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Ordine
Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo
Gran Priorato
d'Italia |
Concilio
Vaticano
II°
PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
DECRETO SULLE CHIESE
CATTOLICHE ORIENTALI
ORIENTALIUM ECCLESIARUM
PROEMIO
1. La Chiesa cattolica ha in grande stima le
istituzioni, i riti liturgici, le tradizioni
ecclesiastiche e la disciplina della vita
ecclesiastica della Chiese orientali. Si tratta
infatti di Chiese illustri e venerande per
antichità, in cui risplende la tradizione apostolica
tramandata dai Padri (1), che costituisce parte del
patrimonio divinamente rivelato e indiviso della
Chiesa universale. Perciò questo santo ed ecumenico
Concilio, preso da sollecitudine per le Chiese
orientali, che di questa tradizione sono testimoni
viventi, e desiderando che esse fioriscano e
assolvano con nuovo vigore apostolico la missione
loro affidata, oltre a quanto riguarda tutta la
Chiesa ha deciso di stabilire alcuni punti
principali, lasciando gli altri alla cura dei sinodi
orientali e della Sede apostolica.
CHIESE PARTICOLARI O RITI
Varietà di riti e unità
2. La Chiesa santa e cattolica, che è il corpo
mistico di Cristo, si compone di fedeli che sono
organicamente uniti nello Spirito Santo da una
stessa fede, dagli stessi sacramenti e da uno stesso
governo, e che unendosi in varie comunità stabili,
congiunti dalla gerarchia, costituiscono le Chiese
particolari o riti. Tra loro vige una mirabile
comunione, di modo che la varietà non solo non nuoce
alla unità della Chiesa, ma anzi la manifesta. È
infatti intenzione della Chiesa cattolica che
rimangano salve e integre le tradizioni di ogni
Chiesa o rito particolare; parimenti essa vuole
adattare il suo tenore di vita alle varie necessità
dei tempi e dei luoghi (2).
I riti godono di uguale dignità
3. Queste Chiese particolari, sia dell'Oriente
che dell'Occidente, sebbene siano in parte tra loro
differenti in ragione dei cosiddetti riti--cioè per
liturgia, per disciplina ecclesiastica e patrimonio
spirituale--tuttavia sono allo stesso modo affidate
al governo pastorale del romano Pontefice, il quale
per volontà divina succede al beato Pietro nel
primato sulla Chiesa universale. Esse quindi godono
di pari dignità, cosicché nessuna di loro prevale
sulle altre per ragioni di rito; fruiscono degli
stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi,
anche per quanto riguarda la predicazione del
Vangelo in tutto il mondo (cfr. Mc 16,15), sotto la
direzione del romano Pontefice.
Si studino i vari riti
4. Si provveda perciò in tutto il mondo a
tutelare e incrementare tutte le Chiese particolari
e a questo scopo si erigano parrocchie e una propria
gerarchia, dove lo richieda il bene spirituale dei
fedeli. Le gerarchie poi delle varie Chiese
particolari che hanno giurisdizione sullo stesso
territorio, procurino, col mutuo scambio di consigli
e in periodici incontri, di promuovere l'unità di
azione e di unire le loro forze per aiutare le opere
comuni, onde far progredire più speditamente il bene
della religione e più efficacemente tutelare la
disciplina del clero (3). Tutti i chierici e i
candidati agli ordini sacri siano bene istruiti sui
riti e specialmente circa le norme pratiche in
materie inter-rituali; anzi, nelle spiegazioni
catechetiche vengano istruiti anche i laici sui riti
e le loro norme. Infine, tutti e singoli i cattolici
e i battezzati di qualsiasi Chiesa o comunità
acattolica che vengano alla pienezza della comunione
cattolica, mantengano dovunque il loro proprio rito,
lo onorino e, in quanto è possibile, lo osservino
(4), salvo il diritto in casi particolari di
persone, comunità o regioni, di far ricorso alla
Sede apostolica; questa, quale suprema arbitra delle
relazioni inter-ecclesiali, provvederà essa stessa
alle necessità secondo lo spirito ecumenico, o farà
provvedere da altre autorità, dando opportune norme,
decreti o rescritti.
PATRIMONIO SPIRITUALE DELLE CHIESE
ORIENTALI
CHE DEV'ESSERE CONSERVATO
Benemerenze delle Chiese orientali
5. La storia, le tradizioni e molte istituzioni
ecclesiastiche chiaramente dimostrano quanto le
Chiese orientali si siano rese benemerite verso
tutta la Chiesa. Per questo il santo Concilio non
solo circonda di doverosa stima e di giusta lode
questo loro patrimonio ecclesiastico e spirituale,
ma lo considera fermamente quale patrimonio di tutta
la Chiesa (5). Dichiara quindi solennemente che le
Chiese d'Oriente come quelle di Occidente, hanno il
diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie
discipline particolari, poiché si raccomandano per
veneranda antichità, si accordano meglio con i
costumi dei loro fedeli e sono più adatte a
provvedere al bene delle loro anime.
Non si introducano mutamenti arbitrari nei
riti
6. Tutti gli orientali sappiano con tutta
certezza che possono sempre e devono conservare i
loro legittimi riti e la loro disciplina, e che non
si devono introdurre mutazioni, se non per ragione
del proprio organico progresso. Pertanto, tutte
queste cose devono essere con somma fedeltà
osservate dagli stessi orientali, i quali devono
acquistarne una conoscenza sempre più profonda e una
pratica più perfetta; qualora, per circostanze di
tempo o di persone, fossero indebitamente venuti
meno ad esse, procurino di ritornare alle avite
tradizioni. Quelli che per ragione o di ufficio o di
ministero apostolico hanno frequente relazione con
le Chiese orientali o con i loro fedeli, secondo
l'importanza dell'ufficio che occupano siano
accuratamente istruiti nella conoscenza e nella
pratica dei riti, della disciplina, della dottrina,
della storia e delle caratteristiche degli orientali
(6), Si raccomanda inoltre caldamente agli istituti
religiosi e alla associazioni di rito latino che
prestano la loro opera nelle regioni orientali o tra
i fedeli orientali, che per una maggiore efficacia
dell'apostolato, fondino, per quanto possibile, case
o anche province di rito orientale (7).
I PATRIARCHI ORIENTALI
I patriarchi orientali
7. Da tempi antichissimi vige nella Chiesa
l'istituzione patriarcale, già riconosciuta dai
primi Concili ecumenici (8). Col nome di patriarca
orientale si intende un vescovo, cui compete la
giurisdizione su tutti i vescovi, compresi i
metropoliti, il clero e i fedeli del proprio
territorio o rito, a norma del diritto e salvo
restando il primato del romano Pontefice (9).
Dovunque si costituisca un gerarca di qualche rito
fuori dei confini del territorio patriarcale, a
norma del diritto rimane aggregato alla gerarchia
del patriarcato dello stesso rito.
8. Sebbene alcuni patriarchi delle Chiese
orientali siano cronologicamente posteriori ad
altri, tuttavia sono tutti uguali quanto alla
dignità patriarcale, salva restando tra loro la
precedenza di onore legittimamente stabilita (10).
Onore e privilegi dei patriarchi orientali
9. Secondo un'antichissima tradizione della
Chiesa, ai patriarchi delle Chiese orientali è
riservato uno speciale onore, dato che ognuno
presiede al suo patriarcato come padre e capo.
Perciò questo santo Concilio stabilisce che siano
ripristinati i loro diritti e privilegi, secondo le
antiche tradizioni di ogni Chiesa e i decreti dei
Concili ecumenici (11).
Questi diritti e privilegi sono quelli vigenti al
tempo dell'unione dell'Oriente e dell'Occidente,
quantunque debbano essere alquanto adattati alle
odierne condizioni.
I patriarchi coi loro sinodi costituiscono la
superiore istanza per qualsiasi problema del
patriarcato, non escluso il diritto di costituire
nuove eparchie e di nominare vescovi del loro rito
entro i confini del territorio patriarcale, salvo
restando l'inalienabile diritto del romano Pontefice
di intervenire nei singoli casi.
Fondazione di nuovi patriarcati
10. Quanto si è detto dei patriarchi vale anche,
a norma del diritto, degli arcivescovi maggiori che
presiedono a tutta una Chiesa particolare o rito
(12).
11. Siccome l'istituzione patriarcale nelle
Chiese orientali è una forma tradizionale di
governo, il santo ed ecumenico Concilio desidera
che, dove sia necessario, si erigano nuovi
patriarcati, la cui fondazione è riservata al
Concilio ecumenico o al romano Pontefice (13).
DISCIPLINA DEI SACRAMENTI
Ristabilire l'antica disciplina dei
sacramenti
12. Il santo Concilio ecumenico conferma e loda
e, se occorre, desidera che venga ristabilita
l'antica disciplina dei sacramenti vigente presso le
Chiese orientali, e così pure la prassi spettante la
loro celebrazione e amministrazione.
La cresima
13. La disciplina circa il ministro della sacra
cresima, vigente fino dai più antichi tempi presso
gli orientali, sia pienamente ristabilita. Perciò i
sacerdoti possono conferire questo sacramento col
crisma benedetto dal patriarca o dal vescovo (14).
14. Tutti i sacerdoti orientali possono
validamente conferire questo sacramento, sia insieme
col battesimo sia separatamente, a tutti i fedeli di
qualsiasi rito, non escluso il latino, osservando,
per la liceità, le prescrizioni del diritto sia
comune sia particolare (15). Anche i sacerdoti di
rito latino, secondo le facoltà che godono circa
l'amministrazione di questo sacramento, possono
amministrarlo pure ai fedeli delle Chiese orientali,
senza pregiudizio al rito, osservando per la liceità
le prescrizioni del diritto sia comune che
particolare (16).
La liturgia domenicale
15. I fedeli sono tenuti la domenica e le feste a
intervenire alla divina liturgia o, secondo le
prescrizioni o consuetudini del proprio rito, alla
celebrazione delle lodi divine (17). Perché più
facilmente possano adempiere quest'obbligo, si
stabilisce che il tempo utile per soddisfarlo
decorra dai vespri della vigilia fino alla fine
delle domenica o giorno festivo (18). Si raccomanda
caldamente ai fedeli, che in questi giorni, anzi con
più frequenza e anche quotidianamente, ricevano la
santa eucaristica (19).
La confessione
16. Per la costante mescolanza di fedeli di
diverse Chiese particolari nella medesima regione o
territorio orientale, la facoltà dei sacerdoti di
qualsiasi rito di ricevere le confessioni, concessa
legittimamente e senza alcuna restrizione dai propri
sacri pastori, si estende a tutto il territorio del
concedente anche a tutti i luoghi e fedeli di
qualsiasi rito nello stesso territorio, a meno che
il pastore del luogo l'abbia espressamente negata
per i luoghi del suo rito (20).
L'ordine sacro
17. Perché nelle Chiese orientali abbia
nuovamente ad aver vigore l'antica disciplina del
sacramento dell'ordine, questo santo Concilio
caldamente desidera che sia ristabilita, dove sia
caduta in disuso, l'istituzione del diaconato
permanente (21). Quanto poi al suddiaconato e gli
ordini inferiori e i loro diritti e doveri, provveda
l'autorità legislativa di ciascuna Chiesa
particolare (22).
I matrimoni misti
18. Quando i cattolici orientali contraggono
matrimonio con acattolici orientali battezzati, il
santo Concilio, per prevenire i matrimoni invalidi e
nell'interesse della stabilità del matrimonio e
della pace domestica, stabilisce che per questi
matrimoni la forma canonica della celebrazione è
obbligatoria soltanto per la liceità. Per la
validità basta la presenza del sacro ministro, salvi
restando gli altri punti da osservarsi secondo il
diritto (23).
IL CULTO DIVINO
I giorni festivi
19. D'ora in poi spetta al solo Concilio
ecumenico o alla santa Sede stabilire, trasferire o
sopprimere giorni festivi comuni a tutte le Chiese
orientali. Invece lo stabilire, trasferire o
sopprimere feste per singole Chiese particolari
compete, oltre che alla Sede apostolica, a sinodi
patriarcali o arcivescovili, avuto tuttavia il
debito riguardo di tutta la regione e delle altre
Chiese particolari (24).
La Pasqua
20. Fino a che tra tutti i cristiani non si sarà
giunti al desiderato accordo circa la fissazione di
un unico giorno per la comune celebrazione della
festa di Pasqua, nel frattempo, per promuovere
l'unità fra i cristiani che vivono nella stessa
regione o nazione, è data facoltà ai patriarchi o
alle supreme autorità ecclesiastiche del luogo di
accordarsi, con unanime consenso e sentiti i pareri
degli interessati, per celebrare la festa di Pasqua
nella stessa domenica (25).
Le tempora
21. Tutti i fedeli che si trovano fuori della
regione o territorio del proprio rito, quanto alla
legge delle sacre tempora possono pienamente
conformarsi alla disciplina vigente nel luogo della
loro permanenza. Nelle famiglie di rito misto si può
osservare questa legge secondo uno stesso rito (26).
Le laudi divine
22. Il clero e i religiosi orientali celebrino
secondo le prescrizioni e tradizioni della propria
disciplina le laudi divine, che fino dall'antica età
furono in grande onore presso tutte le Chiese
orientali (27). Ed anche i fedeli, seguendo
l'esempio dei propri padri, per quanto possono,
attendano devotamente alle laudi divine.
La lingua liturgica
23. Al patriarca col suo sinodo o alla suprema
autorità di ciascuna Chiesa con il consiglio dei
pastori compete il diritto di regolare l'uso delle
lingue nelle sacre funzioni liturgiche e di
approvare, dopo averne data relazione alla Sede
apostolica, le versioni dei testi nelle lingua del
paese (28).
RAPPORTI CON I FRATELLI DELLE CHIESE
SEPARATE
Promuovere l'unità dei cristiani
24. Alle Chiese orientali aventi comunione con la
Sede apostolica romana, compete lo speciale ufficio
di promuovere l'unità di tutti i cristiani,
specialmente orientali, secondo i principi del
decreto « sull'ecumenismo » promulgato da questo
santo Concilio, in primo luogo con la preghiera,
l'esempio della vita, la religiosa fedeltà alle
antiche tradizioni orientali, la mutua e più
profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna
stima delle cose e degli animi (29).
25. Dagli orientali separati che, mossi dalla
grazia dello Spirito Santo vengono all'unità
cattolica, non si esiga più di quanto richiede la
semplice professione della fede cattolica. E poiché
presso di loro è stato conservato il sacerdozio
valido, i chierici orientali che vengono all'unità
cattolica, hanno facoltà di esercitare il proprio
ordine, secondo le norme stabilite dalla competente
autorità (30).
« Communicatio in sacris »
26. La « communicatio in sacris » che pregiudica
l'unità della Chiesa o include formale adesione
all'errore o pericolo di errare nella fede, di
scandalo e di indifferentismo, è proibita dalla
legge divina (31). Ma la prassi pastorale dimostra,
per quanto riguarda i fratelli orientali che si
possono e si devono considerare varie circostanze di
singole persone, nelle quali né si lede l'unità
della Chiesa, né vi sono pericoli da evitare, mentre
invece la necessità della salvezza e il bene
spirituale delle anime costituiscono un bisogno
serio. Perciò la Chiesa cattolica, secondo le
circostanze di tempo, di luogo e di persone, ha
usato tutti i mezzi della salute e la testimonianza
della carità tra i cristiani, per mezzo della
partecipazione ai sacramenti e alle altre funzioni e
cose sacre. In considerazione di questo, il santo
Concilio «per non essere noi con una sentenza troppo
severa di impedimento a coloro che sono salvati »
(32) e per fomentare sempre più l'unione con le
Chiese orientali da noi separate, stabilisce il
seguente modo di agire.
27. Posti i principi sopra ricordati, agli
orientali che in buona fede si trovano separati
dalla Chiesa cattolica, si possono conferire, se
spontaneamente li chiedano e siano ben disposti, i
sacramenti della penitenza, dell'eucaristia e
dell'unzione degli infermi anzi, anche ai cattolici
è lecito chiedere questi sacramenti ai ministri
acattolici nella cui Chiesa si hanno validi
sacramenti, ogniqualvolta la necessità o una vera
spirituale utilità lo domandino e l'accesso a un
sacerdote cattolico riesca fisicamente o moralmente
impossibile (33).
28. Parimenti, posti gli stessi principi, per una
giusta ragione è permessa la « communicatio in
sacris » in celebrazioni, cose e luoghi sacri tra
cattolici e fratelli orientali separati (34).
29. Questa maniera più mite di «communicatio in
sacris » con i fratelli delle Chiese orientali
separate è affidata alla vigilanza e al
discernimento dei pastori locali, affinché,
consigliatisi tra di loro e, se occorra, uditi anche
i pastori delle Chiese separate, abbiano a regolare
con efficaci e opportune prescrizioni e norme i
rapporti dei cristiani tra di loro.
CONCLUSIONI
30. Il santo Concilio molto si rallegra della
fruttuosa e attiva collaborazione delle Chiese
cattoliche d'Oriente e d'Occidente, e allo stesso
tempo dichiara: tutte queste disposizioni giuridiche
sono stabilite per le presenti condizioni, fino a
che la Chiesa cattolica e le Chiese orientali
separate si uniscano nella pienezza della comunione.
Nel frattempo tutti i cristiani, orientali e
occidentali, sono ardentemente pregati di innalzare
ferventi e assidue, anzi quotidiane preghiere a Dio,
affinché, con l'aiuto della sua santissima Madre,
tutti diventino una cosa sola. Preghino pure perché
su tanti cristiani di qualsiasi Chiesa, i quali
confessando strenuamente il nome di Cristo, soffrono
e sono oppressi, si effonda la pienezza della forza
e del conforto dello Spirito Santo consolatore. Con
amore fraterno vogliamoci tutti bene
scambievolmente, facendo a gara nel renderci onore
l'un l'altro (Rm 12,10).
Tutte e singole le cose stabilite in questo
Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E
Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci
da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello
Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le
stabiliamo; e quanto è stato così sinodalmente
deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di
Dio.
Roma, presso San Pietro 21 novembre 1964.
Io PAOLO Vescovo della Chiesa
Cattolica.
Seguono le firme dei Padri.
Firme dei padri
Io PAOLO Vescovo della Chiesa
Cattolica
† Ego IOANNES titulo S. Marci
Presbyter Cardinalis URBANI, Patriarcha Venetiarum.
Ego PAULUS titulo S. Mariae in
Vallicella Presbyter Cardinalis GIOBBE, S. R. E.
Datarius.
Ego FERDINANDUS titulo S.
Eustachii Presbyter Cardinalis CENTO.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Honuphrii
in Ianiculo Presbyter Cardinalis GARIBI Y RIVERA,
Archiepiscopus Guadalajarensis.
Ego CAROLUS titulo S. Agnetis
extra moenia Presbyter Cardinalis CONFALONIERI.
† Ego PAULUS titulo Ss. Quirici et
Iulittae Presbyter Cardinalis RICHAUD,
Archiepiscopus Burdigalensis.
† Ego IOSEPHUS M. titulo Ss. Viti,
Modesti et Crescentiae Presbyter Cardinalis BUENO Y
MONREAL, Archiepiscopus Hispalensis.
† Ego FRANCISCUS titulo S. Eusebii
Presbyter Cardinalis KÖNIG, Archiepiscopus
Vindobonensis.
† Ego IULIUS titulo S. Mariae
Scalaris Presbyter Cardinalis DÖPFNER,
Archiepiscopus Monacensis et Frisingensis.
Ego PAULUS titulo S. Andreae
Apostoli de Hortis Presbyter Cardinalis MARELLA.
Ego GUSTAVUS titulo S. Hieronymi
Illyricorum Presbyter Cardinalis TESTA.
† Ego ALBERTUS titulo S. Caeciliae
Presbyter Cardinalis MEYER, Archiepiscopus
Chicagiensis.
Ego ALOISIUS titulo S. Andreae de
Valle Presbyter Cardinalis TRAGLIA.
† Ego PETRUS TATSUO titulo S.
Antonii Patavini de Urbe Presbyter Cardinalis DOI,
Archiepiscopus Tokiensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Ioannis
Baptistae Florentinorum Presbyter Cardinalis
LEFEBVRE, Archiepiscopus Bituricensis.
† Ego BERNARDUS titulo S. Ioachimi
Presbyter Cardinalis ALFRINK, Archiepiscopus
Ultraiectensis.
† Ego LAUREANUS titulo S.
Francisci Assisiensis ad Ripam Maiorem Presbyter
Cardinalis RUGAMBWA, Episcopus Bukobaënsis.
† Ego IOSEPHUS titulo Ssmi
Redemptoris et S. Alfonsi in Exquiliis Presbyter
Cardinalis RITTER, Archiepiscopus S. Ludovici.
† Ego IOSEPHUS HUMBERTUS titulo
Ss. Andreae et Gregorii ad Clivum Scauri Presbyter
Cardinalis QUINTERO, Archiepiscopus Caracensis.
† Ego IGNATIUS PETRUS XVI
BATANIAN, Patriarcha Ciliciae Armenorum.
† Ego IOSEPHUS VIEIRA ALVERNAZ,
Patriarcha Indiarum Orientalium.
† Ego IOSEPHUS SLIPYJ,
Archiepiscopus Maior et Metropolita Leopolitanus
Ucrainorum.
† Ego IOANNES CAROLUS MCQUAID,
Archiepiscopus Dublinensis, Primas Hiberniae.
† Ego ANDREAS ROHRACHER,
Archiepiscopus Salisburgensis, Primas Germaniae.
† Ego DEMETRIUS MOSCATO,
Archiepiscopus Primas Salernitanus et Administrator
Perpetuus Acernensis.
† Ego MAURITIUS ROY,
Archiepiscopus Quebecensis, Primas Canadiae.
† Ego HUGO CAMOZZO, Archiepiscopus
Pisanus, Primas Sardiniae et Corsicae.
† Ego ALEXANDER TOKI ,
Archiepiscopus Antibarensis, Primas Serbiae.
† Ego MICHAEL DARIUS MIRANDA,
Archiepiscopus Mexicanus, Primas Mexici.
† Ego OCTAVIUS ANTONIUS BERAS,
Archiepiscopus S. Dominici, Primas Indiarum
Occidentalium.
† Ego IOANNES CAROLUS HEENAN,
Archiepiscopus Vestmonasteriensis, Primas Angliae.
† Ego GUILLELMUS CONWAY,
Archiepiscopus Armachanus, Primas totius Hiberniae.
† Ego FRANCISCUS MARIA DA SILVA,
Archiepiscopus Bracharensis, Primas Hispaniarum.
† Ego PAULUS GOUYON,
Archiepiscopus Rhedonensis, Primas Britanniae.
† Ego ANDREAS CESARANO,
Archiepiscopus Sipontinus et Admin. Perp. Vestanus.
Sequuntur ceterae subsignationes.
Ita est.
† Ego PERICLES
FELICI
Archiepiscopus tit. Samosatensis
Ss. Concilii Secretarius Generalis
† Ego IOSEPHUS ROSSI
Episcopus tit. Palmyrenus
Ss. Concilii Notarius
† Ego FRANCISCUS HANNIBAL FERRETTI
Ss. Concilii Notarius
DAGLI ATTI DEL SS. CONCILIO
ECUMENICO VATICANO II
NOTIFICAZIONI
Fatte dall’Ecc.mo Segretario
Generale del Ss. Concilio nella CXXIII Congregazione
Generale del 16 nov. 1964
stato chiesto quale debba essere
la qualificazione teologica della dottrina che
esposta nello Schema sulla Chiesa e viene sottoposta
alla votazione.
Al quesito sulla valutazione dei
Modi riguardanti il capitolo terzo dello Schema
sulla Chiesa la Commissione Dottrinale ha risposto
in questi termini:
"Come di per sé evidente, il testo
del Concilio deve essere sempre interpretato secondo
le regole generali, a tutti note".
Con l’occasione, la Commissione
Dottrinale rimanda alla sua Dichiarazione del 6
marzo 1964, di cui qui trascriviamo il testo:
"Tenendo conto della procedura
conciliare e della finalit pastorale del presente
Concilio, questo S. Sinodo definisce come vincolante
per la Chiesa soltanto quello che in materia di fede
e di morale avr apertamente dichiarato come tale.
"Le altre cose che il S. Sinodo
propone, in quanto dottrina del Supremo Magistero
della Chiesa, tutti e ciascun fedele devono
accoglierle e aderirvi secondo la mente dello stesso
S. Sinodo, quale si deduce sia dalla materia
trattata sia dal tenore dell’espressione verbale,
secondo le norme dell’interpretazione teologica".
Su mandato dell’Autorit Superiore
viene poi trasmessa ai Padri una nota esplicativa
previa ai Modi circa il capitolo terzo dello Schema
sulla Chiesa; secondo la mente e il giudizio di
questa nota dev’essere spiegata e intesa la dottrina
esposta nel detto capitolo terzo.
Nota esplicativa previa
"La Commissione ha stabilito di
premettere all’esame dei Modi le seguenti
osservazioni generali.
1.
Collegio non si intende in
senso strettamente giuridico, cio di un gruppo
di uguali che demandano il loro potere al loro
presidente, ma di un gruppo stabile, la cui
struttura ed autorit devono essere dedotte dalla
Rivelazione. Perci nella Risposta al Modo, 12,
dei Dodici [Apostoli] si dice esplicitamente che
il Signore li costitu "sotto forma di collegio o
gruppo stabile". Cf anche il Modo 53, c. - Per
la stessa ragione si usa anche spesso il termine
Ordine o Corpo per il Collegio dei Vescovi. Il
parallelismo fra Pietro e gli altri Apostoli da
una parte e il Sommo Pontefice e i Vescovi
dall’altra non implica una trasmissione del
potere straordinario degli Apostoli ai loro
successori, né, com’ ovvio, una uguaglianza tra
il Capo e i membri del Collegio, ma la sola
proporzionalit fra la prima relazione (Pietro -
gli Apostoli) e l’altra (Papa - Vescovi). Per
questo la Commissione ha deciso di scrivere nel
n. 22 non stessa ma in modo analogo. Cf il Modo
57.
2.
Uno diventa membro del
Collegio in virt della consacrazione episcopale
e della comunione gerarchica con il Capo del
Collegio e con i membri. Cf n. 22, alla fine.
Nella consacrazione viene data la partecipazione
ontologica ai sacri uffici, come indubbiamente
consta dalla Tradizione, anche liturgica.
Volutamente usata la parola uffici e non potest
, perché quest’ultimo vocabolo potrebbe essere
inteso come potest libera negli atti. Ma perché
ci sia tale libera potest , deve intervenire la
determinazione canonica ossia giuridica da parte
dell’autorit gerarchica. Questa determinazione
della potest pu consistere nella concessione di
un ufficio particolare o nell’assegnazione di
sudditi, e viene data secondo norme approvate
dall’autorit suprema. Siffatta norma ulteriore
richiesta dalla natura della cosa, perché si
tratta di incarichi che devono essere esercitati
da pi soggetti, cooperanti gerarchicamente per
volere di Cristo. evidente che questa
"comunione" nella vita della Chiesa stata
applicata secondo le contingenze dei tempi,
prima che fosse come codificata nel diritto.
Perci detto espressamente che
si richiede la comunione gerarchica con il Capo
della Chiesa e con i suoi membri. Comunione un
concetto che era tenuto in grande onore nella
Chiesa antica (come anche oggi soprattutto in
Oriente). Non va intesa per come un certo vago
affetto, ma come una realt organica, che esige
una forma giuridica ed insieme animata dalla
carit : per questo la Commissione, con consenso
quasi unanime, ha deciso di scrivere "in
comunione gerarchica". Cf il Modo 40 ed anche
quanto detto sulla missione canonica, al n. 24.
I documenti degli ultimi Sommi
Pontefici circa la giurisdizione dei Vescovi
vanno interpretati in riferimento a questa
necessaria determinazione dei poteri.
3.
Il Collegio, che non pu
essere senza il Capo, detto "soggetto di suprema
e piena potest su tutta la Chiesa". Il che si
deve necessariamente ammettere, per non mettere
in pericolo la pienezza di potest del Romano
Pontefice. Infatti il Collegio presuppone sempre
necessariamente il suo Capo, che nel Collegio
conserva intatta la sua funzione di Vicario di
Cristo e Pastore della Chiesa universale. In
altre parole la distinzione non tra il Romano
Pontefice e i Vescovi presi collettivamente, ma
tra il Romano Pontefice da solo e il Romano
Pontefice insieme ai Vescovi. Siccome per il
Sommo Pontefice Capo del Collegio, lui solo pu
compiere alcuni atti che non competono in nessun
modo ai Vescovi, per esempio convocare e
dirigere il Collegio, approvare le norme dello
svolgimento, ecc. Cf Modo 81. Al giudizio del
Sommo Pontefice, a cui stata affidata la cura di
tutto il gregge di Cristo, secondo le necessit
della Chiesa variabili nel corso dei tempi,
spetta determinare il modo in cui conviene che
sia attuata questa cura, sia in modo personale,
sia in modo collegiale. Nell’ordinare,
promuovere, approvare l’esercizio collegiale il
Romano Pontefice procede a propria discrezione,
mirando al bene della Chiesa.
4.
Il Sommo Pontefice, in
quanto Pastore Supremo della Chiesa, pu
esercitare a piacimento la sua potest in ogni
tempo, com’ richiesto dal suo stesso ufficio.
Invece il Collegio, pur esistendo sempre, non
per questo agisce in permanenza con azione
strettamente collegiale, come risulta dalla
Tradizione della Chiesa. In altri termini non
sempre "in atto pieno", anzi, non compie un atto
strettamente collegiale se non ad intervalli e
se non consenziente il Capo. Si dice
"consenziente il Capo" perché non si pensi ad
una dipendenza per cos dire da un estraneo; il
termine "consenziente" evoca viceversa la
comunione tra il Capo e i membri, ed implica la
necessit di un atto che propriamente compete al
Capo. La cosa esplicitamente affermata nel n. 22
§ 2 ed ivi spiegata verso la fine. La forma
negativa "se non" comprende tutti i casi; donde
evidente che le norme approvate dalla suprema
Autorit devono sempre essere osservate. Cf Modo
84.
Da tutto questo risulta che si
tratta di unione dei Vescovi con il loro Capo, e
mai di azione dei Vescovi indipendentemente dal
Papa. Nel qual caso, mancando l’azione del Capo,
i Vescovi non possono agire come Collegio, come
appare dalla nozione di "Collegio". Questa
comunione gerarchica di tutti i Vescovi con il
Sommo Pontefice certamente importante nella
Tradizione.
N.B. Senza la comunione
gerarchica l’ufficio sacramentale-ontologico,
che va distinto dall’aspetto canonico-giuridico,
non pu essere esercitato. La Commissione
tuttavia ha ritenuto di non dover entrare in
questioni di liceit e di validit , che sono
lasciate alla discussione dei teologi,
specialmente per ci che riguarda la potest che
di fatto viene esercitata presso gli Orientali
separati, e della cui spiegazione ci sono varie
sentenze".
† Pericle Felici
Arcivescovo titolare di Samosata
Segretario Generale del Ss. Concilio
NOTE
(1) Cf. LEONE XIII, Lett. Ap.
Orientalium dignitas, 30 nov. 1894, in Leonis
XIII Acta, vol. XIV, pp. 201-202.(2)
Cf. S. LEONE
IX, Lett. In terra pax del 1053: "Ut enim".
INNOCENZO III, Concilio del Laterano IV del 1215,
cap. IV: "Licet Graecos"; Lett. Inter quatuor,
2 ag. 1206: "Postulasti postmodum". INNOCENZO IV,
Lett. Cum de cetero, 27 ag. 1247; Lett.
Sub catholicae, 6 marzo 1254, proem. NICOL III,
Istruzione Istud est memoriale, 9 ott. 1278.
LEONE X, Lett. Ap. Accepimus nuper, 18 maggio
1521. PAOLO III, Lett. Ap. Dudum, 23 dic.
1534. PIO IV, Cost. Romanus Pontifex, 16
febbr. 1564, § 5. CLEMENTE VIII, Cost. Magnus
Dominus, 23 dic. 1595, § 10. PAOLO V, Cost.
Solet circumspecta, 10 dic. 1615, § 3. BENEDETTO
XIV, Enc. Demandatam, 24 dic. 1743, § 3; Enc.
Allatae sunt, 26 giugno 1755, §§ 3, 6-19, 32.
PIO VI, Enc. Catholicae communionis, 24
maggio 1787. PIO IX, Lett. In suprema, 6
genn. 1848, § 3; Lett. Ap. Ecclesiam Christi,
26 nov. 1853; Cost. Romani Pontificis, 6
genn. 1862. LEONE XIII, Lett. Ap. Praeclara,
20 giugno 1894, n. 7; Lett. Ap. Orientalium
dignitas, 30 nov. 1894, proem.; ecc.
(3)Cf. PIO XII, Motu
proprio Cleri sanctitati, 2 giugno 1957, can.
4.
(4) PIO XII, Motu
proprio Cleri sanctitati, 2 giugno 1957, can.
8: “senza un permesso della Sede Apostolica”,
bisogna seguire la prassi dei secoli precedenti;
così pure quanto ai battezzati acattolici nel can.
11 è detto: “possono scegliere il rito che
preferiscono”; nel testo proposto si dispone
positivamente l’osservanza del rito per tutti e in
tutto il mondo.
(5) Cf. LEONE XIII,
Lett. Ap. Orientalium dignitas, 30 nov. 1894;
Lett. Ap. Praeclara gratulationis, 20 giugno
1894, e i documenti citati nella nota 2.
(6) Cf. BENEDETTO
XV, Motu proprio
Orientis catholici, 15 ott. 1917. PIO XI,
Enc.
Rerum orientalium, 8 sett. 1928; ecc.
(7) La prassi della
Chiesa cattolica dei tempi di Pio XI, Pio XII,
Giovanni XXIII dimostra copiosamente questa
tendenza.
(8)
Cf. CONC. DI
NICEA I, can. 6; DI COSTANTINOPOLI I, can. 2 e 3; DI
CALCEDONIA, can. 28; can. 9; DI COSTANTINOPOLI IV,
can. 17; can. 21 [Dz 661]; LATERANO IV, can. 5 [Dz
811]; can. 30; DI FIRENZE, Decr. pro Graecis
[Dz 1307-08; Collantes 7.159-60]; ecc.
(9)
Cf. CONCILIO
DI NICEA I, can. 6; DI COSTANTINOPOLI I, can. 3; DI
COSTANTINOPOLI IV, can. 17; PIO XII, Motu proprio
Cleri sanctitati, can. 216, §§ 2,11.
(10)
Nei CONC.
ECUMENICI: DI NICEA I, can. 6; DI COSTANTINOPOLI I,
can. 3; DI COSTANTINOPOLI IV, can. 21 [Dz 661];
LATERANO IV, can. 5 [Dz 811]; DI FIRENZE, Decr.
pro Graecis, 6 lug. 1439, § 9 [Dz 1307-08;
Collantes 7.159-60]. Cf. PIO XII, Motu proprio
Cleri sanctitati, 2 giugno 1957, can. 219; ecc.
(11) Cf. sopra, nota
8.
(12)
Cf. CONC. DI
EFESO, can. 8; CLEMENTE VIII, Decet Romanum
Pontificem, 23 febbr. 1596; PIO VII, Lett. Ap.
In universalis Ecclesiae, 22 febbraio 1807;
PIO XII, Motu proprio Cleri sanctitati, 2
giugno 1957, can. 324-339; SIN. DI CARTAGINE del
419, can. 17.
(13)
Cf. SIN. DI
CARTAGINE del 419, can. 17 e 57; DI CALCEDONIA del
451, can. 12; S. INNOCENZO I, Lett. Et onus et
honor del 415c: "Nam quid sciscitaris"; S. NICOL
I, Lett. Ad consulta vestra, 13 nov. 866: "A
quo autem"; INNOCENZO III, Lett. Rex regum,
25 febbr. 1204; LEONE XII, Cost. Ap. Petrus
Apostolorum Princeps, 15 ag. 1824; LEONE XIII,
Lett. Ap. Christi Domini, del 1895; PIO XII,
Motu proprio Cleri sanctitati, 2 giugno 1957,
can. 159.
(14)
Cf. INNOCENZO
IV, Lett. Sub catholicae, 6 marzo 1254, § 3,
n. 4 [Dz 831]; CONC. DI LIONE II del 1274
(professione di fede di Michele Paleologo presentata
a Gregorio X) [Dz 860; Collantes 9.001]; EUGENIO IV
nel Conc. di Firenze, Cost. Exsultate Deo, 22
nov. 1439, § 11 [Dz 1317-18; Collantes 9.084-85];
CLEMENTE VIII, Istr. Sanctissimus, 31 ago.
1595 [Dz 1990]; BENEDETTO XIV, Cost. Etsi
pastoralis, 26 maggio 1742, § II, n. 1, § III,
n. 1 [Dz 2522], ecc.; SINODO DI LAODICEA, del
347381, can. 48; SIN. DI SISSA DEGLI ARMENI del
1342: Mansi 25, 1240-1241; SIN. DEI MARONITI DEL
LIBANO del 1736, P. II, Cap. III, n. 2, ed altri
Sinodi particolari.
(15)
Cf. S. S. C.
DEL S. UFFIZIO, Istr. (al vesc. di Scepusio) del
1783; S.C. PER LA PROPAG. DELLA FEDE (per i Copti),
15 marzo 1790, n. XIII; Decr. 6 ott. 1863, C, a; S.
C. PER LE CH. ORIENT., 1o maggio 1948; S.S.C. DEL S.
UFFIZIO, risp. del 22 apr. 1896 con lett. del 19
maggio 1896.
(16)
CIC, can. 782,
§ 4 [soppresso nel nuovo Codice]; S. C. PER LA CH.
ORIENT., Decr. de Sacramento Confirmationis
administrando etiam fidelibus orientalibus a
presbyteris latini ritus, qui hoc indulto gaudent
pro fidelibus sui ritus, 1° maggio 1948.
(17)
Cf. SINODO DI
LAODICEA del 347381, can. 29; S. NICEFORO DI Cost.,
cap. 14; SIN. DI DUIN DEGLI ARMENI del 719, can. 31;
S. TEODORO STUDITA, discorso 21; S. NICOL I, Lett.
Ad consulta vestra, 13 nov. 866: "In quorum
Apostolorum"; "Nosse cupitis"; "Quod interrogatis";
"Praeterea consulitis"; "Si die Dominico"; e i
Sinodi particolari.
(18) E una novità,
almeno dove vige l’obbligo di ascoltare la S.
Liturgia; concorda però con il giorno liturgico
presso gli Orientali.
(19)
Cf. CANONI
DEGLI APOSTOLI, 8 e 9; SIN. DI ANTIOCHIA del 341,
can. 2; TIMOTEO D’ALESSANDRIA interrogaz. 3;
INNOCENZO III, Cost. Quia divinae, 4 genn.
1215; e parecchi recenti Sinodi particolari delle
Chiese Orientali.
(20) Salva la
territorialità della giurisdizione, il canone
intende ovviare, per il bene delle anime, alla
pluralità di giurisdizione sul medesimo territorio.
(21)
Cf. CONC. DI
NICEA I, can. 18; SIN. DI NEOCESAREA del 314-325,
can. 12; SIN. DI SARDICA del 343, can. 8; S. LEONE
M., Lett. Omnium quidem, 13 genn. 444; CONC.
DI CALCEDONIA, can. 6; CONC. DI COSTANTINOPOLI IV,
cann. 23, 26; ecc.
(22) In molte Chiese
Orientali il suddiaconato è considerato un Ordine
minore; ma nel Motu proprio di PIO XII Cleri
sanctitati gli vengono imposti gli obblighi
degli Ordini maggiori. Il Canone propone che quanto
agli obblighi dei suddiaconi si torni all’antica
disciplina delle singole Chiese, in deroga al
diritto comune del “Cleri sanctitati”.
(23)
Cf. PIO XII,
Motu proprio Crebrae allatae, 22 febbr. 1949,
can. 32, § 2, n. 5 (facolt dei patriarchi di
dispensare dalla forma); PIO XII, Motu proprio
Cleri sanctitati, 2 giugno 1957, can. 267
(facolt dei patriarchi di sanare in radice); la S.
S. C. DEL S. UFFIZIO e LA S. C. PER LA CH. ORIENT.
nel 1957 concedono la facolt di dispensare dalla
forma e di sanare per la mancanza della forma (per
un quinquennio): "fuori dei patriarcati, ai
Metropoliti e agli altri Ordinari dei luoghi... che
non hanno Superiori al di sotto della Santa Sede".
(24)
Cf. S. LEONE
M., Lett. Quod saepissime, 15 apr. 454:
"Petitionem autem"; S. NICEFORO DI COST., cap. 13;
SIN. DEL PATRIARCA SERGIO, 18 sett. 1596, can. 17;
PIO VI, Lett. Ap. Assueto paterne, 8 apr. 1775; ecc.
(25) Cf. CONC.
VATICANO II, Cost.
Sulla Sacra Liturgia, 4 dic. 1963 [pag. 87].
(26)
Cf. CLEMENTE
VIII, Istr. Sanctissimus, 31 ag. 1595, § 6:
"Si ipsi graeci"; S. C. DEL S. UFFIZIO, 7 giugno
1673, ad 1 et 3; 13 marzo 1727, ad 1; S. C. PER LA
PROP. DELLA FEDE Decr. 18 ag. 1913, art. 33: Decr.
14 ag. 1914, art. 27; Decr. 27 marzo 1916; S. C. PER
LE CH. ORIENT., Decreto 1o marzo 1929, art. 36 Decr.
4 maggio 1930, art. 41.
(27)
Cf. SIN. DI
LAODICEA del 347-381, can. 18; SIN. DI MAR ISSAC DEI
CALDEI del 410, can. 15; S. NERSETE DI GLAIES DEGLI
ARMENI nel 1166; INNOCENZO IV, Lett. Sub
catholicae, 6 marzo 1254, § 8; BENEDETTO XIV,
Cost. Etsi pastoralis, 26 maggio 1742, § 7,
n. 5; Istr. Eo quamvis tempore, 4 maggio
1745, §§ 42ss.; e i Sinodi particolari pi recenti:
degli Armeni (1911), dei Copti (1898), dei Maroniti
(1736), dei Rumeni (1872), dei Ruteni (1891), dei
Siri (1888).
(28) Secondo la
tradizione orientale.
(29) A tenore delle
Bolle di unione delle singole Chiese orientali
cattoliche.
(30) Obbligo
conciliare riguardo ai fratelli orientali separati e
riguardo a tutti gli Ordini di qualunque grado, sia
di diritto divino che ecclesiastico.
(31) Questo
principio vale anche nelle Chiese separate.
(32) S. BASILIO M.,
Epistula canonica ad Amphilochium: PG 32,
669B.
(33) Sono
considerati fondamenti della concessione: 1) la
validità dei sacramenti; 2) la buona fede e la
disposizione; 3) la necessità della salvezza eterna;
4) l’assenza del proprio sacerdote; 5) l’esclusione
dei pericoli da evitare e della adesione formale
all’errore.
(34) Si tratta della
cosidd. “comunicazione in cose sacre
extrasacramentali”. E il Concilio che concede questa
mitigazione, salve restando le prescrizioni.
Fonti: Vaticano
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