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Accademia Templare di San Bernardo da Chiaravalle

"Ordine Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo"

 

Pubblicazioni

 

" Il Naufrago "

Giacchino Bambù

 

                

                        Pugliese di Bari, ma leccese di adozione, Gioacchino Bambù lo conosco da molti lustri e con l'animo suo mi legano non poche affinità dell'essere e del sentire, soprattutto i "valori" dell'esistenza.


               Mai, però, avrei immaginato che un giorno si sarebbe rivolto a me per cercare un parere sulla sua attività di scrittore,su questo romanzo con il quale esordisce nel mondo letterario, un mondo tanto difficile e, ahimè, inflazionato da coloro che si improvvisano poeti e narratori tediando amici e lettori con la loro presunzione e velleità.


                Gioacchino Bambù ha meditato e ha titubato non poco prima di mandare alle stampe questo scritto, una sorta di pudore lo ha trattenuto prima di confrontarsi con il giudizio del pubblico e della critica, e mai ha preso confidenza con se stesso nel propormi la lettura e la valutazione di questo lavoro, interessante per le sue valenze umane, esistenziali e sociali.


                Il romanzo, che si presta ad una lettura agile e scorrevole, denota una notevole carica creativa e accattivante, si svolge in una dimensione metareale capace di abbracciare lo scavo psicologico,l'analisi storica e sociale, i temi dell'amicizia, della solidarietà, della tolleranza, degli affetti, insomma, per un mondo ove l'uomo viva in dignità sorretto dai valori, dagli ideali, dall'ordine e dalla misura.


                Il titolo di questo romanzo, Il naufrago, potrebbe indurre il lettore ad una superficiale considerazione sfociante nel pessimistico epilogo dell'esistenza, di una esistenza, quella di Gioacchino che, operando il consuntivo dei propri anni, si riconoscerebbe come perdente, un vinto, insomma. Ma non è così, poiché se è pur vero che il naufragio resta pur sempre un evento negativo, tuttavia prospetta pure l'approdo.


                Tutto sommato, intendo dire, e così ci fa capire Gioacchino, non importa poi tanto come si cade, ma ciò che importa è sapersi rialzare.


                Un viaggio immaginario, una crociera verso lidi esotici, in compagnia di amici facilmente riconoscibili nella realtà essendo costoro della cerchia affettiva ed esistenziale di Gioacchino, quindi compagni di viaggi già percorsi, anche se poi le strade si sono diversificate, e non sempre senza qualche amarezza.


                 E così il nostro autore, con nostalgia ma anche con una memoria che si rivela ineludibile presenza, va, per dirla con Proust, alla ricerca del tempo perduto che egli rimpiange, si, ma che lo rivivrebbe, senza ma e senza se, senza recriminazioni, costituendo il "suo" tempo un'epopea, a tratti pure mitizzata.


                Il romanzo è inequivocabilmente autobiografico, per ciò che si è stati, si è e si vorrebbe essere, sicché ad un certo punto sogno e realtà si intersecano e si confondono, sempre però con la vigile consapevolezza dello scrittore che asseconda il sogno, l'attesa e la speranza.


                Ma il raccontare ed il raccontarsi di Gioacchino non tedia il lettore, poiché il Nostro non cade in becere autocelebrazioni o narcisismi, espone in terza persona, e sa qual'é la soglia oltre la quale non deve procedere per non impantanarsi nel prosaico e nello stucchevole. E, poi, guardandosi dentro e attorno Gioacchino scarnifica il proprio io, pone in luce i comuni denominatori dell'umanità, dei propri e altrui dubbi, interrogativi ma, soprattutto, anche nel nero più fitto scopre un barlume che lo guida ad affrancarsi dalle situazioni problematiche e che sembrerebbero senza via d'uscita.


                 Il racconto, inoltre, si concede delle pause fatte di godimento e di meraviglia della natura, del paesaggio e gli elementi, a volte, sembrano partecipare panicamente agli stati di essere del Nostro, che qua e là dimostra il possesso di notevoli conoscenze in tanti campi dello scibile, della storia e dell'attualità, il tutto presentato con il filtro critico, ossia ragionativo.


                Certo, ed è appena il caso di notarlo, il mondo di Gioacchino non è solo al maschile, nel senso che egli, pur lasciandosi tentare e sedurre dall'eterno femminino, concepisce la donna non in senso subalterno e minoritario, ma in una dimensione propria, complementare all'uomo, ricca di valori consolidati dalla tradizione e, non invece, come oggi, smarrita nella parodia dell'uomo o di una libertà che è solo arbitrio e disordine interiore e sociale.


                Da ciò scaturisce in Gioacchino la riflessione, direi romantica, e non priva di accenti estetizzanti, di un rapporto, quello tra uomo e donna, contrassegnato dall'equilibrio dei ruoli e delle esistenze; emerge, ancora, il confronto fra civiltà, facendoci così capire che occorre ritornare alle origini, tutti, per riannodare il filo di Arianna interrottosi nella caverna del Minotauro.


                Non a caso ho evitato di indugiare nella trama del testo poiché, ritengo, che il lettore debba gustare autonomamente quanto ci offre Gioacchino, prescindendo dalle suggestioni che potrebbe destare anche una presentazione. Gioacchino, ne sono certo, è un uomo ricco di risorse, e forse questo romanzo, che per lui costituisce anche una operazione catartica, fa parte di quell'approdo non scaturito da un naufragio, ma di una meta che la volontà e le circostanze hanno determinato.


Mario De Marco

 

 

 

" Non Nobis Domine, Non Nobis, Sed Nomini Tuo Da Gloriam "