dei riti
34. I riti
splendano per nobile semplicità; siano trasparenti
per il fatto della loro brevità e senza inutili
ripetizioni; siano adattati alla capacità di
comprensione dei fedeli né abbiano bisogno,
generalmente, di molte spiegazioni.
Bibbia, predicazione e catechesi liturgica
35.
Affinché risulti evidente che nella liturgia rito e
parola sono intimamente connessi:
1) Nelle
sacre celebrazioni si restaurerà una lettura della
sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio
scelta.
2) Il
momento più adatto per la predicazione, che fa parte
dell'azione liturgica, nella misura in cui il rito
lo permette, sia indicato anche nelle rubriche e il
ministero della parola sia adempiuto con fedeltà e
nel debito modo. La predicazione poi attinga
anzitutto alle fonti della sacra Scrittura e della
liturgia, poiché essa è l'annunzio delle mirabili
opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel
mistero di Cristo, mistero che è in mezzo a noi
sempre presente e operante, soprattutto nelle
celebrazioni liturgiche.
3) Si
cerchi anche di inculcare in tutti i modi una
catechesi più direttamente liturgica; negli stessi
riti siano previste, quando necessario, brevi
didascalie composte con formule prestabilite o con
parole equivalenti e destinate a essere recitate dal
sacerdote o dal ministro competente nei momenti più
opportuni.
4) Si
promuova la celebrazione della parola di Dio, alla
vigilia delle feste più solenni, in alcune ferie
dell'avvento e della quaresima, nelle domeniche e
nelle feste, soprattutto nei luoghi dove manca il
sacerdote; nel qual caso diriga la celebrazione un
diacono o altra persona delegata dal vescovo.
Latino e lingue nazionali nella liturgia
36.
- L'uso della lingua latina, salvo diritti
particolari, sia conservato nei riti latini.
- Dato però che, sia nella messa che
nell'amministrazione dei sacramenti, sia in
altre parti della liturgia, non di rado l'uso
della lingua nazionale può riuscire di grande
utilità per il popolo, si conceda alla lingua
nazionale una parte più ampia, specialmente
nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune
preghiere e canti, secondo le norme fissate per
i singoli casi nei capitoli seguenti.
- In base a queste norme, spetta alla
competente autorità ecclesiastica territoriale,
di cui all'art. 22- 2 (consultati anche, se è il
caso, i vescovi delle regioni limitrofe della
stessa lingua) decidere circa l'ammissione e
l'estensione della lingua nazionale. Tali
decisioni devono essere approvate ossia
confermate dalla Sede apostolica.
- La traduzione del testo latino in lingua
nazionale da usarsi nella liturgia deve essere
approvata dalla competente autorità
ecclesiastica territoriale di cui sopra.
D) Norme
per un adattamento all'indole e alle tradizioni dei
vari Popoli
37. La
Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene
comune generale, non intende imporre, neppure nella
liturgia, una rigida uniformità; rispetta anzi e
favorisce le qualità e le doti di animo delle varie
razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nel
costume dei popoli non è indissolubilmente legato a
superstizioni o ad errori, essa lo considera con
benevolenza e, se possibile, lo conserva inalterato,
e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché
possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito
liturgico.
38. Salva
la sostanziale unità del rito romano, anche nella
revisione dei libri liturgici si lasci posto alle
legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai
vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto
nelle missioni; e sarà bene tener opportunamente
presente questo principio nella struttura dei riti e
nell'ordinamento delle rubriche.
39. Entro i
limiti stabiliti nelle edizioni tipiche dei libri
liturgici, spetterà alla competente autorità
ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22 - 2,
determinare gli adattamenti, specialmente riguardo
all'amministrazione dei sacramenti, ai sacramentali,
alle processioni, alla lingua liturgica, alla musica
sacra e alle arti, sempre però secondo le norme
fondamentali contenute nella presente costituzione.
Progressivo adattamento liturgico
40. Dato
però che in alcuni luoghi e particolari circostanze
si rende urgente un più profondo adattamento della
liturgia, che per conseguenza è più difficile:
1) Dalla
competente autorità ecclesiastica territoriale, di
cui all'art. 22 - 2, venga preso in esame, con
attenzione e prudenza, ciò che dalle tradizioni e
dall'indole dei vari popoli può opportunamente
essere ammesso nel culto divino. Gli adattamenti
ritenuti utili o necessari vengano proposti alla
Sede apostolica, per essere introdotti col suo
consenso.
2) Affinché
poi l'adattamento sia fatto con la necessaria
cautela, la Sede apostolica darà facoltà, se è il
caso, alla medesima autorità ecclesiastica
territoriale di permettere e dirigere, presso alcuni
gruppi a ciò preparati e per un tempo determinato, i
necessari esperimenti preliminari.
3) Poiché
in materia di adattamento, di solito le leggi
liturgiche comportano difficoltà particolari
soprattutto nelle missioni, nel formularle si
ricorra a persone competenti in materia.
IV. La
vita liturgica nella diocesi e nella parrocchia
41. Il
vescovo deve essere considerato come il grande
sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in
certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò
tutti devono dare la più grande importanza alla vita
liturgica della diocesi che si svolge intorno al
vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale,
convinti che c'è una speciale manifestazione della
Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto
il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni
liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia,
alla medesima preghiera, al medesimo altare cui
presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e
ministri [35].
Vita
liturgica parrocchiale
42. Poiché
nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere
personalmente sempre e ovunque l'intero suo gregge,
deve costituire necessariamente dei gruppi di
fedeli, tra cui hanno un posto preminente le
parrocchie organizzate localmente e poste sotto la
guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse
infatti rappresentano in certo modo la Chiesa
visibile stabilita su tutta la terra. Per questo
motivo la vita liturgica della parrocchia e il suo
legame con il vescovo devono essere coltivati
nell'animo e nell'azione dei fedeli e del clero; e
bisogna fare in modo che il senso della comunità
parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione
comunitaria della messa domenicale.
V.
L'incremento dell'azione pastorale liturgica
43. Lo zelo
per la promozione e il rinnovamento della liturgia è
giustamente considerato come un segno dei
provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come
un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa;
esso imprime una nota caratteristica alla vita della
Chiesa stessa, anzi a tutto il modo di sentire e di
agire religioso del nostro tempo. Per la qual cosa,
per favorire sempre più questa azione pastorale
liturgica nella Chiesa, il sacro Concilio
stabilisce:
Commissione liturgica nazionale
44.
Conviene che la competente autorità ecclesiastica
territoriale, di cui all'art. 22 - 2, istituisca una
commissione liturgica, la quale si serva dell'aiuto
di esperti in liturgia, in musica e arte sacra e in
pastorale. La suddetta commissione sia coadiuvata
possibilmente da qualche istituto di liturgia
pastorale, senza escludere tra i suoi membri, se è
utile, la presenza di laici particolarmente esperti
in queste materie. Sarà compito della stessa
commissione, sotto la guida dell'autorità
ecclesiastica territoriale, di cui si è parlato,
dirigere l'attività pastorale liturgica nel
territorio di sua competenza e promuovere gli studi
e i necessari esperimenti ogni volta che si tratti
di adattamenti da proporsi alla Sede apostolica.
Commissione liturgica diocesana
45.
Parimenti sia costituita nelle singole diocesi la
commissione di sacra liturgia allo scopo di
promuovere, sotto la guida del vescovo, l'apostolato
liturgico. Talvolta può essere opportuno che più
diocesi costituiscano una sola commissione per
promuovere di comune accordo l'apostolato liturgico.
Altre
commissioni
46. Oltre
alla commissione di sacra liturgia, siano costituite
in ogni diocesi, per quanto possibile, anche le
commissioni di musica sacra e di arte sacra. È
necessario che queste tre commissioni collaborino
tra di loro, anzi talora potrà essere opportuno che
formino un unica commissione.
CAPITOLO II
IL MISTERO
EUCARISTICO
La
messa e il mistero pasquale
47. Il
nostro Salvatore nell'ultima cena, la notte in cui
fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del
suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei
secoli fino al suo ritorno il sacrificio della
croce, e per affidare così alla sua diletta sposa,
la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua
resurrezione: sacramento di amore, segno di unità,
vincolo di carità [36],
convito pasquale, nel quale si riceve Cristo,
l'anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno
della gloria futura [37].
Partecipazione attiva dei fedeli alla messa
48. Perciò
la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non
assistano come estranei o muti spettatori a questo
mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei
suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino
all'azione sacra consapevolmente, piamente e
attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si
nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano
grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non
soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con
lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in
giorno, per la mediazione di Cristo, siano
perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro [38],
di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.
49.
Affinché poi il sacrificio della messa raggiunga la
sua piena efficacia pastorale anche nella forma
rituale, il sacro Concilio, in vista delle messe
celebrate con partecipazione di popolo, specialmente
la domenica e i giorni di precetto, stabilisce
quanto segue:
Revisione dell'ordinario della messa
50.
L'ordinamento rituale della messa sia riveduto in
modo che apparisca più chiaramente la natura
specifica delle singole parti e la loro mutua
connessione, e sia resa più facile la partecipazione
pia e attiva dei fedeli.
Per questo
i riti, conservata fedelmente la loro sostanza,
siano semplificati; si sopprimano quegli elementi
che, col passare dei secoli, furono duplicati o
aggiunti senza grande utilità; alcuni elementi
invece, che col tempo andarono perduti, siano
ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, nella
misura che sembrerà opportuna o necessaria.
Una
più grande ricchezza biblica
51.
Affinché la mensa della parola di Dio sia preparata
ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti
più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in
un determinato numero di anni, si legga al popolo la
maggior parte della sacra Scrittura.
L'omelia
52. Si
raccomanda vivamente l'omelia, che è parte
dell'azione liturgica. In essa nel corso dell'anno
liturgico vengano presentati i misteri della fede e
le norme della vita cristiana, attingendoli dal
testo sacro. Nelle messe della domenica e dei giorni
festivi con partecipazione di popolo non si ometta
l'omelia se non per grave motivo.
La «
preghiera dei fedeli »
53. Dopo il
Vangelo e l'omelia, specialmente la domenica e le
feste di precetto, sia ripristinata la «orazione
comune» detta anche «dei fedeli», in modo che, con
la partecipazione del popolo, si facciano speciali
preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci
governano, per coloro che si trovano in varie
necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di
tutto il mondo [39].
Lingua nazionale e latino nella messa
54. Nelle
messe celebrate con partecipazione di popolo si
possa concedere una congrua parte alla lingua
nazionale, specialmente nelle letture e nella «
orazione comune » e, secondo le condizioni dei vari
luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a
norma dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia
cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare
insieme, anche in lingua latina, le parti
dell'ordinario della messa che spettano ad essi. Se
poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più
ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi
quanto prescrive l'art. 40 di questa costituzione.
Comunione sotto le due specie
55. Si
raccomanda molto quella partecipazione più perfetta
alla messa, nella quale i fedeli, dopo la comunione
del sacerdote, ricevono il corpo del Signore con i
pani consacrati in questo sacrificio. Fermi restando
i principi dottrinali stabiliti dal Concilio di
Trento [40],
la comunione sotto le due specie si può concedere
sia ai chierici e religiosi sia ai laici, in casi da
determinarsi dalla sede apostolica e secondo il
giudizio del vescovo, come per esempio agli ordinati
nella messa della loro sacra ordinazione, ai
professi nella messa della loro professione
religiosa, ai neofiti nella messa che segue il
battesimo.
Unità
della messa
56. Le due
parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè
la liturgia della parola e la liturgia eucaristica,
sono congiunte tra di loro così strettamente da
formare un solo atto di culto. Perciò il sacro
Concilio esorta caldamente i pastori d'anime ad
istruire con cura i fedeli nella catechesi, perché
partecipino a tutta la messa, specialmente la
domenica e le feste di precetto.
La
concelebrazione
57.
1. La
concelebrazione, che manifesta in modo appropriato
l'unità del sacerdozio, è rimasta in uso fino ad
oggi nella Chiesa, tanto in Oriente che in
Occidente. Perciò al Concilio è sembrato opportuno
estenderne la facoltà ai casi seguenti:
1· a) al
giovedì santo, sia nella messa crismale che nella
messa vespertina;
b) alle
messe celebrate nei concili, nelle riunioni di
vescovi e nei sinodi;
c) alla
messa di benedizione di un abate.
2· Inoltre,
con il permesso dell'ordinario, a cui spetta
giudicare sulla opportunità della concelebrazione:
a) alla
messa conventuale e alla messa principale nelle
diverse chiese, quando l'utilità dei fedeli non
richieda che tutti i sacerdoti presenti celebrino
singolarmente;
b) alle
messe nelle riunioni di qualsiasi genere di
sacerdoti tanto secolari che religiosi.
2. 1·
Spetta al vescovo regolare la disciplina della
concelebrazione nella propria diocesi;
2· Resti
sempre però ad ogni sacerdote la facoltà di
celebrare la messa individualmente, purché non
celebri nel medesimo tempo e nella medesima chiesa
in cui si fa la concelebrazione, e neppure il
giovedì santo.
58. Venga
redatto un nuovo rito della concelebrazione da
inserirsi nel pontificale e nel messale romano.
CAPITOLO III
GLI ALTRI
SACRAMENTI E I SACRAMENTALI
Natura dei sacramenti
59. I
sacramenti sono ordinati alla santificazione degli
uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e,
infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno
poi anche un fine pedagogico. Non solo suppongono la
fede, ma con le parole e gli elementi rituali la
nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò
vengono chiamati « sacramenti della fede ».
Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa
celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla
con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad
esercitare la carità. È quindi di grande importanza
che i fedeli comprendano facilmente i segni dei
sacramenti e si accostino con somma diligenza a quei
sacramenti che sono destinati a nutrire la vita
cristiana.
60. La
santa madre Chiesa ha inoltre istituito i
sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei
quali, ad imitazione dei sacramenti, sono
significati, e vengono ottenuti per intercessione
della Chiesa effetti soprattutto spirituali. Per
mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere
l'effetto principale dei sacramenti e vengono
santificate le varie circostanze della vita.
61. Così la
liturgia dei sacramenti e dei sacramentali offre ai
fedeli ben disposti la possibilità di santificare
quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo
della grazia divina, che fluisce dal mistero
pasquale della passione, morte e resurrezione di
Cristo; mistero dal quale derivano la loro efficacia
tutti i sacramenti e i sacramentali. E così non
esiste quasi alcun uso retto delle cose materiali,
che non possa essere indirizzato alla santificazione
dell'uomo e alla ode di Dio.
Revisione dei riti sacramentali
62. Ma nel
corso dei secoli si sono introdotti nei riti dei
sacramenti e dei sacramentali alcuni elementi, che
oggi ne rendono meno chiari la natura e il fine; è
perciò necessario compiere in essi alcuni
adattamenti alle esigenze del nostro tempo, e per
questo il sacro Concilio stabilisce quanto segue per
una loro revisione.
La
lingua
63. Non di
rado nell'amministrazione dei sacramenti e dei
sacramentali può essere molto utile per il popolo
l'uso della lingua nazionale; le sia data quindi una
parte maggiore secondo le norme che seguono:
a)
nell'amministrazione dei sacramenti e dei
sacramentali si può usare la lingua nazionale a
norma dell'art. 36;
b) sulla
base della nuova edizione del rituale romano la
competente autorità ecclesiastica territoriale, di
cui all'art. 22 - 2 di questa costituzione, prepari
al più presto i rituali particolari adattati alle
necessità delle singole regioni, anche per quanto
riguarda la lingua; questi rituali saranno usati
nelle rispettive regioni dopo la revisione da parte
della Sede apostolica. Nel comporre i rituali
particolari o speciali collezioni di riti non si
omettano le istruzioni poste all'inizio dei singoli
riti nel rituale romano, sia quelle pastorali e
rubricali, sia quelle che hanno una speciale
importanza sociale.
Il
catecumenato
64. Si
ristabilisca il catecumenato degli adulti diviso in
più gradi, da attuarsi a giudizio dell'ordinario del
luogo; in questa maniera il tempo del catecumenato,
destinato ad una conveniente formazione, potrà
essere santificato con riti sacri da celebrarsi in
tempi successivi.
Revisione del rito battesimale
65. Nei
luoghi di missione sia consentito accogliere,
accanto agli elementi propri della tradizione
cristiana, anche elementi dell'iniziazione in uso
presso ogni popolo, nella misura in cui possono
essere adattati al rito cristiano, a norma degli
articoli 37-40 di questa costituzione.
66. Siano
riveduti entrambi i riti del battesimo degli adulti,
sia quello semplice sia quello più solenne connesso
con la restaurazione del catecumenato; e sia
inserita nel messale romano una messa propria « Nel
conferimento del battesimo ».
67. Sia
riveduto il rito del battesimo dei bambini e sia
adattato alla loro condizione reale. Nel rito stesso
siano maggiormente messi in rilievo il posto e i
doveri che hanno i genitori e i padrini.
68. Nel
rito del battesimo si prevedano certi adattamenti da
usarsi a giudizio dell'ordinario del luogo, in caso
di gran numero di battezzandi. Si componga pure un «
Rito più breve » che possa essere usato,
specialmente in terra di missione, dai catechisti e
in genere, in pericolo di morte, dai fedeli, quando
manchi un sacerdote o un diacono.
69. In
luogo del « Rito per supplire le cerimonie omesse su
un bambino già battezzato », se ne componga uno
nuovo, nel quale si esprima, in maniera più chiara e
più consona, che il bambino, battezzato con il rito
breve, è già stato accolto nella Chiesa. Si componga
pure un rito per coloro che, già validamente
battezzati, si convertono alla Chiesa cattolica. In
esso si esprima la loro ammissione nella comunione
della Chiesa.
70. Fuori
del tempo pasquale l'acqua battesimale può essere
benedetta nel corso dello stesso rito del battesimo
con una apposita formula più breve.
Revisione del rito della cresima
71. Sia
riveduto il rito della confermazione, anche perché
apparisca più chiaramente l'intima connessione di
questo sacramento con tutta l'iniziazione cristiana;
perciò è molto conveniente che la recezione di
questo sacramento sia preceduta dalla rinnovazione
delle promesse battesimali. Quando si ritenga
opportuno, la confermazione può essere conferita
anche durante la messa; per quanto riguarda invece
il rito da usarsi fuori della messa, si prepari una
formula che serva da introduzione.
Revisione del rito della penitenza
72. Si
rivedano il rito e le formule della penitenza in
modo che esprimano più chiaramente la natura e
l'effetto del sacramento.
L'unzione degli infermi
73.
L'«estrema unzione», che può essere chiamata anche,
e meglio, « unzione degli infermi », non è il
sacramento di coloro soltanto che sono in fin di
vita. Perciò il tempo opportuno per riceverlo ha
certamente già inizio quando il fedele, per
indebolimento fisico o per vecchiaia, incomincia ad
essere in pericolo di morte.
74. Oltre i
riti distinti dell'unzione degli infermi e del
viatico, si componga anche un « rito continuato »,
nel quale l'unzione sia conferita al malato dopo la
confessione e prima del viatico.
75. Il
numero delle unzioni sia riveduto tenendo conto
delle diverse situazioni, e le orazioni che
accompagnano il rito dell'unzione degli infermi
siano adattate in modo da rispondere alle diverse
condizioni dei malati che ricevono il sacramento.
Revisione del rito del sacramento dell'ordine
76. Il rito
delle ordinazioni sia riveduto quanto alle cerimonie
e quanto ai testi.
Le
allocuzioni del vescovo, all'inizio di ogni
ordinazione o consacrazione, possono essere fatte in
lingua nazionale. Nella consacrazione episcopale
tutti i vescovi presenti possono imporre le mani.
Revisione del rito del matrimonio
77. Il rito
della celebrazione del matrimonio, che si trova nel
rituale romano, sia riveduto e arricchito, in modo
che più chiaramente venga significata la grazia del
sacramento e vengano inculcati i doveri dei coniugi.
« Se nella celebrazione del sacramento del
matrimonio qualche regione usa altre consuetudini e
cerimonie degne di essere approvate, il sacro
Concilio desidera vivamente che queste vengano
senz'altro conservate » [41].
Inoltre alla competente autorità ecclesiastica
territoriale, di cui all'art. 22 - 2 di questa
costituzione, viene lasciata facoltà di preparare, a
norma dell'articolo 63, un rito proprio che risponda
agli usi dei luoghi e dei popoli, fermo però
restando l'obbligo che il sacerdote che assiste
chieda e riceva il consenso dei contraenti.
78. In via
ordinaria il matrimonio si celebri nel corso della
messa, dopo la lettura del Vangelo e l'omelia e
prima dell' « orazione dei fedeli ». La benedizione
della sposa, opportunamente ritoccata così da
inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere
della fedeltà vicendevole, può essere detta nella
lingua nazionale. Se poi il sacramento del
matrimonio viene celebrato senza la messa, si
leggano all'inizio del rito l'epistola e il Vangelo
della messa per gli sposi e si dia sempre la
benedizione agli sposi.
Revisione dei sacramentali
79. Si
faccia una revisione dei sacramentali, tenendo
presente il principio fondamentale di una cosciente,
attiva e facile partecipazione da parte dei fedeli e
avendo riguardo delle necessità dei nostri tempi.
Nella revisione dei rituali, da farsi a norma
dell'art. 63, si possono aggiungere, se necessario,
anche nuovi sacramentali. Le benedizioni riservate
siano pochissime e solo a favore dei vescovi o degli
ordinari. Si provveda che alcuni sacramentali,
almeno in particolari circostanze, e a giudizio
dell'ordinario, possano essere amministrati da laici
dotati delle qualità convenienti.
La
professione religiosa
80. Si
sottoponga a revisione il rito della consacrazione
delle vergini, che si trova nel pontificale romano.
Si componga inoltre un rito per la professione
religiosa e la rinnovazione dei voti, che
contribuisca ad una maggiore unità, sobrietà e
dignità; esso, salvo diritti particolari, dovrà
essere adottato da coloro che fanno la professione o
la rinnovazione dei voti durante la messa. È cosa
lodevole che la professione religiosa si faccia
durante la messa.
Revisione dei riti funebri
81. Il rito
delle esequie esprima più apertamente l'indole
pasquale della morte cristiana e risponda meglio,
anche quanto al colore liturgico, alle condizioni e
alle tradizioni delle singole regioni.
82. Si
riveda il rito della sepoltura dei bambini e sia
arricchito di una messa propria.
CAPITOLO IV
L'UFFICIO
DIVINO
L'ufficio divino opera di Cristo e della Chiesa
83. Cristo
Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna
alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto
in questo esilio terrestre quell'inno che viene
eternamente cantato nelle dimore celesti Egli unisce
a sé tutta l'umanità e se l'associa nell'elevare
questo divino canto di lode. Cristo continua ad
esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo
della sua Chiesa, che loda il Signore
incessantemente e intercede per la salvezza del
mondo non solo con la celebrazione dell'eucaristia,
ma anche in altri modi, specialmente recitando
l'ufficio divino.
84. Il
divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è
strutturato in modo da santificare tutto il corso
del giorno e della notte per mezzo della lode
divina. Quando poi a celebrare debitamente quel
mirabile canto di lode sono i sacerdoti o altri a
ciò deputati per istituzione della Chiesa, o anche i
fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le
forme approvate, allora è veramente la voce della
sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che
Cristo unito al suo corpo eleva al Padre.
85. Tutti
coloro pertanto che recitano questa preghiera
adempiono da una parte l'obbligo proprio della
Chiesa, e dall'altra partecipano al sommo onore
della Sposa di Cristo perché, lodando il Signore,
stanno davanti al trono di Dio in nome della madre
Chiesa.
Suo
valore pastorale
86. I
sacerdoti impegnati nel sacro ministero pastorale
reciteranno l'ufficio divino con tanto maggior
fervore, quanto più profondamente saranno convinti
del dovere di mettere in pratica l'esortazione di S.
Paolo: « Pregate senza interruzione » (1 Ts 5,17).
Infatti solo il Signore può dare efficacia ed
incremento al loro ministero, lui che ha detto: «
Senza di me non potete far nulla » (Gv 15,5). E per
questo gli apostoli, istituendo i diaconi, dissero:
« Noi invece continueremo a dedicarci assiduamente
alla preghiera e al ministero della parola (At 6,4).
87. Ma
affinché i sacerdoti e gli altri membri della Chiesa
possano meglio e più perfettamente recitare
l'ufficio divino nelle attuali condizioni di vita,
il sacro Concilio, continuando le riforme già
felicemente iniziate dalla Sede apostolica, ha
creduto bene stabilire quanto segue riguardo
all'ufficio di rito romano.
Rivedere l'ordinamento tradizionale
88. Scopo
dell'ufficio è la santificazione del giorno: perciò
l'ordinamento tradizionale dell'ufficio sia
riveduto, in modo che le diverse ore, per quanto è
possibile, corrispondano al loro vero tempo, tenendo
presenti però anche le condizioni della vita
contemporanea, in cui si trovano specialmente coloro
che attendono all'apostolato.
Norme
per la riforma dell'ufficio divino
89. Quindi,
nella riforma dell'ufficio, si osservino queste
norme:
a) Le lodi
come preghiera del mattino e i vespri come preghiera
della sera, che, secondo la venerabile tradizione di
tutta la Chiesa, sono il duplice cardine
dell'ufficio quotidiano, devono essere ritenute le
ore principali e come tali celebrate;
b) compieta
sia ordinata in modo che si adatti bene alla
conclusione della giornata;
c) L'ora
detta mattutino, pur conservando l'indole di
preghiera notturna per il coro, venga adattata in
modo da poter essere recitata in qualsiasi ora del
giorno; abbia un minor numero di salmi e letture più
lunghe;
d) L'ora di
prima sia soppressa;
e) Per il
coro si mantengano le ore minori di terza, sesta e
nona. Fuori di coro si può invece scegliere una
delle tre, quella cioè che meglio risponde al
momento della giornata.
L'ufficio divino fonte di pietà
90.
Inoltre, poiché l'ufficio divino, in quanto
preghiera pubblica della Chiesa, è fonte della pietà
e nutrimento della preghiera personale, si esortano
nel Signore i sacerdoti e tutti gli altri che
partecipano all'ufficio divino a fare in modo che,
nel recitarlo, l'anima corrisponda alla voce. A tale
scopo si procurino una conoscenza più abbondante
della liturgia e della Bibbia, specialmente dei
salmi. Nel compiere poi la riforma, il venerabile
tesoro secolare dell'ufficio romano venga adattato
in modo tale che possano usufruirne più largamente e
più facilmente tutti coloro ai quali è affidato.
Distribuzione dei salmi
91.
Affinché l'ordinamento dell'ufficio proposto
nell'articolo 89 possa essere veramente attuato, il
salterio sia distribuito non più in una settimana,
ma per uno spazio di tempo più lungo. L'opera di
revisione del salterio, felicemente incominciata,
venga condotta a termine al più presto, tenendo
presente il latino usato dai cristiani, l'uso che ne
fa la liturgia e le esigenze del canto, come pure
tutta la tradizione della Chiesa latina.
Norme
per le letture
92. Per
quanto riguarda le letture, si tengano presenti
queste norme:
a) la
lettura della sacra Scrittura sia ordinata in modo
che i tesori della parola divina siano accessibili
più facilmente e in maggiore ampiezza;
b) la
lettura delle opere dei Padri, dei dottori e degli
scrittori ecclesiastici sia meglio selezionata;
c) le
«passioni» o vite dei santi siano rivedute dal punto
di vista storico.
Revisione degli inni
93. Gli
inni, nella misura in cui la cosa sembrerà utile,
siano restituiti alla loro forma originale,
togliendo o mutando ciò che ha sapore mitologico o
che può essere meno conveniente alla pietà
cristiana. Secondo l'opportunità, poi, se ne
riprendano anche altri che si trovano nelle raccolte
innografiche.
94. Per
santificare veramente il giorno e per recitare le
ore con frutto spirituale, nella recita delle ore si
osservi il tempo che corrisponde più da vicino al
vero tempo naturale di ciascuna ora canonica.
Obbligo dell'ufficio divino
95. Le
comunità obbligate al coro sono tenute, oltre che
alla messa conventuale, anche a celebrare in coro
ogni giorno l'ufficio divino, e precisamente:
a) tutto
l'ufficio gli ordini di canonici, di monaci, di
monache e di altri regolari obbligati al coro per
diritto o in forza delle costituzioni;
b) quelle
parti dell'ufficio che vengono loro imposte dal
diritto comune o particolare: i capitoli delle
cattedrali e delle collegiate;
c) tutti i
membri, poi, di queste comunità, che abbiano
ricevuto gli ordini maggiori o che abbiano fatto la
professione solenne, eccetto i conversi, devono da
soli recitare quelle ore canoniche che non recitano
in coro.
96. I
chierici non obbligati al coro, se hanno ricevuto
gli ordini maggiori, devono, ogni giorno, in comune
o da soli, recitare tutto l'ufficio, a norma
dell'articolo 89.
97. Le
opportune commutazioni dell'ufficio divino con altre
azioni liturgiche siano definite nelle nuove
rubriche.
In casi
particolari e per giusta causa, gli ordinari possono
dispensare in tutto o in parte, oppure possono
commutare, per coloro che sono loro soggetti,
l'obbligo dell'ufficio.
98. I
membri degli istituti di perfezione, che, in forza
delle costituzioni, recitano qualche parte
dell'ufficio divino, praticano la preghiera pubblica
della Chiesa. Così pure praticano la preghiera
pubblica della Chiesa se, in forza delle
costituzioni, recitano qualche « piccolo ufficio »,
purché composto sullo schema dell'ufficio divino e
regolarmente approvato.
La
recita comunitaria dell'ufficio divino
99. Poiché
l'ufficio divino è la voce della Chiesa, ossia di
tutto il corpo mistico che loda pubblicamente Dio, è
raccomandabile che i chierici non obbligati al coro,
e specialmente i sacerdoti che vivono o che si
trovano insieme, recitino in comune almeno qualche
parte dell'ufficio divino. Tutti coloro, poi, che
recitano l'ufficio, sia in coro sia in comune,
compiano il dovere loro affidato il più
perfettamente possibile, sia quanto alla devozione
interiore, sia quanto alla realizzazione esteriore.
È bene inoltre che, secondo l'opportunità, l'ufficio
in coro e in comune sia cantato.
La
partecipazione dei fedeli all'ufficio divino
100.
Procurino i pastori d'anime che, nelle domeniche e
feste più solenni, le ore principali, specialmente i
vespri, siano celebrate in chiesa con partecipazione
comune. Si raccomanda che anche i laici recitino
l'ufficio divino o con i sacerdoti, o riuniti tra
loro, e anche da soli.
La lingua
dell'ufficio divino
101.
- Secondo la secolare tradizione del rito
latino, per i chierici sia conservata
nell'ufficio divino la lingua latina.
L'ordinario tuttavia potrà concedere l'uso della
versione in lingua nazionale, composta a norma
dell'art. 36, in casi singoli, a quei chierici
per i quali l'uso della lingua latina
costituisce un grave impedimento alla recita
dell'ufficio nel modo dovuto.
- Alle monache e ai membri degli istituti di
perfezione, sia uomini non chierici che donne,
il superiore competente può concedere l'uso
della lingua nazionale nell'ufficio divino,
anche celebrato in coro, purché la versione sia
approvata.
- Ogni chierico obbligato all'ufficio divino,
che lo recita in lingua nazionale con i fedeli o
con quelle persone ricordate al 2, soddisfa al
suo obbligo, purché il testo della versione sia
approvato.
CAPITOLO V
L'ANNO
LITURGICO
Il
senso dell'anno liturgico
102. La
santa madre Chiesa considera suo dovere celebrare
l'opera salvifica del suo sposo divino mediante una
commemorazione sacra, in giorni determinati nel
corso dell'anno. Ogni settimana, nel giorno a cui ha
dato il nome di domenica, fa memoria della
risurrezione del Signore, che essa celebra anche una
volta all'anno, unitamente alla sua beata passione,
con la grande solennità di Pasqua. Nel corso
dell'anno poi, distribuisce tutto il mistero di
Cristo dall'Incarnazione e dalla Natività fino
all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa
della beata speranza e del ritorno del Signore.
Ricordando in tal modo i misteri della redenzione,
essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni
salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende
come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli
di venirne a contatto e di essere ripieni della
grazia della salvezza.
103. Nella
celebrazione di questo ciclo annuale dei misteri di
Cristo, la santa Chiesa venera con particolare amore
la beata Maria, madre di Dio, congiunta
indissolubilmente con l'opera della salvezza del
Figlio suo: in Maria ammira ed esalta il frutto più
eccelso della redenzione, ed in lei contempla con
gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa
desidera e spera di essere nella sua interezza.
104. La
Chiesa ha inserito nel corso dell'anno anche la
memoria dei martiri e degli altri santi che, giunti
alla perfezione con l'aiuto della multiforme grazia
di Dio e già in possesso della salvezza eterna, in
cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono
per noi. Nel giorno natalizio dei santi infatti la
Chiesa proclama il mistero pasquale realizzato in
essi, che hanno sofferto con Cristo e con lui sono
glorificati; propone ai fedeli i loro esempi che
attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo; e
implora per i loro meriti i benefici di Dio.
105. La
Chiesa, infine, nei vari tempi dell'anno, secondo
una disciplina tradizionale, completa la formazione
dei fedeli per mezzo di pie pratiche spirituali e
corporali, per mezzo dell'istruzione, della
preghiera, delle opere di penitenza e di
misericordia. Pertanto al sacro Concilio è piaciuto
stabilire quanto segue:
Valorizzazione della domenica
106.
Secondo la tradizione apostolica, che ha origine
dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la
Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni,
in quello che si chiama giustamente <~ giorno del
Signore » o « domenica ». In questo giorno infatti i
fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la
parola di Dio e partecipare alla eucaristia e così
far memoria della passione, della risurrezione e
della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio,
che li « ha rigenerati nella speranza viva per mezzo
della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt
1,3). Per questo la domenica è la festa primordiale
che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei
fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e
di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta
alcun'altra solennità che non sia di grandissima
importanza, perché la domenica è il fondamento e il
nucleo di tutto l'anno liturgico.
Riforma dell'anno liturgico
107. L'anno
liturgico sia riveduto in modo che, conservati o
restaurati gli usi e gli ordinamenti tradizionali
dei tempi sacri secondo le condizioni di oggi, venga
mantenuto il loro carattere originale per alimentare
debitamente la pietà dei fedeli nella celebrazione
dei misteri della redenzione cristiana, ma
soprattutto nella celebrazione del mistero pasquale.
Gli adattamenti poi alle varie condizioni dei
luoghi, se saranno necessari, si facciano a norma
degli articoli 39 e 40.
108.
L'animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto
verso le feste del Signore, nelle quali durante il
corso dell'anno si celebrano i misteri della
salvezza. Perciò il proprio del tempo abbia il suo
giusto posto sopra le feste dei santi, in modo che
sia convenientemente celebrato l'intero ciclo dei
misteri della salvezza.
La
quaresima
109. Il
duplice carattere della quaresima--il quale,
soprattutto mediante il ricordo o la preparazione al
battesimo e mediante la penitenza, invita i fedeli
all'ascolto più frequente della parola di Dio e alla
preghiera e li dispone così a celebrare il mistero
pasquale--, sia posto in maggior evidenza tanto
nella liturgia quanto nella catechesi liturgica.
Perciò:
a) si
utilizzino più abbondantemente gli elementi
battesimali propri della liturgia quaresimale e, se
opportuno, se ne riprendano anche altri dall'antica
tradizione;
b) lo
stesso si dica degli elementi penitenziali. Quanto
alla catechesi poi, si inculchi nell'animo dei
fedeli, insieme con le conseguenze sociali del
peccato, quell'aspetto particolare della penitenza
che detesta il peccato come offesa di Dio. Né si
dimentichi il ruolo della Chiesa nell'azione
penitenziale e si solleciti la preghiera per i
peccatori.
110. La
penitenza quaresimale non sia soltanto interna e
individuale, ma anche esterna e sociale. E la
pratica penitenziale sia incoraggiata e raccomandata
dalle autorità, di cui all'art. 22, secondo le
possibilità del nostro tempo e delle diverse
regioni, nonché secondo le condizioni dei fedeli.
Sia però religiosamente conservato il digiuno
pasquale, da celebrarsi ovunque il venerdì della
passione e morte del Signore, e da protrarsi, se
possibile, anche al sabato santo, in modo da
giungere con cuore elevato e liberato alla gioia
della domenica di risurrezione.
Le
feste dei santi
111. La
Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi e
tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro
immagini. Le feste dei santi infatti proclamano le
meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai
fedeli opportuni esempi da imitare. Perché le feste
dei santi non abbiano a prevalere sulle feste che
commemorano i misteri della salvezza, molte di esse
siano celebrate da ciascuna Chiesa particolare,
nazione o famiglia religiosa; siano invece estese a
tutta la Chiesa soltanto quelle che celebrano santi
di importanza veramente universale.
CAPITOLO VI
LA MUSICA
SACRA
Dignità della musica sacra
112. La
tradizione musicale della Chiesa costituisce un
patrimonio d'inestimabile valore, che eccelle tra le
altre espressioni dell'arte, specialmente per il
fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte
necessaria ed integrante della liturgia solenne. Il
canto sacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura
[42],
sia dai Padri, sia dai romani Pontefici; costoro
recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno
sottolineato con insistenza il compito ministeriale
della musica sacra nel culto divino. Perciò la
musica sacra sarà tanto più santa quanto più
strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia
dando alla preghiera un'espressione più soave e
favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior
solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e
ammette nel culto divino tutte le forme della vera
arte, purché dotate delle qualità necessarie. Perciò
il sacro Concilio, conservando le norme e le
prescrizioni della disciplina e della tradizione
ecclesiastica e considerando il fine della musica
sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione
dei fedeli, stabilisce quanto segue.
La
liturgia solenne
113.
L'azione liturgica riveste una forma più nobile
quando i divini uffici sono celebrati solennemente
con il canto, con i sacri ministri e la
partecipazione attiva del popolo. Quanto all'uso
della lingua, si osservi l'art. 36; per la messa
l'art. 54; per i sacramenti l'art. 63; per l'ufficio
divino l'art. 101.
114. Si
conservi e si incrementi con grande cura il
patrimonio della musica sacra. Si promuovano con
impegno le « scholae cantorum » in specie presso le
chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori
d'anime curino diligentemente che in ogni azione
sacra celebrata con il canto tutta l'assemblea dei
fedeli possa partecipare attivamente, a norma degli
articoli 28 e 30.
Formazione musicale
115. Si
curi molto la formazione e la pratica musicale nei
seminari, nei noviziati dei religiosi e delle
religiose e negli studentati, come pure negli altri
istituti e scuole cattoliche. Per raggiungere questa
formazione si abbia cura di preparare i maestri
destinati all'insegnamento della musica sacra. Si
raccomanda, inoltre, dove è possibile, l'erezione di
istituti superiori di musica sacra. Ai musicisti, ai
cantori e in primo luogo ai fanciulli si dia anche
una vera formazione liturgica.
Canto
gregoriano e polifonico
116. La
Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto
proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni
liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi
il posto principale. Gli altri generi di musica
sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono
affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché
rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a
norma dell'art. 30.
117. Si
conduca a termine l'edizione tipica dei libri di
canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più
critica dei libri già editi dopo la riforma di S.
Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione
che contenga melodie più semplici, ad uso delle
chiese più piccole.
Canti
religiosi popolari
118. Si
promuova con impegno il canto religioso popolare in
modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle
stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite
dalle rubriche, possano risuonare le voci dei
fedeli.
La
musica sacra nelle missioni
119. In
alcune regioni, specialmente nelle missioni, si
trovano popoli con una propria tradizione musicale,
la quale ha grande importanza nella loro vita
religiosa e sociale. A questa musica si dia il
dovuto riconoscimento e il posto conveniente tanto
nell'educazione del senso religioso di quei popoli,
quanto nell'adattare il culto alla loro indole, a
norma degli articoli 39 e 40. Perciò, nella
formazione musicale dei missionari si procuri
diligentemente che, per quanto è possibile, essi
siano in grado di promuovere la musica tradizionale
di quei popoli, tanto nelle scuole, quanto nelle
azioni sacre.
L'organo e gli strumenti musicali
120. Nella
Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a
canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono
è in grado di aggiungere un notevole splendore alle
cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente
gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri
strumenti, poi, si possono ammettere nel culto
divino, a giudizio e con il consenso della
competente autorità ecclesiastica territoriale, a
norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano
adatti all'uso sacro o vi si possano adattare,
convengano alla dignità del tempio e favoriscano
veramente l'edificazione dei fedeli.
Missione dei compositori
121. I
musicisti animati da spirito cristiano comprendano
di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad
accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che
abbiano le caratteristiche della vera musica sacra;
che possano essere cantate non solo dalle maggiori «
scholae cantorum », ma che convengano anche alle «
scholae » minori, e che favoriscano la
partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei
fedeli. I testi destinati al canto sacro siano
conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi
di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti
liturgiche.
CAPITOLO VII
L'ARTE
SACRA E LA SACRA SUPPELLETTILE
Dignità dell'arte sacra
122. Fra le
più nobili attività dell'ingegno umano sono
annoverate, a pieno diritto, le belle arti,
soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice,
l'arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione
con l'infinita bellezza divina che deve essere in
qualche modo espressa dalle opere dell'uomo, e sono
tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua
lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine
è stato loro assegnato se non quello di contribuire
il più efficacemente possibile, con le loro opere, a
indirizzare religiosamente le menti degli uomini a
Dio. Per tali motivi la santa madre Chiesa ha sempre
favorito le belle arti, ed ha sempre ricercato il
loro nobile servizio, specialmente per far sì che le
cose appartenenti al culto sacro splendessero
veramente per dignità, decoro e bellezza, per
significare e simbolizzare le realtà soprannaturali;
ed essa stessa ha formato degli artisti. A riguardo,
anzi di tali arti, la Chiesa si è sempre ritenuta a
buon diritto come arbitra, scegliendo tra le opere
degli artisti quelle che rispondevano alla fede,
alla pietà e alle norme religiosamente tramandate e
che risultavano adatte all'uso sacro. Con speciale
sollecitudine la Chiesa si è preoccupata che la
sacra suppellettile servisse con la sua dignità e
bellezza al decoro del culto, ammettendo nella
materia, nella forma e nell'ornamento quei
cambiamenti che il progresso della tecnica ha
introdotto nel corso dei secoli. I Padri conciliari
hanno perciò deciso di stabilire su questo argomento
quanto segue.
Lo
stile artistico
123. La
Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare
stile artistico, ma, secondo l'indole e le
condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti,
ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca,
creando così, nel corso dei secoli, un tesoro
artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l'arte
del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia
nella Chiesa libertà di espressione, purché serva
con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle
esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In
tal modo essa potrà aggiungere la propria voce al
mirabile concento di gloria che uomini eccelsi
innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica.
124. Nel
promuovere e favorire una autentica arte sacra, gli
ordinari procurino di ricercare piuttosto una nobile
bellezza che una mera sontuosità. E ciò valga anche
per le vesti e gli ornamenti sacri. I vescovi
abbiano ogni cura di allontanare dalla casa di Dio e
dagli altri luoghi sacri quelle opere d'arte, che
sono contrarie alla fede, ai costumi e alla pietà
cristiana; che offendono il genuino senso religioso,
o perché depravate nelle forme, o perché
insufficienti, mediocri o false nell'espressione
artistica. Nella costruzione poi degli edifici sacri
ci si preoccupi diligentemente della loro idoneità a
consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e
la partecipazione attiva dei fedeli.
Le
immagini sacre
125. Si
mantenga l'uso di esporre nelle chiese le immagini
sacre alla venerazione dei fedeli. Tuttavia si
espongano in numero limitato e secondo una giusta
disposizione, affinché non attirino su di sé in
maniera esagerata l'ammirazione del popolo cristiano
e non favoriscano una devozione sregolata.
126. Quando
si tratta di dare un giudizio sulle opere d'arte,
gli ordinari del luogo sentano il parere della
commissione di arte sacra e, se è il caso, di altre
persone particolarmente competenti, come pure delle
commissioni di cui agli articoli 44, 45, 46. Gli
ordinari vigilino in maniera speciale a che la sacra
suppellettile o le opere preziose, che sono
ornamento della casa di Dio, non vengano alienate o
disperse.
Formazione degli artisti
127. I
vescovi, o direttamente o per mezzo di sacerdoti
idonei che conoscono e amano l'arte, si prendano
cura degli artisti, allo scopo di formarli allo
spirito dell'arte sacra e della sacra liturgia.
Si
raccomanda inoltre di istituire scuole o accademie
di arte sacra per la formazione degli artisti, dove
ciò sembrerà opportuno. Tutti gli artisti, poi, che
guidati dal loro talento intendono glorificare Dio
nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro
attività è in certo modo una sacra imitazione di Dio
creatore e che le loro opere sono destinate al culto
cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla
formazione religiosa dei fedeli.
La
legislazione sull'arte sacra
128. Si
rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici, a
norma dell'art. 25, i canoni e le disposizioni
ecclesiastiche che riguardano il complesso delle
cose esterne attinenti al culto sacro, e
specialmente quanto riguarda la costruzione degna e
appropriata degli edifici sacri, la forma e la
erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e
la sicurezza del tabernacolo eucaristico, la
funzionalità e la dignità del battistero, la
conveniente disposizione delle sacre immagini, della
decorazione e dell'ornamento. Quelle norme che
risultassero meno rispondenti alla riforma della
liturgia siano corrette o abolite; quelle invece che
risultassero favorevoli siano mantenute o
introdotte. A tale riguardo, soprattutto per quanto
si riferisce alla materia e alla forma della sacra
suppellettile e degli indumenti sacri, si concede
facoltà alle conferenze episcopali delle varie
regioni di fare gli adattamenti richiesti dalle
necessità e dalle usanze locali, a norma dell'art.
22 della presente costituzione.
Formazione artistica del clero
129. I
chierici, durante il corso filosofico e teologico,
siano istruiti anche sulla storia e sullo sviluppo
dell'arte sacra, come pure sui sani principi su cui
devono fondarsi le opere dell'arte sacra, in modo
che siano in grado di stimare e conservare i
venerabili monumenti della Chiesa e di offrire
consigli appropriati agli artisti nella
realizzazione delle loro opere.
Le
insegne pontificali
130. È
conveniente che l'uso delle insegne pontificali sia
riservato a quelle persone ecclesiastiche che sono
insignite del carattere episcopale o che hanno una
speciale giurisdizione.
APPENDICE
DICHIARAZIONE DEL CONCILIO VATICANO II
CIRCA LA RIFORMA DEL CALENDARIO
Il sacro
Concilio ecumenico Vaticano II, tenendo nel debito
conto il desiderio di molti di veder assegnata la
festa di Pasqua ad una determinata domenica e di
adottare un calendario fisso, dopo aver preso
accuratamente in esame le conseguenze che possono
derivare dalla introduzione di un nuovo calendario,
dichiara quanto segue:
- Il sacro Concilio non ha nulla in contrario
a che la festa di Pasqua venga assegnata ad una
determinata domenica nel calendario gregoriano,
purché vi sia l'assenso di coloro che ne sono
interessati, soprattutto i fratelli separati
dalla comunione con la Sede apostolica.
- Parimenti il sacro Concilio dichiara di non
opporsi alle iniziative che tendono ad
introdurre nella società civile un calendario
perpetuo. Però, tra i vari sistemi allo studio
per fissare un calendario perpetuo e introdurlo
nella società civile, la Chiesa si oppone a
quelli soltanto che non conservano e tutelano la
settimana di sette giorni con la domenica, senza
aggiunta di giorni fuori della settimana, in
modo che la successione delle settimane resti
intatta, a meno che intervengano gravissime
ragioni sulle quali dovrà pronunziarsi la Sede
apostolica.
4
dicembre 1963
NOTE
[1]
Messale romano, orazione sopra le offerte
della domenica IX dopo Pentecoste [nel Messale di
Paolo VI, domenica II del Tempo ordinario].
[2]
Cf. Eb 13,14
[3]
Cf. Ef 2,21-22.
[4]
Cf. Ef 4,13.
[5]
Cf. Is 11,12.
[6]
Cf. Gv 11,52.
[7]
Cf. Gv 10,16.
[8]
Cf. Is 61,1; Lc 4,18.
[9]
S. IGNAZIO D’ANTIOCHIA, Ad Eph. 7, 2; ed. F.
X. FUNK, Patres Apostolici I, Tubingae 1901,
p. 218.
[10]
Cf. 1 Tm 2,5.
[11]
Sacramentarium Veronense (Leonianum), ed. C.
Mohlberg, Romae 1956, n. 1265, p. 162.
[12]
Cf. Messale romano, Prefazio pasquale [I].
[13]
Cf. S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 138, 2;
Corpus Christianorum, 40, Turnholti 1956, p.
1991, e l’orazione dopo la seconda lettura del
Sabato santo, nel Messale romano, prima della
riforma della Settimana santa [nel Messale di Paolo
VI, Orazione sopra le offerte della Messa Pro
Ecclesia, B; ediz. italiana, Per la Chiesa
universale, 2].
[14]
Cf. Mc 16,15.
[15]
Cf. At 26,18.
[16]
Cf. Rm 6,4; Ef 2,6; Col 3,1; 2
Tm 2,11.
[17]
Cf. Gv 4,23.
[18]
Cf. 1 Cor 11,26.
[19]
CONCILIO DI TRENTO, Sess. XIII, 11 ott. 1551, Decr.
De Ss. Eucharist., c. 5: CONCILIUM
TRIDENTINUM, Diariorum, Actorum, Epistolarum,
Tractatuum nova collectio, ed. Soc. Goerresianae, t.
VII, Actorum, pars IV, Friburgi Brisgoviae
1961, p. 202 [Dz 1644; Collantes 9.142].
[20]
CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXII, 17 sett. 1562,
Dottr. De ss. Missae sacrif., c. 2: ed. cit., t.
VIII, Actorum pars V, Friburgi Brisgoviae
1919, p. 960 [Dz 1743; Collantes 9.175].
[21]
Cf. S. AGOSTINO, In Ioannis Evangelium Tractatus
VI, cap. I, n. 7: PL 35, 1428.
[22]
Cf. Ap 21,2; Col 3,1; Eb 8,2.
[23]
Cf. Fil 3,20; Col 3,4.
[24]
Cf. Gv 17,3; Lc 24,47; At 2,38.
[25]
Cf. Mt 28,20.
[26]
Messale romano, orazione dopo la Comunione
della Veglia Pasquale e della domenica della
Risurrezione [nel Messale di Paolo VI solo nella
Veglia].
[27]
Messale romano, colletta del martedì
nell’ottava di Pasqua [nel Messale di Paolo VI il
giorno prima].
[28]
Cf. 2 Cor 6,1.
[29]
Cf. Mt 6,6.
[30]
Cf. 1 Ts 5,17.
[31]
Cf. 2 Cor 4,10-11.
[32]
Messale romano, orazione sulle offerte del lunedì
nell’ottava di Pentecoste [nel Messale di Paolo VI,
sabato della II e VI settimana di Pasqua].
[33]
S. CIPRIANO, De cath. eccl. unitate, 7: ed.
G. HARTEL, in CSEL, t. III, I, Vindobonae 1868, pp.
215-216. Cf. Ep. 66, n. 8, 3; ed. cit. t. III,
2, Vindobonae 1871, pp. 732-733.
[34]
Cf. CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXII, 17 sett. 1562,
Dottr. De ss. Missae sacrif., c. 8, ed. cit.
[nota 19], t. VIII, p. 961 [Dz 1749; Collantes
9.181].
[35]
Cf. S. IGNAZIO D’ANTIOCHIA, Ad Magn. 7; Ad
Phil. 4; Ad Smyrn. 8: ed F. X. FUNK, cit.,
[nota 9], I, pp. 236, 266, 281.
[36]
Cf. S. AGOSTINO, In Ioannis Evangelium Tractatus
XXVI, cap. VI, n. 13: PL 35, 1613.
[37]
Breviario romano, Festa del Ss. Corpo di
Cristo, antifona al Magnificat dei II Vespri.
[38]
Cf. S. CIRILLO D’ALESS., Commentarium in Ioannis
Evangelium, lib. XI, capp. XI-XII: PG 74, 557-565,
specialmente 564-565.
[39]
Cf. 1 Tm 2,1-2.
[40]
Sess. XXI, 16 lug. 1562, Doctrina de communione
sub utraque specie et parvulorum, capp. 1-3,
cann. 1-3: CONCILIUM TRIDENTINUM, ed. cit.
[nota 19], t. VIII, pp. 698-699) [Dz 1726-29,
1731-33; Collantes 9.161-64, 9.166-68].
[41]
CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV, Decr. De
reformatione, cap. I: ed. cit. [nota 19], t. IX,
Actorum pars VI, Friburgi Brisgoviae 1924, p.
969. Cf. Rituale romanum, tit. VIII, c. II,
n. 6 [cf. Sacramento del matrimonio, nn.
14-20].
[42]
Cf. Ef 5,19; Col 3,16.
Fonti: Vaticano
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