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Ordine
Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo
Gran Priorato
d'Italia |
VERBUM
DOMINI
Esortazione Apostolica
Postsinodale sulla Paola di Dio nella vita e nella
missione della Chiesa
30 Settembre 2010
PRIMA
PARTE
VERBUM DEI
«In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…
e il Verbo si fece carne» (Gv
1,1.14)
Il
Dio che parla
Dio in dialogo
6. La novità della rivelazione
biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere
nel dialogo che desidera avere con noi.[14]
La Costituzione dogmatica
Dei Verbum aveva esposto questa realtà
riconoscendo che «Dio invisibile nel suo grande
amore parla agli uomini come ad amici e si
intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli
alla comunione con Sé».[15]
Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il
messaggio del Prologo di san Giovanni se ci
fermassimo alla constatazione che Dio si comunica
amorevolmente a noi. In realtà il Verbo di Dio,
mediante il quale «tutto è stato fatto» (Gv
1,3) e che si «fece carne» (Gv 1,14), è il
medesimo che sta «in principio» (Gv
1,1). Se qui avvertiamo un’allusione all’inizio del
libro della Genesi (cfr Gen 1,1), in realtà
siamo posti di fronte ad un principio di
carattere assoluto e che ci narra la vita intima di
Dio. Il Prologo giovanneo ci pone di fronte al fatto
che il Logos è realmente da sempre, e
da sempre egli stesso è Dio. Dunque, non c’è
mai stato in Dio un tempo in cui non ci fosse il
Logos. Il Verbo preesiste alla creazione.
Pertanto, nel cuore della vita divina c’è la
comunione, c’è il dono assoluto. «Dio è amore»
(1Gv 4,16), dirà altrove lo stesso Apostolo,
indicando con ciò «l’immagine cristiana di Dio e
anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo
cammino».[16]
Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore
infinito in cui il Padre dall’eternità esprime la
sua Parola nello Spirito Santo. Perciò il Verbo, che
dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio
stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e
ci invita a partecipare ad esso. Pertanto, fatti ad
immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo
comprendere noi stessi solo nell’accoglienza del
Verbo e nella docilità all’opera dello Spirito
Santo. È alla luce della Rivelazione operata dal
Verbo divino che si chiarisce definitivamente
l’enigma della condizione umana.
Analogia della Parola di Dio
7. Da queste considerazioni che
scaturiscono dalla meditazione sul mistero cristiano
espresso nel Prologo di Giovanni è necessario ora
rilevare quanto è stato affermato dai Padri sinodali
in relazione alle diverse modalità con cui noi
utilizziamo l’espressione «Parola di Dio». Si è
giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di
una Parola unica che si esprime in diversi modi: «un
canto a più voci».[17]
I Padri sinodali hanno parlato a questo proposito di
un uso analogico del linguaggio umano in riferimento
alla Parola di Dio. In effetti, questa espressione,
se da una parte riguarda la comunicazione che Dio fa
di se stesso, dall’altra assume significati diversi
che vanno attentamente considerati e relazionati fra
loro, sia dal punto di vista della riflessione
teologica che dell’uso pastorale. Come ci mostra in
modo chiaro il Prologo di Giovanni, il Logos
indica originariamente il Verbo eterno, ossia il
Figlio unigenito, generato dal Padre prima di tutti
i secoli e a Lui consustanziale: il Verbo era
presso Dio, il Verbo era Dio. Ma questo stesso
Verbo, afferma san Giovanni, si «fece carne» (Gv
1,14); pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine,
è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a
noi. Dunque l’espressione «Parola di Dio» viene qui
ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio
del Padre, fatto uomo.
Inoltre, se al centro della Rivelazione divina
c’è l’evento di Cristo, occorre anche riconoscere
che la stessa creazione, il liber naturae, è
anche essenzialmente parte di questa sinfonia a più
voci in cui l’unico Verbo si esprime. Allo stesso
modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola
nella storia della salvezza, ha fatto udire la sua
voce; con la potenza del suo Spirito «ha parlato per
mezzo dei profeti».[18]
La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta
la storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel
mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del
Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella
predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando
di Gesù Risorto: «Andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc
16,15). Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella
Tradizione viva della Chiesa. Infine, la Parola di
Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra
Scrittura, Antico e Nuovo Testamento. Tutto questo
ci fa comprendere perché nella Chiesa veneriamo
grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la
fede cristiana una «religione del Libro»: il
cristianesimo è la «religione della Parola di Dio»,
non di «una parola scritta e muta, ma del Verbo
incarnato e vivente».[19]
Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata,
letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel
solco della Tradizione apostolica dalla quale è
inseparabile.[20]
Come hanno affermato i Padri sinodali, realmente
ci troviamo di fronte ad un uso analogico
dell’espressione «Parola di Dio», di cui dobbiamo
essere consapevoli. Occorre pertanto che i fedeli
vengano maggiormente educati a cogliere i suoi
diversi significati e a comprenderne il senso
unitario. Anche dal punto di vista teologico è
necessario che si approfondisca l’articolazione dei
differenti significati di questa espressione perché
risplenda meglio l’unità del piano divino e la
centralità in esso della persona di Cristo.[21]
Dimensione cosmica della Parola
8. Consapevoli del significato
fondamentale della Parola di Dio in riferimento
all’eterno Verbo di Dio fatto carne, unico salvatore
e mediatore tra Dio e l’uomo,[22]
ed in ascolto di questa Parola, siamo condotti dalla
rivelazione biblica a riconoscere che essa è il
fondamento di tutta la realtà. Il Prologo di san
Giovanni afferma, in riferimento al Logos
divino, che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e
senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste»
(Gv 1,3); anche nella Lettera ai Colossesi
si afferma in riferimento a Cristo, «primogenito di
tutta la creazione» (1,15), che «tutte le cose sono
state create per mezzo di lui e in vista di lui»
(1,16). E l’autore della Lettera agli Ebrei
ricorda che «per fede, noi sappiamo che i mondi
furono formati dalla parola di Dio, sicché
dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile»
(11,3).
Questo annuncio è per noi una parola liberante.
Infatti, le affermazioni scritturistiche indicano
che tutto ciò che esiste non è frutto di un caso
irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo
disegno, al cui centro sta l’offerta di partecipare
alla vita divina in Cristo. Il creato nasce dal
Logos e porta in modo indelebile la traccia
della Ragione creatrice che ordina e guida.
Di questa certezza gioiosa cantano i salmi: «Dalla
parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio
della sua bocca ogni loro schiera» (Sal
33,6); ed ancora: «egli parlò e tutto fu creato,
comandò e tutto fu compiuto» (Sal 33,9).
L’intera realtà esprime questo mistero: «I cieli
narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani
annuncia il firmamento» (Sal 19,2). Per
questo è la stessa sacra Scrittura che ci invita a
conoscere il Creatore osservando il creato (cfr
Sap 13,5; Rm 1,19-20). La tradizione del
pensiero cristiano ha saputo approfondire questo
elemento-chiave della sinfonia della Parola, quando,
ad esempio, san Bonaventura, che insieme alla grande
tradizione dei Padri greci vede tutte le possibilità
della creazione nel Logos,[23]
afferma che «ogni creatura è parola di Dio, poiché
proclama Dio».[24]
La Costituzione dogmatica
Dei Verbum aveva sintetizzato questo dato
dichiarando che «Dio, il quale crea e conserva tutte
le cose per mezzo del Verbo (cfr Gv 1,3),
offre agli uomini nelle cose create una perenne
testimonianza di sé».[25]
La creazione dell’uomo
9. La realtà, dunque, nasce dalla
Parola come creatura Verbi e tutto è chiamato
a servire la Parola. La creazione è luogo in cui si
sviluppa tutta la storia dell’amore tra Dio e la sua
creatura; pertanto la salvezza dell’uomo è il
movente di tutto. Contemplando il cosmo nella
prospettiva della storia della salvezza siamo
portati a scoprire la posizione unica e singolare
occupata dall’uomo nella creazione: «Dio creò l’uomo
a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e
femmina li creò» (Gen 1,27). Questo ci
consente di riconoscere pienamente i doni preziosi
ricevuti dal Creatore: il valore del proprio corpo,
il dono della ragione, della libertà e della
coscienza. In ciò troviamo anche quanto la
tradizione filosofica chiama «legge naturale».[26]
In effetti, «ogni essere umano che accede alla
coscienza e alla responsabilità fa l’esperienza di
una chiamata interiore a compiere il bene»[27]
e, dunque, ad evitare il male. Come ricorda san
Tommaso d’Aquino, su questo principio si fondano
anche tutti gli altri precetti della legge naturale.[28]
L’ascolto della Parola di Dio ci porta innanzitutto
a stimare l’esigenza di vivere secondo questa legge
«scritta nel cuore» (cfr Rm 2,15; 7,23).[29]
Gesù Cristo, poi, dà agli uomini la Legge nuova, la
Legge del Vangelo, la quale assume e realizza in
modo eminente la legge naturale, liberandoci dalla
legge del peccato, a causa del quale, come dice san
Paolo, «in me c’è il desiderio del bene, ma non la
capacità di attuarlo» (Rm 7,18), e dona agli
uomini, mediante la grazia, la partecipazione alla
vita divina e la capacità di superare l’egoismo.[30]
Il realismo della Parola
10. Chi conosce la divina Parola
conosce pienamente anche il significato di ogni
creatura. Se tutte le cose, infatti, «sussistono» in
Colui che è «prima di tutte le cose» (cfr Col
1,17), allora chi costruisce la propria vita sulla
sua Parola edifica veramente in modo solido e
duraturo. La Parola di Dio ci spinge a cambiare il
nostro concetto di realismo: realista è chi
riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto.[31]
Di ciò abbiamo particolarmente bisogno nel nostro
tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento
per costruire la vita, su cui si è tentati di
riporre la propria speranza, rivelano il loro
carattere effimero. L’avere, il piacere e il potere
si manifestano prima o poi incapaci di compiere le
aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo. Egli,
infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di
fondamenta solide, che rimangano anche quando le
certezze umane vengono meno. In realtà, poiché «per
sempre, o Signore, la tua parola è stabile nei
cieli» e la fedeltà del Signore dura «di generazione
in generazione» (Sal 119,89-90), chi
costruisce su questa Parola edifica la casa della
propria vita sulla roccia (cfr Mt 7,24). Che
il nostro cuore possa dire ogni giorno a Dio: «Tu
sei mio rifugio e mio scudo: spero nella Tua parola»
(Sal 119,114) e come san Pietro possiamo
agire ogni giorno affidandoci al Signore Gesù:
«sulla Tua parola getterò le reti» (Lc 5,5).
Cristologia della Parola
11. Da questo sguardo alla
realtà come opera della santissima Trinità, mediante
il Verbo divino, possiamo comprendere le parole
dell’autore della Lettera agli Ebrei: «Dio,
che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi
aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per
mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le
cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo»
(1,1-2). È molto bello osservare come già tutto
l’Antico Testamento si presenti a noi come storia
nella quale Dio comunica la sua Parola: infatti,
«mediante l’alleanza stretta con Abramo (cfr Gen
15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele
(cfr Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in
atti, al popolo che così s’era acquistato, come
l’unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele
sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli
uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti,
lo comprendesse con sempre maggiore profondità e
chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore
ampiezza alle genti (cfr Sal 21,28-29;
95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17)».[32]
Questa condiscendenza di Dio si compie in modo
insuperabile nell’incarnazione del Verbo. La Parola
eterna che si esprime nella creazione e che si
comunica nella storia della salvezza è diventata in
Cristo un uomo, «nato da donna» (Gal 4,4). La
Parola qui non si esprime innanzitutto in un
discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di
fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia
unica e singolare è la Parola definitiva che Dio
dice all’umanità. Da qui si capisce perché
«all’inizio dell’essere cristiano non c’è una
decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro
con un avvenimento, con una Persona, che dà alla
vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione
decisiva».[33]
Il rinnovarsi di questo incontro e di questa
consapevolezza genera nel cuore dei credenti lo
stupore per l’iniziativa divina che l’uomo con le
proprie capacità razionali e la propria
immaginazione non avrebbe mai potuto escogitare. Si
tratta di una novità inaudita e umanamente
inconcepibile: «il Verbo si fece carne e venne ad
abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14a).
Queste espressioni non indicano una figura retorica,
ma un’esperienza vissuta! A riferirla è san
Giovanni, testimone oculare: «noi abbiamo
contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio
unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di
verità» (Gv 1,14b). La fede apostolica
testimonia che la Parola eterna si è fatta Uno di
noi. La Parola divina si esprime davvero in
parole umane.
12. La tradizione patristica e
medievale, nel contemplare questa «Cristologia della
Parola», ha utilizzato un’espressione suggestiva:
il Verbo si è abbreviato.[34]
«I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca
dell’Antico Testamento, trovavano una parola del
profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare
come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate
nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso
breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is
10,23; Rm 9,28) … Il Figlio stesso è la
Parola, è il Logos: la Parola eterna si è
fatta piccola – così piccola da entrare in una
mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola
diventi per noi afferrabile».[35]
Adesso, la Parola non solo è udibile, non solo
possiede una voce, ora la Parola ha un
volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di
Nazareth.[36]
Seguendo il racconto dei Vangeli, notiamo come la
stessa umanità di Gesù si mostri in tutta la sua
singolarità proprio in riferimento alla Parola di
Dio. Egli, infatti, realizza nella sua perfetta
umanità la volontà del Padre istante per istante;
Gesù ascolta la sua voce e vi obbedisce con tutto se
stesso; egli conosce il Padre e osserva la sua
parola (cfr Gv 8,55); racconta a noi le cose
del Padre (cfr Gv 12,50); «le parole che hai
dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,8).
Pertanto Gesù mostra di essere il Logos
divino che si dona a noi, ma anche il nuovo Adamo,
l’uomo vero, colui che compie in ogni istante non la
propria volontà ma quella del Padre. Egli «cresceva
in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli
uomini» (Lc 2,52). In modo perfetto, ascolta,
realizza in sé e comunica a noi la Parola divina
(cfr Lc 5,1).
La missione di Gesù trova infine il suo
compimento nel Mistero Pasquale: qui siamo posti di
fronte alla «Parola della croce» (1Cor 1,18).
Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale,
poiché si è «detto» fino a tacere, non trattenendo
nulla di ciò che ci doveva comunicare.
Suggestivamente i Padri della Chiesa, contemplando
questo mistero, mettono sulle labbra della Madre di
Dio questa espressione: «È senza parola la Parola
del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla;
senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui
parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha
vita».[37]
Qui ci è davvero comunicato l’amore «più grande»,
quello che dà la vita per i propri amici (cfr Gv
15,13).
In questo grande mistero Gesù si manifesta come
la Parola della Nuova ed Eterna Alleanza: la
libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono
definitivamente incontrate nella sua carne
crocifissa, in un patto indissolubile, valido per
sempre. Gesù stesso nell’Ultima Cena,
nell’istituzione dell’Eucaristia, aveva parlato di
«Nuova ed Eterna Alleanza», stipulata nel suo sangue
versato (cfr Mt 26,28; Mc 14,24; Lc
22,20), mostrandosi come il vero Agnello
immolato, nel quale si compie la definitiva
liberazione dalla schiavitù.[38]
Nel mistero luminosissimo della risurrezione
questo silenzio della Parola si manifesta nel suo
significato autentico e definitivo. Cristo, Parola
di Dio incarnata, crocifissa e risorta, è Signore di
tutte le cose; egli è il Vincitore, il
Pantocrator, e tutte le cose sono così
ricapitolate per sempre in Lui (cfr Ef 1,10).
Cristo, dunque, è «la luce del mondo» (Gv
8,12), quella luce che «splende nelle tenebre» (Gv
1,5) e che le tenebre non hanno vinto (cfr Gv
1,5). Qui comprendiamo pienamente il significato del
Salmo 119: «lampada per i miei passi è la tua
parola, luce sul mio cammino» (v.105); la Parola che
risorge è questa luce definitiva sulla nostra
strada. I cristiani fin dall’inizio hanno avuto
coscienza che in Cristo la Parola di Dio è presente
come Persona. La Parola di Dio è la vera luce di cui
l’uomo ha bisogno. Sì, nella risurrezione il Figlio
di Dio è sorto come Luce del mondo. Adesso, vivendo
con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.
13. Giunti, per così dire, al
cuore della «Cristologia della Parola», è importante
sottolineare l’unità del disegno divino nel Verbo
incarnato: per questo il Nuovo Testamento ci
presenta il Mistero Pasquale in accordo con le sacre
Scritture, come loro intimo compimento. San Paolo,
nella Prima Lettera ai Corinzi, afferma che
Gesù Cristo morì per i nostri peccati «secondo le
Scritture» (15,3) e che è risorto il terzo giorno
«secondo le Scritture» (15,4). Con ciò l’Apostolo
pone l’evento della morte e risurrezione del Signore
in relazione alla storia dell’Antica Alleanza di Dio
con il suo popolo. Anzi, ci fa capire che tale
storia riceve da esso la sua logica ed il suo vero
significato. Nel Mistero Pasquale si compiono «le
parole della Scrittura, cioè, questa morte
realizzata “secondo le Scritture” è un
avvenimento che porta in sé un logos, una
logica: la morte di Cristo testimonia che la Parola
di Dio si è fatta sino in fondo “carne”, “storia”
umana».[39]
Anche la risurrezione di Gesù avviene «il terzo
giorno secondo le Scritture»: poiché secondo
l’interpretazione giudaica la corruzione cominciava
dopo il terzo giorno, la parola della Scrittura si
adempie in Gesù che risorge prima che cominci la
corruzione. In tal modo san Paolo, tramandando
fedelmente l’insegnamento degli Apostoli (cfr 1
Cor 15,3), sottolinea che la vittoria di Cristo
sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice
della Parola di Dio. Questa potenza divina reca
speranza e gioia: è questo in definitiva il
contenuto liberatore della rivelazione pasquale.
Nella Pasqua, Dio rivela se stesso e la potenza
dell’Amore trinitario che annienta le forze
distruttrici del male e della morte.
Richiamando questi elementi essenziali della
nostra fede, possiamo così contemplare la profonda
unità tra creazione e nuova creazione e di tutta la
storia della salvezza in Cristo. Esprimendoci con
un’immagine, possiamo paragonare il cosmo ad un
«libro» – così diceva anche Galileo Galilei –,
considerandolo come «l’opera di un Autore che si
esprime mediante la “sinfonia” del creato.
All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo
punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale
un “assolo”, un tema affidato ad un singolo
strumento o ad una voce; ed è così importante che da
esso dipende il significato dell’intera opera.
Questo “assolo” è Gesù… Il Figlio dell’uomo riassume
in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore,
la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della
storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi
l’Autore e la sua opera».[40]
Dimensione escatologica della Parola di Dio
14. Con tutto ciò la Chiesa
esprime la consapevolezza di trovarsi con Gesù
Cristo di fronte alla Parola definitiva di Dio; egli
è «il Primo e l’Ultimo» (Ap 1,17). Egli ha
dato alla creazione e alla storia il suo senso
definitivo; per questo siamo chiamati a vivere il
tempo, ad abitare la creazione di Dio dentro questo
ritmo escatologico della Parola; «l’economia
cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e
definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi
alcun’altra rivelazione pubblica prima della
manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù
Cristo (cfr 1 Tm 6,14 e Tt 2,13)».[41]
Infatti, come hanno ricordato i Padri durante il
Sinodo, la «specificità del cristianesimo si
manifesta nell’evento Gesù Cristo, culmine della
Rivelazione, compimento delle promesse di Dio e
mediatore dell’incontro tra l’uomo e Dio. Egli “che
ci ha rivelato Dio” (Gv 1,18) è la Parola
unica e definitiva consegnata all’umanità».[42]
San Giovanni della Croce ha espresso questa verità
in modo mirabile: «Dal momento in cui ci ha donato
il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva
Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in
questa sola Parola e non ha più nulla da dire ...
Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai
profeti, l’ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci
questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse
ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o
rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza,
ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo
unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e
novità».[43]
Di conseguenza, il Sinodo ha raccomandato di
«aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di
Dio dalle rivelazioni private»,[44]
il cui ruolo «non è quello... di “completare” la
Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a
viverla più pienamente in una determinata epoca
storica».[45]
Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente
diverso dall’unica rivelazione pubblica: questa
esige la nostra fede; in essa infatti per mezzo di
parole umane e della mediazione della comunità
vivente della Chiesa, Dio stesso parla a noi. Il
criterio per la verità di una rivelazione privata è
il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci
allontana da Lui, allora essa non viene certamente
dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del
Vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata
è un aiuto per questa fede, e si manifesta come
credibile proprio perché rimanda all’unica
rivelazione pubblica. Per questo l’approvazione
ecclesiastica di una rivelazione privata indica
essenzialmente che il relativo messaggio non
contiene nulla che contrasti la fede ed i buoni
costumi; è lecito renderlo pubblico, ed i fedeli
sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la
loro adesione. Una rivelazione privata può
introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme
di pietà o approfondirne di antiche. Essa può avere
un certo carattere profetico (cfr 1 Tess
5,19-21) e può essere un valido aiuto per
comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora
attuale; perciò non lo si deve trascurare. È un
aiuto, che è offerto, ma del quale non è
obbligatorio fare uso. In ogni caso, deve trattarsi
di un nutrimento della fede, della speranza e della
carità, che sono per tutti la via permanente della
salvezza.[46]
La Parola di Dio e lo Spirito Santo
15. Dopo esserci soffermati
sulla Parola ultima e definitiva di Dio al mondo, è
necessario richiamare ora la missione dello Spirito
Santo in relazione alla divina Parola. Infatti, non
v’è alcuna comprensione autentica della Rivelazione
cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito. Ciò
dipende dal fatto che la comunicazione che Dio fa di
se stesso implica sempre la relazione tra il Figlio
e lo Spirito Santo, che Ireneo di Lione, infatti,
chiama «le due mani del Padre».[47]
Del resto, è la sacra Scrittura a indicarci la
presenza dello Spirito Santo nella storia della
salvezza ed in particolare nella vita di Gesù, il
quale è concepito dalla Vergine Maria per opera
dello Spirito Santo (cfr Mt 1,18; Lc
1,35); all’inizio della sua missione pubblica, sulle
rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in
forma di colomba (cfr Mt 3,16); in questo
stesso Spirito Gesù agisce, parla ed esulta (cfr
Lc 10,21); ed è nello Spirito che egli offre se
stesso (cfr Eb 9,14). Sul finire della sua
missione, secondo il racconto dell’Evangelista
Giovanni, è Gesù stesso a mettere in chiara
relazione il dono della sua vita con l’invio dello
Spirito ai suoi (cfr Gv 16,7). Gesù risorto,
poi, portando nella sua carne i segni della
passione, effonde lo Spirito (cfr Gv 20,22),
rendendo i suoi partecipi della sua stessa missione
(cfr Gv 20,21). Lo Spirito Santo insegnerà ai
discepoli ogni cosa e ricorderà loro tutto ciò che
Cristo ha detto (cfr Gv 14,26), poiché sarà
Lui, lo Spirito di Verità (cfr Gv 15,26), a
condurre i discepoli alla Verità tutta intera (cfr
Gv 16,13). Infine, come si legge negli Atti
degli Apostoli, lo Spirito discende sui Dodici
radunati in preghiera con Maria nel giorno di
Pentecoste (cfr 2,1-4), e li anima alla missione di
annunciare a tutti i popoli la Buona Novella.[48]
La Parola di Dio, dunque, si esprime in parole
umane grazie all’opera dello Spirito Santo. La
missione del Figlio e quella dello Spirito Santo
sono inseparabili e costituiscono un’unica economia
della salvezza. Lo stesso Spirito che agisce
nell’incarnazione del Verbo nel seno della Vergine
Maria, è il medesimo che guida Gesù lungo tutta la
sua missione e che viene promesso ai discepoli. Lo
stesso Spirito, che ha parlato per mezzo dei
profeti, sostiene e ispira la Chiesa nel compito di
annunciare la Parola di Dio e nella predicazione
degli Apostoli; è questo Spirito, infine, che ispira
gli autori delle sacre Scritture.
16. Consapevoli di
quest’orizzonte pneumatologico, i Padri sinodali
hanno voluto richiamare l’importanza dell’azione
dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e nel
cuore dei credenti in relazione alla sacra
Scrittura:[49]
senza l’azione efficace dello «Spirito della Verità»
(Gv 14,16) non è dato di comprendere le
parole del Signore. Come ricorda ancora sant’Ireneo:
«Quelli che non partecipano dello Spirito non
attingono nel petto della loro madre (la Chiesa) il
nutrimento della vita, essi non ricevono nulla dalla
sorgente più pura che sgorga dal corpo di Cristo».[50]
Come la Parola di Dio viene a noi nel corpo di
Cristo, nel corpo eucaristico e nel corpo delle
Scritture mediante l’azione dello Spirito Santo,
così essa può essere accolta e compresa veramente
solo grazie al medesimo Spirito.
I grandi scrittori della tradizione cristiana
sono unanimi nel considerare il ruolo dello Spirito
Santo nel rapporto che i credenti devono avere con
le Scritture. San Giovanni Crisostomo afferma che la
Scrittura «ha bisogno della rivelazione dello
Spirito, affinché scoprendo il vero senso delle cose
che vi si trovano racchiuse, ne ricaviamo un
abbondante profitto».[51]
Anche san Girolamo è fermamente convinto che «non
possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza
l’aiuto dello Spirito Santo che l’ha ispirata».[52]
San Gregorio Magno, poi, sottolinea suggestivamente
l’opera del medesimo Spirito nella formazione e
nell’interpretazione della Bibbia: «Egli stesso ha
creato le parole dei santi testamenti, egli stesso
le dischiuse».[53]
Riccardo di san Vittore ricorda che occorrono «occhi
di colomba», illuminati ed istruiti dallo Spirito,
per comprendere il testo sacro.[54]
Vorrei sottolineare ancora quanto sia
significativa la testimonianza che troviamo riguardo
alla relazione tra lo Spirito Santo e la Scrittura
nei testi liturgici, dove la Parola di Dio viene
proclamata, ascoltata e spiegata ai fedeli. È il
caso di antiche preghiere che in forma di epiclesi
invocano lo Spirito prima della proclamazione delle
letture: «Manda il tuo Santo Spirito Paraclito nelle
nostre anime e facci comprendere le Scritture da lui
ispirate; e concedi a me di interpretarle in maniera
degna, perché i fedeli qui radunati ne traggano
profitto». Allo stesso modo, troviamo preghiere che,
al termine dell’omelia, di nuovo invocano Dio per il
dono dello Spirito sui fedeli: «Dio salvatore…
t’imploriamo per questo popolo: manda su di esso lo
Spirito Santo; il Signore Gesù venga a visitarlo,
parli alle menti di tutti e disponga i cuori alla
fede e conduca a te le nostre anime, Dio delle
Misericordie».[55]
Da tutto ciò possiamo ben capire perché non si possa
arrivare a comprendere il senso della Parola se non
si accoglie l’azione del Paraclito nella Chiesa e
nei cuori dei credenti.
Tradizione e Scrittura
17. Riaffermando il profondo
legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio,
abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso
ed il valore decisivo della viva Tradizione e delle
sacre Scritture nella Chiesa. Infatti, poiché Dio
«ha tanto amato il mondo da dare il Figlio
unigenito» (Gv 3,16), la Parola divina,
pronunciata nel tempo, si è donata e «consegnata»
alla Chiesa in modo definitivo, cosicché l’annuncio
della salvezza possa essere comunicato efficacemente
in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Come ci
ricorda la Costituzione dogmatica
Dei Verbum, Gesù Cristo stesso «ordinò agli
Apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo
dei profeti e da Lui adempiuto e promulgato di
persona venisse da loro predicato a tutti come la
fonte di ogni verità salutare e di ogni regola
morale, comunicando ad essi i doni divini. Ciò venne
fedelmente eseguito, tanto dagli Apostoli, i quali
nella predicazione orale, con gli esempi e le
istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto
dalla bocca del Cristo vivendo con Lui e guardandoLo
agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti
dello Spirito Santo, quanto da quegli Apostoli e da
uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione
dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio
della salvezza».[56]
Il
Concilio Vaticano II ricorda, inoltre, come
questa Tradizione di origine apostolica sia realtà
viva e dinamica: essa «progredisce nella Chiesa con
l’assistenza dello Spirito Santo»; non nel senso che
essa muti nella sua verità, che è perenne. Piuttosto
«cresce … la comprensione, tanto delle cose quanto
delle parole trasmesse», con la contemplazione e lo
studio, con l’intelligenza data da una più profonda
esperienza spirituale, e per mezzo della
«predicazione di coloro i quali con la successione
episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di
verità».[57]
La viva Tradizione è essenziale affinché la
Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione
della verità rivelata nelle Scritture; infatti, «è
questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa
l’intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa
più profondamente comprendere e rende
ininterrottamente operanti le stesse sacre
Scritture».[58]
In definitiva, è la viva Tradizione della Chiesa a
farci comprendere in modo adeguato la sacra
Scrittura come Parola di Dio. Sebbene il Verbo di
Dio preceda ed ecceda la sacra Scrittura, tuttavia,
in quanto ispirata da Dio, essa contiene la Parola
divina (cfr 2Tm 3,16) «in modo del tutto
singolare».[59]
18. Da questo si evince come sia
importante che il Popolo di Dio sia educato e
formato in modo chiaro ad accostarsi alle sacre
Scritture in relazione alla viva Tradizione della
Chiesa, riconoscendo in esse la Parola stessa di
Dio. Far crescere questo atteggiamento nei fedeli è
molto importante dal punto di vista della vita
spirituale. Può aiutare a questo proposito ricordare
un’analogia sviluppata dai Padri della Chiesa tra il
Verbo di Dio che si fa «carne» e la Parola che si fa
«libro».[60]
La Costituzione dogmatica
Dei Verbum, raccogliendo quest’antica
tradizione secondo la quale «il corpo del Figlio è
la Scrittura a noi trasmessa» – come afferma
sant’Ambrogio[61]
–, dichiara: «Le parole di Dio, espresse con
lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio
degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre,
avendo assunto le debolezze della natura umana, si
fece simile agli uomini».[62]
Così compresa, la sacra Scrittura si presenta a noi,
pur nella molteplicità delle sue forme e dei suoi
contenuti, come realtà unitaria. Infatti, «Dio,
attraverso tutte le parole della sacra Scrittura,
non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo,
nel quale dice se stesso interamente (cfr Eb
1,1-3)»,[63]
come già sant’Agostino affermava con chiarezza:
«Ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che
si sviluppa in tutta la sacra Scrittura ed uno solo
è il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli
scrittori santi».[64]
In definitiva, mediante l’opera dello Spirito
Santo e sotto la guida del Magistero, la Chiesa
trasmette a tutte le generazioni quanto è stato
rivelato in Cristo. La Chiesa vive nella certezza
che il suo Signore, il Quale ha parlato nel passato,
non cessa di comunicare oggi la sua Parola nella
Tradizione viva della Chiesa e nella sacra
Scrittura. Infatti, la Parola di Dio si dona a noi
nella sacra Scrittura, quale testimonianza ispirata
della Rivelazione, che con la viva Tradizione della
Chiesa costituisce la regola suprema della fede.[65]
Sacra Scrittura, ispirazione e verità
19. Un concetto chiave per
cogliere il testo sacro come Parola di Dio in parole
umane è certamente quello dell’ispirazione.
Anche qui ci è possibile suggerire un’analogia: come
il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello
Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così
la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per
opera del medesimo Spirito. La sacra Scrittura è
«Parola di Dio in quanto scritta per ispirazione
dello Spirito di Dio».[66]
In tal modo si riconosce tutta l’importanza
dell’autore umano che ha scritto i testi ispirati e,
al medesimo tempo, Dio stesso come vero autore.
Come hanno affermato i Padri sinodali, appare in
tutta evidenza quanto il tema dell’ispirazione sia
decisivo per l’adeguato accostamento alle Scritture
e per la loro corretta ermeneutica,[67]
la quale a sua volta deve essere fatta nello stesso
Spirito in cui è stata scritta.[68]
Quando si affievolisce in noi la consapevolezza
dell’ispirazione, si rischia di leggere la Scrittura
come oggetto di curiosità storica e non come opera
dello Spirito Santo, nella quale possiamo sentire la
stessa voce del Signore e conoscere la sua presenza
nella storia.
Inoltre, i Padri sinodali hanno messo in evidenza
come al tema dell’ispirazione sia connesso anche il
tema della verità delle Scritture.[69]
Per questo, un approfondimento della dinamica
dell’ispirazione porterà indubbiamente anche ad una
maggior comprensione della verità contenuta nei
libri sacri. Come afferma la dottrina conciliare sul
tema, i libri ispirati insegnano la verità: «Poiché
dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi
asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito
Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i
libri della Scrittura insegnano fermamente,
fedelmente e senza errore la verità, che Dio per la
nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre
Lettere. Infatti, “tutta la Scrittura è ispirata da
Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e
formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia
completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm
3,16-17gr.)».[70]
Certamente la riflessione teologica ha sempre
considerato ispirazione e verità come due concetti
chiave per un’ermeneutica ecclesiale delle sacre
Scritture. Tuttavia, si deve riconoscere l’odierna
necessità di un approfondimento adeguato di queste
realtà, così da poter rispondere meglio alle
esigenze riguardanti l’interpretazione dei testi
sacri secondo la loro natura. In tale prospettiva
formulo il vivo auspicio che la ricerca in questo
campo possa progredire e porti frutto per la scienza
biblica e per la vita spirituale dei fedeli.
Dio Padre, fonte e origine della Parola
20. L’economia della Rivelazione
ha il suo inizio e la sua origine in Dio Padre.
Dalla sua parola «furono fatti i cieli, dal soffio
della sua bocca ogni loro schiera» (Sal
33,6). È Lui che fa «risplendere la conoscenza della
gloria di Dio sul volto di Cristo» (2Cor 4,6;
cfr Mt 16,17; Lc 9,29).
Nel Figlio, «Logos fatto carne» (cfr Gv
1,14), venuto a compiere la volontà di Colui che
l’ha mandato (cfr Gv 4,34), Dio fonte della
Rivelazione si manifesta come Padre e porta a
compimento l’educazione divina dell’uomo, già in
precedenza animata dalle parole dei profeti e dalle
meraviglie operate nella creazione e nella storia
del suo popolo e di tutti gli uomini. Il culmine
della Rivelazione di Dio Padre è offerto dal Figlio
con il dono del Paraclito (cfr Gv 14,16),
Spirito del Padre e del Figlio, che ci «guida a
tutta la verità» (Gv 16,13).
È così che tutte le promesse di Dio diventano
«sì» in Gesù Cristo (cfr 2Cor 1,20). In tale
modo si apre per l’uomo la possibilità di percorrere
la via che lo conduce al Padre (cfr Gv 14,6),
perché alla fine «Dio sia tutto in tutti» (1Cor
15,28).
21. Come mostra la croce di
Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio.
Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza
dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel
cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata.
Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore
causatoGli da tale silenzio: «Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt
27,46). Procedendo nell’obbedienza fino all’estremo
alito di vita, nell’oscurità della morte, Gesù ha
invocato il Padre. A Lui si è affidato nel momento
del passaggio, attraverso la morte, alla vita
eterna: «Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito» (Lc 23,46).
Questa esperienza di Gesù è indicativa della
situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e
riconosciuto la Parola di Dio, deve misurarsi anche
con il suo silenzio. È un’esperienza vissuta da
tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel
cammino di molti credenti. Il silenzio di Dio
prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti
oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio.
Pertanto, nella dinamica della Rivelazione
cristiana, il silenzio appare come un’espressione
importante della Parola di Dio.
La risposta dell’uomo al Dio che parla
Chiamati ad entrare nell’Alleanza con Dio
22. Sottolineando la
pluriformità della Parola, abbiamo potuto
contemplare attraverso quante modalità Dio parli e
venga incontro all’uomo, facendosi conoscere nel
dialogo. Certo, come hanno affermato i Padri
sinodali, «il dialogo quando è riferito alla
Rivelazione comporta il primato della Parola
di Dio rivolta all’uomo».[71]
Il mistero dell’Alleanza esprime questa relazione
tra Dio che chiama con la sua Parola e l’uomo che
risponde, nella chiara consapevolezza che non si
tratta di un incontro tra due contraenti alla pari;
ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è
un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono
di Dio. Mediante questo dono del suo amore Egli,
superando ogni distanza, ci rende veramente suoi
«partner», così da realizzare il mistero nuziale
dell’amore tra Cristo e la Chiesa. In questa visione
ogni uomo appare come il destinatario della Parola,
interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo
d’amore con una risposta libera. Ciascuno di noi è
reso così da Dio capace di ascoltare e rispondere
alla divina Parola. L’uomo è creato nella Parola e
vive in essa; egli non può capire se stesso se non
si apre a questo dialogo. La Parola di Dio rivela la
natura filiale e relazionale della nostra vita.
Siamo davvero chiamati per grazia a conformarci a
Cristo, il Figlio del Padre, ed essere trasformati
in Lui.
Dio ascolta l’uomo e risponde alle sue
domande
23. In questo dialogo con Dio
comprendiamo noi stessi e troviamo risposta alle
domande più profonde che albergano nel nostro cuore.
La Parola di Dio, infatti, non si contrappone
all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici,
anzi li illumina, purificandoli e portandoli a
compimento. Come è importante per il nostro tempo
scoprire che solo Dio risponde alla sete che sta
nel cuore di ogni uomo! Nella nostra epoca
purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente,
l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi
dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere
una minaccia alla sua autonomia. In realtà, tutta
l’economia della salvezza ci mostra che Dio parla ed
interviene nella storia a favore dell’uomo e della
sua salvezza integrale. Quindi è decisivo, dal punto
di vista pastorale, presentare la Parola di Dio
nella sua capacità di dialogare con i problemi che
l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana.
Proprio Gesù si presenta a noi come colui che è
venuto perché possiamo avere la vita in abbondanza
(cfr Gv 10,10). Per questo, dobbiamo
impiegare ogni sforzo per mostrare la Parola di Dio
come apertura ai propri problemi, come risposta alle
proprie domande, un allargamento dei propri valori
ed insieme come una soddisfazione alle proprie
aspirazioni. La pastorale della Chiesa deve
illustrare bene come Dio ascolti il bisogno
dell’uomo ed il suo grido. San Bonaventura afferma
nel Breviloquium: «Il frutto della sacra
Scrittura non è uno qualsiasi, ma addirittura la
pienezza della felicità eterna. Infatti la sacra
Scrittura è appunto il libro nel quale sono scritte
parole di vita eterna perché, non solo crediamo, ma
anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo,
ameremo e saranno realizzati tutti i nostri
desideri».[72]
Dialogare con Dio mediante le sue parole
24. La divina Parola introduce
ciascuno di noi al colloquio con il Signore: il Dio
che parla ci insegna come noi possiamo parlare con
Lui. Il pensiero va spontaneamente al Libro dei
Salmi, nel quale Egli ci dà le parole con cui
possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita
nel colloquio davanti a Lui, trasformando così la
vita stessa in un movimento verso Dio.[73]
Nei Salmi infatti troviamo tutta la gamma articolata
di sentimenti che l’uomo può provare nella propria
esistenza e che vengono posti con sapienza davanti a
Dio; gioia e dolore, angoscia e speranza, timore e
trepidazione trovano qui espressione. Insieme ai
Salmi pensiamo anche ai numerosi altri testi della
sacra Scrittura che esprimono il rivolgersi
dell’uomo a Dio nella forma della preghiera di
intercessione (cfr Es 33,12-16), del canto di
giubilo per la vittoria (cfr Es 15), o di
lamento nello svolgimento della propria missione
(cfr Ger 20,7-18). In tal modo la parola che
l’uomo rivolge a Dio diventa anch’essa Parola di
Dio, a conferma del carattere dialogico di tutta la
Rivelazione cristiana,[74]
e l’intera esistenza dell’uomo diviene un dialogo
con Dio che parla ed ascolta, che chiama e mobilita
la nostra vita. La Parola di Dio rivela qui che
tutta l’esistenza dell’uomo è sotto la chiamata
divina.[75]
La Parola di Dio e la fede
25. «A Dio che si rivela è
dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26;
cfr Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la
quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e
liberamente prestando “il pieno ossequio
dell’intelletto e della volontà a Dio che rivela” e
assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli
fa».[76]
Con queste parole la Costituzione dogmatica
Dei Verbum ha espresso in modo preciso
l’atteggiamento dell’uomo nei confronti di Dio.
La risposta propria dell’uomo al Dio che parla è la
fede. In ciò si evidenzia che «per accogliere la
Rivelazione, l’uomo deve aprire la mente e il cuore
all’azione dello Spirito Santo che gli fa capire la
Parola di Dio presente nelle sacre Scritture».[77]
In effetti è proprio la predicazione della divina
Parola a far sorgere la fede, con la quale aderiamo
di cuore alla verità rivelataci e affidiamo tutto
noi stessi a Cristo: «la fede viene dall’ascolto e
l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm
10,17). È tutta la storia della salvezza che in modo
progressivo ci mostra questo intimo legame tra la
Parola di Dio e la fede che si compie nell’incontro
con Cristo. Con Lui, infatti, la fede prende la
forma dell’incontro con una Persona alla quale si
affida la propria vita. Cristo Gesù rimane presente
oggi nella storia, nel suo corpo che è la Chiesa,
per questo l’atto della nostra fede è un atto nello
stesso tempo personale ed ecclesiale.
Il peccato come non ascolto della Parola di
Dio
26. La Parola di Dio rivela
inevitabilmente anche la possibilità drammatica da
parte della libertà dell’uomo di sottrarsi a questo
dialogo di alleanza con Dio per il quale siamo stati
creati. La divina Parola, infatti, svela anche il
peccato che alberga nel cuore dell’uomo. Molto
spesso troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo
Testamento la descrizione del peccato come non
ascolto della Parola, come rottura
dell’Alleanza e dunque come chiusura nei
confronti di Dio che chiama alla comunione con Lui.[78]
In effetti, la sacra Scrittura ci mostra come il
peccato dell’uomo sia essenzialmente disobbedienza e
«non ascolto». Proprio l’obbedienza radicale di Gesù
fino alla morte di Croce (cfr Fil 2,8)
smaschera fino in fondo questo peccato. Nella sua
obbedienza si compie la Nuova Alleanza tra Dio e
l’uomo e viene donata a noi la possibilità della
riconciliazione. Gesù, infatti, è stato mandato dal
Padre come vittima di espiazione per i nostri
peccati e per quelli di tutto il mondo (cfr 1Gv
2,2; 4,10; Eb 7,27). Così, ci viene offerta
la possibilità misericordiosa della redenzione e
l’inizio di una vita nuova in Cristo. Per questo è
importante che i fedeli siano educati a riconoscere
la radice del peccato nel non ascolto della Parola
del Signore e ad accogliere in Gesù, Verbo di Dio,
il perdono che ci apre alla salvezza.
Maria «Mater Verbi Dei» e «Mater fidei»
27. I Padri sinodali hanno
dichiarato che scopo fondamentale della
XII Assemblea è stato di «rinnovare la fede
della Chiesa nella Parola di Dio»; per questo è
necessario guardare là dove la reciprocità tra
Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente,
ossia a Maria Vergine, «che con il suo sì alla
Parola d’Alleanza e alla sua missione, compie
perfettamente la vocazione divina dell’umanità».[79]
La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova
la sua figura compiuta proprio nella fede obbediente
di Maria. Ella dall’Annunciazione alla Pentecoste si
presenta a noi come donna totalmente disponibile
alla volontà di Dio. È l’Immacolata Concezione,
colei che è «colmata di grazia» da Dio (cfr Lc
1,28), docile in modo incondizionato alla Parola
divina (cfr Lc 1,38). La sua fede obbediente
plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte
all’iniziativa di Dio. Vergine in ascolto, ella vive
in piena sintonia con la divina Parola; serba nel
suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli
come in un unico mosaico (cfr Lc 2,19.51).[80]
È necessario nel nostro tempo che i fedeli
vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra
Maria di Nazareth e l’ascolto credente della divina
Parola. Esorto anche gli studiosi ad approfondire
maggiormente il rapporto tra mariologia e
teologia della Parola. Da ciò potrà venire
grande beneficio sia per la vita spirituale che per
gli studi teologici e biblici. Infatti, quanto
l’intelligenza della fede ha tematizzato in
relazione a Maria si colloca nel centro più intimo
della verità cristiana. In realtà, l’incarnazione
del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla
libertà di questa giovane donna che con il suo
assenso coopera in modo decisivo all’ingresso
dell’Eterno nel tempo. Ella è la figura della Chiesa
in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa
carne. Maria è anche simbolo dell’apertura per Dio e
per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza,
assimila, in cui la Parola diviene forma della vita.
28. In questa circostanza
desidero richiamare l’attenzione sulla familiarità
di Maria con la Parola di Dio. Ciò risplende con
particolare efficacia nel Magnificat. Qui, in
un certo senso, si vede come Ella si identifichi con
la Parola, entri in essa; in questo meraviglioso
cantico di fede la Vergine esalta il Signore con la
sua stessa Parola: «Il Magnificat — un
ritratto, per così dire, della sua anima — è
interamente tessuto di fili della sacra Scrittura,
di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela
che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua,
ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e
pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa
parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di
Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri
sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo
volere è un volere insieme con Dio. Essendo
intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può
diventare madre della Parola incarnata».[81]
Inoltre, il riferimento alla Madre di Dio ci
mostra come l’agire di Dio nel mondo coinvolga
sempre la nostra libertà perché nella fede la Parola
divina ci trasforma. Anche la nostra azione
apostolica e pastorale non potrà mai essere efficace
se non impariamo da Maria a lasciarci plasmare
dall’opera di Dio in noi: «L’attenzione devota e
amorosa alla figura di Maria come modello e
archetipo della fede della Chiesa, è di importanza
capitale per operare anche oggi un concreto
cambiamento di paradigma nel rapporto della Chiesa
con la Parola, tanto nell’atteggiamento di ascolto
orante quanto nella generosità dell’impegno per la
missione e l’annuncio».[82]
Contemplando nella Madre di Dio un’esistenza
totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo
anche noi chiamati ad entrare nel mistero della
fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare
nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci
ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso, concepisce
e genera il Verbo di Dio in se stesso: se c’è una
sola Madre di Cristo secondo la carne, secondo la
fede, invece, Cristo è il frutto di tutti.[83]
Dunque, quanto è accaduto a Maria può riaccadere in
ciascuno di noi ogni giorno nell’ascolto della
Parola e nella celebrazione dei Sacramenti.
L’ermeneutica della sacra Scrittura nella Chiesa
La Chiesa luogo originario dell’ermeneutica
della Bibbia
29. Un altro grande tema emerso
durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare
l’attenzione, è l’interpretazione della sacra
Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame
intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che
l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che
essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria
il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo
proposito che senza la fede non c’è chiave di
accesso al testo sacro: «Questa è la conoscenza di
Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una
fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la
sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa
addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede
infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche
fondamento di tutta la Scrittura».[84]
E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino,
insiste con forza: «Anche la lettera del vangelo
uccide se manca l’interiore grazia della fede che
sana».[85]
Questo ci permette di richiamare un criterio
fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo
originario dell’interpretazione scritturistica è la
vita della Chiesa. Questa affermazione non
indica il riferimento ecclesiale come un criterio
estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è
richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da
come esse si sono formate nel tempo. Infatti, «le
tradizioni di fede formavano l’ambiente vitale in
cui si è inserita l’attività letteraria degli autori
della sacra Scrittura. Questo inserimento
comprendeva anche la partecipazione alla vita
liturgica e all’attività esterna delle comunità, al
loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle
peripezie del loro destino storico.
L’interpretazione della sacra Scrittura esige
perciò, in modo simile, la partecipazione degli
esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della
comunità credente del loro tempo».[86]
Di conseguenza, «dovendo la sacra Scrittura esser
letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito
mediante il quale è stata scritta»,[87]
occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo
di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è,
quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso
parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un
dato costante ed implicito nella Bibbia stessa:
«nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata
spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata
mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo
parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2Pt
1,20-21). Del resto, è proprio la fede della Chiesa
che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come
dice mirabilmente sant’Agostino, «non crederei al
Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della
Chiesa cattolica».[88]
È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa,
a rendere capaci di interpretare autenticamente le
Scritture. La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla
sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche
la sua vera ermeneutica.
30. San Girolamo ricorda che non
possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo
troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente
nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di
Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione
dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col
Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il
«noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol
dire.[89]
Il grande studioso, per il quale «l’ignoranza delle
Scritture è ignoranza di Cristo»,[90]
afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione
biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il
Libro è proprio la voce del Popolo di Dio
pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo
siamo, per così dire, nella tonalità giusta per
capire la sacra Scrittura. Un’autentica
interpretazione della Bibbia deve essere sempre in
armonica concordanza con la fede della Chiesa
cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un
sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla
dottrina tradizionale che ti è stata insegnata,
affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina
e confutare coloro che la contraddicono».[91]
Approcci al testo sacro che prescindano dalla
fede possono suggerire elementi interessanti,
soffermandosi sulla struttura del testo e le sue
forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe
inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente
incompiuto. Infatti, come è stato affermato dalla
Pontificia Commissione Biblica, facendo eco ad un
principio condiviso nell’ermeneutica moderna, «la
giusta conoscenza del testo biblico è accessibile
solo a colui che ha un’affinità vissuta con ciò di
cui parla il testo».[92]
Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la
vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura.
Infatti, «con la crescita della vita nello Spirito
cresce anche, nel lettore, la comprensione delle
realtà di cui parla il testo biblico».[93]
L’intensità di un’autentica esperienza ecclesiale
non può che incrementare un’intelligenza della fede
autentica riguardo alla Parola di Dio;
reciprocamente si deve dire che leggere nella fede
le Scritture fa crescere la stessa vita ecclesiale.
Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la nota
affermazione di san Gregorio Magno: «le parole
divine crescono insieme con chi le legge».[94]
In questo modo l’ascolto della Parola di Dio
introduce ed incrementa la comunione ecclesiale con
quanti camminano nella fede.
«L’anima della sacra Teologia»
31. «Sia dunque lo studio delle
Sacre Pagine come l’anima della Sacra Teologia»:[95]
questa espressione della Costituzione dogmatica
Dei Verbum ci è diventata in questi anni
sempre più familiare. Possiamo dire che l’epoca
successiva al
Concilio Vaticano II, per quanto riguarda gli
studi teologici ed esegetici, ha fatto frequente
riferimento a quest’espressione come simbolo del
rinnovato interesse per la sacra Scrittura. Anche la
XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi si è spesso
riferita a questa nota affermazione per indicare la
relazione tra ricerca storica ed ermeneutica della
fede in riferimento al testo sacro. In questa
prospettiva, i Padri hanno riconosciuto con gioia
l’accresciuto studio della Parola di Dio nella
Chiesa lungo gli ultimi decenni ed hanno espresso
un vivo ringraziamento ai numerosi esegeti e teologi
che con la loro dedizione, impegno e competenza
hanno dato e danno un contributo essenziale
all’approfondimento del senso delle Scritture,
affrontando i problemi complessi che il nostro tempo
pone alla ricerca biblica.[96]
Sentimenti di sincera gratitudine anche per i
membri della
Pontificia Commissione Biblica che si sono
succeduti in questi anni e che, in stretto rapporto
con la Congregazione per la Dottrina della Fede,
continuano a dare il loro qualificato apporto
nell’affrontare questioni peculiari inerenti allo
studio della sacra Scrittura. Il Sinodo ha sentito,
inoltre, il bisogno di interrogarsi sullo stato
degli attuali studi biblici e sul loro rilievo
nell’ambito teologico. Infatti, dal fecondo rapporto
tra esegesi e teologia dipende gran parte
dell’efficacia pastorale dell’azione della Chiesa e
della vita spirituale dei fedeli. Per questo ritengo
importante riprendere talune riflessioni emerse nel
confronto avuto su questo tema nei lavori del
Sinodo.
Sviluppo della ricerca biblica e Magistero
ecclesiale
32. Innanzitutto è necessario
riconoscere il beneficio derivato nella vita della
Chiesa dall’esegesi storico-critica e dagli altri
metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi
recenti.[97]
Per la visione cattolica della sacra Scrittura
l’attenzione a questi metodi è imprescindibile ed è
legata al realismo dell’incarnazione: «Questa
necessità è la conseguenza del principio cristiano
formulato nel Vangelo secondo Giovanni 1, 14:
Verbum caro factum est. Il fatto storico è una
dimensione costitutiva della fede cristiana. La
storia della salvezza non è una mitologia, ma una
vera storia ed è perciò da studiare con i metodi
della seria ricerca storica».[98]
Pertanto, lo studio della Bibbia esige la conoscenza
e l’uso appropriato di questi metodi di indagine. Se
è vero che questa sensibilità nell’ambito degli
studi si è sviluppata più intensamente nell’epoca
moderna, benché non dappertutto in modo uguale,
tuttavia, nella sana tradizione ecclesiale, vi è
sempre stato amore per lo studio della «lettera».
Basti qui ricordare la cultura monastica, cui
dobbiamo ultimamente il fondamento della cultura
europea, alla cui radice sta l’interesse per la
parola. Il desiderio di Dio include l’amore per la
parola in tutte le sue dimensioni: «poiché nella
Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi
verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel
segreto della lingua, a comprenderla nella sua
struttura e nel suo modo di esprimersi. Così,
proprio a causa della ricerca di Dio, diventano
importanti le scienze profane che ci indicano le vie
verso la lingua».[99]
33. Il Magistero vivo della
Chiesa, al quale spetta «d’interpretare
autenticamente la Parola di Dio, scritta o
trasmessa»,[100]
è intervenuto con sapiente equilibro in relazione
alla giusta posizione da avere di fronte
all’introduzione dei nuovi metodi di analisi
storica. Mi riferisco in particolare alle encicliche
Providentissimus Deus di Papa
Leone XIII e
Divino afflante Spiritu di Papa
Pio XII. Fu il mio venerabile predecessore
Giovanni Paolo II a ricordare l’importanza di
questi documenti per l’esegesi e la teologia in
occasione della celebrazione rispettivamente del
centenario e cinquantenario della loro
promulgazione.[101]
L’intervento di Papa
Leone XIII ebbe il merito di proteggere
l’interpretazione cattolica della Bibbia dagli
attacchi del razionalismo, senza però rifugiarsi in
un senso spirituale staccato dalla storia. Non
rifuggendo la critica scientifica, si diffidava
solamente «dalle opinioni preconcette che pretendono
di fondarsi sulla scienza ma che in realtà fanno
uscire subdolamente la scienza dal suo campo».[102]
Il Papa
Pio XII, invece, si trovava di fronte agli
attacchi dei sostenitori di un’esegesi cosiddetta
mistica che rifiutava qualsiasi approccio
scientifico. L’Enciclica
Divino afflante Spiritu, con grande
sensibilità, ha evitato di ingenerare l’idea di una
dicotomia tra l’«esegesi scientifica» per l’uso
apologetico e l’«interpretazione spirituale
riservata all’uso interno», affermando invece sia la
«portata teologica del senso letterale metodicamente
definito», sia l’appartenenza della «determinazione
del senso spirituale… al campo della scienza
esegetica».[103]
In tal modo entrambi i documenti rifiutano «la
rottura tra l’umano e il divino, tra la ricerca
scientifica e lo sguardo della fede, fra il senso
letterale e il senso spirituale».[104]
Questo equilibrio è stato poi espresso
successivamente nel documento della Pontificia
Commissione Biblica del 1993: «Nel loro lavoro di
interpretazione, gli esegeti cattolici non devono
mai dimenticare che ciò che interpretano è la
parola di Dio. Il loro compito non finisce una
volta che hanno distinto le fonti, definito le forme
o spiegato i procedimenti letterari. Lo scopo del
loro lavoro è raggiunto solo quando hanno chiarito
il significato del testo biblico come Parola attuale
di Dio».[105]
L’ermeneutica biblica conciliare:
un’indicazione da recepire
34. Dato questo orizzonte, si
possono apprezzare maggiormente i grandi principi
dell’interpretazione propri dell’esegesi cattolica
espressi dal
Concilio Vaticano II, particolarmente nella
Costituzione dogmatica
Dei Verbum: «Poiché Dio nella sacra
Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla
maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura,
per capir bene ciò che Egli ha voluto comunicarci,
deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi
abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto
manifestare con le loro parole».[106]
Da una parte il Concilio sottolinea come elementi
fondamentali per cogliere il significato inteso
dall’agiografo lo studio dei generi letterari e la
contestualizzazione. Dall’altra, dovendo la
Scrittura essere interpretata nello stesso Spirito
nel quale è stata scritta, la Costituzione dogmatica
indica tre criteri di base per tenere conto della
dimensione divina della Bibbia: 1) interpretare il
testo considerando l’unità di tutta la Scrittura;
questo oggi si chiama esegesi canonica; 2) tenere
presente la Tradizione viva di tutta la
Chiesa; e, infine, 3) osservare l’analogia
della fede. «Solo dove i due livelli
metodologici, quello storico-critico e quello
teologico, sono osservati, si può parlare di una
esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo
Libro».[107]
I Padri sinodali hanno affermato giustamente che
il frutto positivo apportato dall’uso della ricerca
storico-critica moderna è innegabile. Tuttavia,
mentre l’attuale esegesi accademica, anche
cattolica, lavora ad alto livello per quanto
riguarda la metodologia storico-critica, anche con
le sue più recenti integrazioni, è doveroso esigere
un analogo studio della dimensione teologica dei
testi biblici, affinché progredisca
l’approfondimento secondo i tre elementi indicati
dalla Costituzione dogmatica
Dei Verbum.[108]
Il pericolo del dualismo e l’ermeneutica
secolarizzata
35. A questo proposito, occorre
segnalare il grave rischio oggi di un dualismo che
si ingenera nell’accostare le sacre Scritture.
Infatti, distinguendo i due livelli dell’approccio
biblico non si intende affatto separarli, né
contrapporli, né meramente giustapporli. Essi si
danno solo in reciprocità. Purtroppo, non di rado
un’improduttiva separazione tra essi ingenera
un’estraneità tra esegesi e teologia, che «avviene
anche ai livelli accademici più alti».[109]
Vorrei qui richiamare le conseguenze più
preoccupanti che vanno evitate.
a) Innanzitutto, se l’attività esegetica
si riduce solo al primo livello, allora la stessa
Scrittura diviene un testo solo del passato:
«Si possono trarre da esso conseguenze morali, si
può imparare la storia, ma il Libro come tale parla
solo del passato e l’esegesi non è più realmente
teologica, ma diventa pura storiografia, storia
della letteratura».[110]
È chiaro che in una tale riduzione non si può in
alcun modo comprendere l’evento della Rivelazione di
Dio mediante la sua Parola che si trasmette a noi
nella viva Tradizione e nella Scrittura.
b) La mancanza di un’ermeneutica della
fede nei confronti della Scrittura non si configura
poi unicamente nei termini di un’assenza; al suo
posto inevitabilmente subentra un’altra ermeneutica,
un’ermeneutica secolarizzata, positivista, la
cui chiave fondamentale è la convinzione che il
Divino non appare nella storia umana. Secondo questa
ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento
divino, lo si deve spiegare in altro modo e ridurre
tutto all’elemento umano. Di conseguenza, si
propongono interpretazioni che negano la storicità
degli elementi divini.[111]
c) Una tale posizione non può che produrre
danno alla vita della Chiesa, stendendo un dubbio su
misteri fondamentali del cristianesimo e sul loro
valore storico, come ad esempio l’istituzione
dell’Eucaristia e la risurrezione di Cristo. Così,
infatti, si impone un’ermeneutica filosofica che
nega la possibilità dell’ingresso e della presenza
del Divino nella storia. L’assunzione di tale
ermeneutica all’interno degli studi teologici
introduce inevitabilmente un pesante dualismo tra
l’esegesi, che si attesta unicamente sul primo
livello, e la teologia, che si apre alla deriva di
una spiritualizzazione del senso delle Scritture non
rispettosa del carattere storico della Rivelazione.
Tutto ciò non può che risultare negativo anche
per la vita spirituale e l’attività pastorale; «la
conseguenza dell’assenza del secondo livello
metodologico è che si è creato un profondo fossato
tra esegesi scientifica e lectio divina.
Proprio di qui scaturisce a volte una forma di
perplessità anche nella preparazione delle omelie».[112]
Si deve inoltre segnalare che tale dualismo produce
a volte incertezza e poca solidità nel cammino
formativo intellettuale anche di alcuni candidati ai
ministeri ecclesiali.[113]
In definitiva, «dove l’esegesi non è teologia, la
Scrittura non può essere l’anima della teologia e,
viceversa, dove la teologia non è essenzialmente
interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa
teologia non ha più fondamento».[114]
Pertanto è necessario tornare risolutamente a
considerare con più attenzione le indicazioni date
dalla Costituzione dogmatica
Dei Verbum a questo proposito.
Fede e ragione nell’approccio alla
Scrittura
36. Credo possa costituire un
contributo ad una più completa comprensione
dell’esegesi e, dunque, del suo rapporto con
l’intera teologia quanto scritto dal Papa
Giovanni Paolo II nell’Enciclica
Fides et ratio a questo riguardo. Infatti
egli affermava che non è da sottovalutare «il
pericolo insito nel voler derivare la verità della
sacra Scrittura dall’applicazione di una sola
metodologia, dimenticando la necessità di una
esegesi più ampia che consenta di accedere, insieme
con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi.
Quanti si dedicano allo studio delle sacre Scritture
devono sempre tener presente che le diverse
metodologie ermeneutiche hanno anch’esse alla base
una concezione filosofica: occorre vagliarla con
discernimento prima di applicarla ai testi sacri».[115]
Questa riflessione lungimirante ci permette di
osservare come nell’approccio ermeneutico alla sacra
Scrittura si giochi inevitabilmente il corretto
rapporto tra fede e ragione. Infatti, l’ermeneutica
secolarizzata della sacra Scrittura è posta in atto
da una ragione che strutturalmente vuole precludersi
la possibilità che Dio entri nella vita degli uomini
e che parli agli uomini in parole umane. Anche in
questo caso, pertanto, è necessario invitare ad
allargare gli spazi della propria razionalità.[116]
Per questo nell’utilizzazione dei metodi di analisi
storica si dovrà evitare di assumere, là dove si
presentano, criteri che pregiudizialmente si
chiudono alla rivelazione di Dio nella vita degli
uomini. L’unità dei due livelli del lavoro
interpretativo della sacra Scrittura presuppone, in
definitiva, un’armonia tra la fede e la ragione.
Da una parte, occorre una fede che mantenendo un
adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri
mai in fideismo, il quale nei confronti della
Scrittura diverrebbe fautore di letture
fondamentaliste. Dall’altra parte, è necessaria una
ragione che indagando gli elementi storici presenti
nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti
aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria
misura. D’altronde, la religione del Logos
incarnato non potrà che mostrarsi profondamente
ragionevole all’uomo che sinceramente cerca la
verità e il senso ultimo della propria vita e della
storia.
Senso letterale e senso spirituale
37. Un significativo contributo
al recupero di un’adeguata ermeneutica della
Scrittura, come è stato affermato nell’Assemblea
sinodale, proviene anche da un rinnovato ascolto dei
Padri della Chiesa e del loro approccio esegetico.[117]
In effetti, i Padri della Chiesa ci mostrano ancora
oggi una teologia di grande valore perché nel suo
centro sta lo studio della sacra Scrittura nella sua
integralità. Infatti, i Padri sono in primo luogo ed
essenzialmente dei «commentatori della sacra
Scrittura».[118]
Il loro esempio può «insegnare agli esegeti moderni
un approccio veramente religioso della sacra
Scrittura, come anche un’interpretazione che
s’attiene costantemente al criterio di comunione con
l’esperienza della Chiesa, la quale cammina
attraverso la storia sotto la guida dello Spirito
Santo».[119]
Pur non conoscendo, ovviamente, le risorse di
ordine filologico e storico che sono a disposizione
dell’esegesi moderna, la tradizione patristica e
medioevale sapeva riconoscere i diversi sensi della
Scrittura ad iniziare da quello letterale, quello,
cioè, «significato dalle parole della Scrittura e
trovato attraverso l’esegesi che segue le regole
della retta interpretazione».[120]
Ad esempio, san Tommaso d’Aquino afferma: «tutti i
sensi della sacra Scrittura si basano su quello
letterale».[121]
Bisogna, però, ricordare che al tempo patristico e
medioevale ogni forma di esegesi, anche quella
letterale, veniva fatta sulla base della fede e non
vi era necessariamente distinzione tra senso
letterale e senso spirituale. Si ricordi
a questo proposito il classico distico che
rappresenta la relazione tra i diversi sensi della
Scrittura:
«Littera gesta docet, quid credas allegoria,
Moralis quid agas, quo tendas anagogia.
La lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa
credere,
Il senso morale che cosa fare, e l’anagogia dove
tendere».[122]
Qui notiamo l’unità e l’articolazione tra
senso letterale e senso spirituale, il
quale a sua volta si suddivide in tre sensi, con cui
vengono descritti i contenuti della fede, della
morale e della tensione escatologica.
In definitiva, riconoscendo il valore e la
necessità, pur con i suoi limiti, del metodo
storico-critico, dall’esegesi patristica impariamo
che «si è fedeli all’intenzionalità dei testi
biblici solo nella misura in cui si cerca di
ritrovare, nel cuore della loro formulazione, la
realtà di fede che essi esprimono e se si collega
questa realtà con l’esperienza credente del nostro
mondo».[123]
Solo in questa prospettiva si può riconoscere che la
Parola di Dio è viva e si rivolge a ciascuno nel
presente della nostra vita. In tal senso rimane
pienamente valida l’affermazione della Pontificia
Commissione Biblica che definisce il senso
spirituale secondo la fede cristiana, come «il senso
espresso dai testi biblici quando vengono letti
sotto l’influsso dello Spirito Santo nel contesto
del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova
che ne risulta. Questo contesto esiste
effettivamente. Il Nuovo Testamento riconosce in
esso il compimento delle Scritture. È perciò normale
rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo
contesto, quello della vita nello Spirito».[124]
Il necessario trascendimento della
«lettera»
38. Nel recupero
dell’articolazione tra i diversi sensi
scritturistici diventa allora decisivo cogliere
il passaggio tra lettera e spirito. Non si
tratta di un passaggio automatico e spontaneo;
occorre piuttosto un trascendimento della lettera:
«la Parola di Dio stesso, infatti, non è mai
presente già nella semplice letteralità del testo.
Per raggiungerla occorre un trascendimento e un
processo di comprensione, che si lascia guidare dal
movimento interiore dell’insieme e perciò deve
diventare anche un processo di vita».[125]
Scopriamo così perché un processo interpretativo
autentico non è mai solo intellettuale, ma anche
vitale, in cui è richiesto il pieno coinvolgimento
nella vita ecclesiale, quale vita «secondo lo
Spirito» (Gal 5,16). In tal modo diventano
più chiari i criteri messi in evidenza dal numero 12
della Costituzione dogmatica
Dei Verbum: un tale trascendimento non può
avvenire nel singolo frammento letterario se non in
rapporto con la totalità della Scrittura. Infatti è
un’unica Parola quella verso la quale siamo chiamati
a trascendere. Tale processo possiede un’intima
drammaticità, poiché, nel processo di
trascendimento, il passaggio che avviene in forza
dello Spirito ha inevitabilmente a che fare anche
con la libertà di ciascuno. San Paolo ha vissuto
pienamente nella propria esistenza questo passaggio.
Che cosa significhi il trascendimento della lettera
e la sua comprensione unicamente a partire
dall’insieme, egli l’ha espresso in modo radicale
nella frase: «la lettera uccide, lo Spirito
invece dà vita» (2Cor 3,6). San Paolo
scopre che lo «Spirito liberatore ha un nome e che
la libertà ha quindi una misura interiore: “Il
Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito del
Signore c’è libertà” (2Cor 3,17). Lo Spirito
liberatore non è semplicemente la propria idea, la
visione personale di chi interpreta. Lo Spirito è
Cristo, e Cristo è il Signore che ci indica la
strada».[126]
Sappiamo come anche per sant’Agostino questo
passaggio fu nello stesso tempo drammatico e
liberante; egli credette alle Scritture, che gli
apparivano in un primo tempo così differenziate in
se stesse ed a volte piene di grossolanità, proprio
per questo trascendimento che egli imparò da
sant’Ambrogio mediante l’interpretazione tipologica,
per cui tutto l’Antico Testamento è un cammino verso
Gesù Cristo. Per sant’Agostino il trascendimento
dalla lettera ha reso credibile la lettera stessa e
gli ha permesso di trovare finalmente la risposta
alle profonde inquietudini del proprio animo,
assetato della verità.[127]
L’unità intrinseca della Bibbia
39. Alla scuola della grande
tradizione della Chiesa impariamo a cogliere nel
passaggio dalla lettera allo spirito anche l’unità
di tutta la Scrittura, poiché unica è la Parola di
Dio che interpella la nostra vita chiamandola
costantemente alla conversione.[128]
Rimangono per noi una guida sicura le espressioni di
Ugo di San Vittore: «Tutta la divina Scrittura
costituisce un unico libro e quest’unico libro è
Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo
compimento».[129]
Certamente, la Bibbia, vista sotto l’aspetto
puramente storico o letterario, non è semplicemente
un libro, ma una raccolta di testi letterari, la cui
composizione si estende lungo più di un millennio e
i cui singoli libri non sono facilmente
riconoscibili come appartenenti ad un’unità
interiore; esistono invece tensioni visibili tra di
essi. Ciò vale già all’interno della Bibbia di
Israele, che noi cristiani chiamiamo l’Antico
Testamento. Vale tanto più quando noi, come
cristiani, colleghiamo il Nuovo Testamento e i suoi
scritti, quasi come chiave ermeneutica, con la
Bibbia di Israele, interpretandola così come via
verso Cristo. Nel Nuovo Testamento, generalmente non
si usa il termine «la Scrittura» (cfr Rm 4,3;
1Pt 2,6), ma «le Scritture» (cfr Mt
21,43; Gv 5,39; Rm 1,2; 2Pt
3,16), che, tuttavia, nel loro insieme vengono poi
considerate come l’unica Parola di Dio rivolta a
noi.[130]
Con ciò appare chiaramente come sia la persona di
Cristo a dare unità a tutte le «Scritture» in
relazione all’unica «Parola». In tal modo si
comprende quanto affermato nel numero 12 della
Costituzione dogmatica
Dei Verbum, indicando l’unità interna di
tutta la Bibbia come criterio decisivo per una
corretta ermeneutica della fede.
Il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento
40. Nella prospettiva dell’unità
delle Scritture in Cristo, è necessario sia per i
teologi che per i Pastori essere consapevoli delle
relazioni tra l’Antico e il Nuovo Testamento.
Innanzitutto è evidente che il Nuovo Testamento
stesso riconosce l’Antico Testamento come Parola di
Dio e pertanto accoglie l’autorità delle sacre
Scritture del popolo ebraico.[131]
Le riconosce implicitamente adoperando lo stesso
linguaggio e accennando spesso a brani di queste
Scritture. Le riconosce esplicitamente, perché ne
cita molte parti e se ne serve per argomentare.
Un’argomentazione basata sui testi dell’Antico
Testamento costituisce così, nel Nuovo Testamento,
un valore decisivo, superiore a quello di
ragionamenti semplicemente umani. Nel quarto Vangelo
Gesù dichiara in proposito che «la Scrittura non può
essere annullata» (Gv 10,35) e san Paolo
precisa in particolare che la rivelazione
dell’Antico Testamento continua a valere per noi
cristiani (cfr Rm 15,4; 1Cor 10,11).[132]
Inoltre affermiamo che «Gesù di Nazareth è stato un
ebreo e la Terra Santa è terra madre della Chiesa»;[133]
la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico
Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a
questa radice. Pertanto, la sana dottrina cristiana
ha sempre rifiutato ogni forma di marcionismo
ricorrente, che tende, in modi diversi, a
contrapporre l’Antico e il Nuovo Testamento.[134]
Inoltre, il Nuovo Testamento stesso si afferma
conforme all’Antico e proclama che nel mistero della
vita, morte e risurrezione di Cristo le sacre
Scritture del popolo ebraico hanno trovato il loro
perfetto adempimento. Bisogna però osservare che il
concetto di adempimento delle Scritture è complesso,
perché comporta una triplice dimensione: un aspetto
fondamentale di continuità con la rivelazione
dell’Antico Testamento, un aspetto di rottura
e un aspetto di compimento e superamento. Il
mistero di Cristo sta in continuità d’intenzione con
il culto sacrificale dell’Antico Testamento; si è
attuato però in modo molto differente, che
corrisponde a parecchi oracoli dei profeti, e ha
raggiunto così una perfezione mai ottenuta prima.
L’Antico Testamento, infatti, è pieno di tensioni
tra i suoi aspetti istituzionali e i suoi aspetti
profetici. Il mistero pasquale di Cristo è
pienamente conforme – in un modo però che era
imprevedibile – alle profezie e all’aspetto
prefigurativo delle Scritture; tuttavia, presenta
evidenti aspetti di discontinuità rispetto alle
istituzioni dell’Antico Testamento.
41. Queste considerazioni
mostrano così l’importanza insostituibile
dell’Antico Testamento per i cristiani, ma nello
stesso tempo evidenziano l’originalità della
lettura cristologica. Fin dai tempi apostolici e
poi nella Tradizione viva, la Chiesa ha messo in
luce l’unità del piano divino nei due Testamenti
grazie alla tipologia, che non ha carattere
arbitrario ma è intrinseca agli eventi narrati dal
testo sacro e pertanto riguarda tutta la Scrittura.
La tipologia «nelle opere di Dio dell’Antico
Testamento ravvisa delle prefigurazioni di ciò che
Dio, nella pienezza dei tempi, ha compiuto nella
Persona del suo Figlio incarnato».[135]
I cristiani, quindi, leggono l’Antico Testamento
alla luce di Cristo morto e risorto. Se la lettura
tipologica rivela l’inesauribile contenuto
dell’Antico Testamento in relazione al Nuovo, non
deve tuttavia indurre a dimenticare che esso stesso
conserva il valore suo proprio di Rivelazione che lo
stesso nostro Signore ha riaffermato (cfr Mc
12,29-31). Pertanto, «anche il Nuovo Testamento
esige d’essere letto alla luce dell’Antico. La
primitiva catechesi cristiana vi farà costantemente
ricorso (cfr 1Cor 5,6-8; 10,1-11)».[136]
Per questo motivo i Padri sinodali hanno affermato
che «la comprensione ebraica della Bibbia può
aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture
da parte dei cristiani».[137]
«Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e
l’Antico è manifesto nel Nuovo»,[138]
così si esprimeva con acuta saggezza sant’Agostino
su questo tema. È importante, dunque, che sia nella
pastorale che nell’ambito accademico venga messa
bene in evidenza la relazione intima tra i due
Testamenti, ricordando con san Gregorio Magno che
quanto «l’Antico Testamento ha promesso, il Nuovo
Testamento l’ha fatto vedere; ciò che quello
annunzia in maniera occulta, questo proclama
apertamente come presente. Perciò l’Antico
Testamento è profezia del Nuovo Testamento; e il
miglior commento dell’Antico Testamento è il Nuovo
Testamento».[139]
Le pagine «oscure» della Bibbia
42. Nel contesto della relazione
tra Antico e Nuovo Testamento, il Sinodo ha
affrontato anche il tema delle pagine della Bibbia,
che risultano oscure e difficili per la violenza e
le immoralità in esse talvolta contenute. In
relazione a ciò si deve tenere presente innanzitutto
che la rivelazione biblica è profondamente
radicata nella storia. Il disegno di Dio vi si
manifesta progressivamente e si attua
lentamente attraverso tappe successive,
malgrado la resistenza degli uomini. Dio sceglie un
popolo e ne opera pazientemente l’educazione. La
rivelazione si adatta al livello culturale e morale
di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze,
ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti,
sterminio di popolazioni, senza denunciarne
esplicitamente l’immoralità; il che si spiega dal
contesto storico, ma può sorprendere il lettore
moderno, soprattutto quando si dimenticano i tanti
comportamenti «oscuri» che gli uomini hanno avuto
sempre lungo i secoli, anche ai nostri giorni.
Nell’Antico Testamento, la predicazione dei profeti
si erge vigorosamente contro ogni tipo d’ingiustizia
e di violenza, collettiva o individuale, ed è così
lo strumento dell’educazione data da Dio al suo
popolo in preparazione al Vangelo. Pertanto, sarebbe
sbagliato non considerare quei brani della Scrittura
che ci appaiono problematici. Piuttosto, si deve
essere consapevoli che la lettura di queste pagine
richiede l’acquisizione di un’adeguata competenza,
mediante una formazione che legga i testi nel loro
contesto storico-letterario e nella prospettiva
cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima «il
Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo
compiuto nel mistero pasquale».[140]
Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare
tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine
mediante una lettura che faccia scoprire il loro
significato alla luce del mistero di Cristo.
Cristiani ed ebrei in riferimento alle
sacre Scritture
43. Considerando le strette
relazioni che legano il Nuovo Testamento all’Antico,
viene spontaneo volgere ora l’attenzione al legame
peculiare che ne deriva tra cristiani ed ebrei, un
legame che non dovrebbe mai essere dimenticato. Agli
ebrei, il Papa
Giovanni Paolo II ha dichiarato: siete i «nostri
“fratelli prediletti” nella fede di Abramo, nostro
patriarca».[141]
Certo, queste affermazioni non significano
misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo
Testamento nei confronti delle istituzioni
dell’Antico Testamento e meno ancora
dell’adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù
Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio.
Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non
implica affatto ostilità reciproca. L’esempio di san
Paolo (cfr. Rm 9-11) dimostra, al contrario,
che «un atteggiamento di rispetto, di stima e di
amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento
veramente cristiano in questa situazione che fa
misteriosamente parte del disegno, totalmente
positivo, di Dio».[142]
San Paolo, infatti, afferma che gli Ebrei «quanto
alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei
padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono
irrevocabili!» (Rm 11,28-29).
Inoltre, san Paolo usa la bella immagine
dell’albero di olivo per descrivere le relazioni
molto strette tra cristiani ed ebrei: la Chiesa dei
Gentili è come un germoglio di olivo selvatico,
innestato nell’albero di olivo buono che è il popolo
dell’Alleanza (cfr Rm 11,17-24). Traiamo,
quindi, il nostro nutrimento dalle medesime radici
spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli
che in certi momenti della loro storia hanno avuto
un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente
impegnati nella costruzione di ponti di amicizia
duratura.[143]
Ebbe a dire ancora il Papa
Giovanni Paolo II: «Abbiamo molto in comune.
Insieme possiamo fare molto per la pace, per la
giustizia e per un mondo più fraterno e più umano».[144]
Desidero riaffermare ancora una volta quanto
prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli
ebrei. È bene che dove se ne veda l’opportunità
si creino possibilità anche pubbliche di incontro e
confronto che favoriscano l’incremento della
conoscenza reciproca, della stima vicendevole e
della collaborazione anche nello studio stesso delle
sacre Scritture.
L’interpretazione fondamentalista della
sacra Scrittura
44. L’attenzione che abbiamo
voluto dare finora al tema dell’ermeneutica biblica
nei suoi diversi aspetti ci permette di affrontare
l’argomento, più volte emerso nel dibattito
sinodale, dell’interpretazione fondamentalista della
sacra Scrittura.[145]
Su questo tema la Pontificia Commissione Biblica nel
documento
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
ha formulato indicazioni importanti. In questo
contesto vorrei richiamare l’attenzione soprattutto
su quelle letture che non rispettano il testo sacro
nella sua autentica natura, promovendo
interpretazioni soggettivistiche ed arbitrarie.
Infatti, il «letteralismo» propugnato dalla lettura
fondamentalista in realtà rappresenta un tradimento
sia del senso letterale che spirituale, aprendo la
strada a strumentalizzazioni di varia natura,
diffondendo, ad esempio, interpretazioni
antiecclesiali delle Scritture stesse. L’aspetto
problematico della «lettura fondamentalista è che,
rifiutando di tener conto del carattere storico
della rivelazione biblica, si rende incapace di
accettare pienamente la verità della stessa
Incarnazione. Il fondamentalismo evita la stretta
relazione del divino e dell’umano nei rapporti con
Dio. … Per questa ragione, tende a trattare il testo
biblico come se fosse stato dettato parola per
parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che
la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio
e una fraseologia condizionati da una data epoca».[146]
Al contrario, il cristianesimo percepisce nelle
parole la Parola, il Logos stesso, che
estende il suo mistero attraverso tale molteplicità
e la realtà di una storia umana.[147]
La vera risposta ad una lettura fondamentalista è:
«la lettura credente della Sacra Scrittura». Questa
lettura, «praticata fin dall’antichità nella
Tradizione della Chiesa cerca la verità che salva
per la vita del singolo fedele e per la Chiesa.
Questa lettura riconosce il valore storico della
tradizione biblica. È proprio per questo valore di
testimonianza storica che essa vuole riscoprire il
significato vivo delle Sacre Scritture destinate
anche alla vita del credente di oggi»,[148]
senza ignorare, quindi, la mediazione umana del
testo ispirato e i suoi generi letterari.
Dialogo tra Pastori, teologi ed esegeti
45. L’autentica ermeneutica
della fede porta con sé alcune conseguenze
importanti nell’ambito dell’attività pastorale della
Chiesa. Proprio i Padri sinodali a questo proposito
hanno raccomandato, ad esempio, un rapporto più
assiduo tra Pastori, esegeti e teologi. È bene che
le Conferenze Episcopali favoriscano questi incontri
allo «scopo di promuovere una maggiore comunione nel
servizio alla Parola di Dio».[149]
Una tale cooperazione aiuterà tutti a svolgere
meglio il proprio lavoro a beneficio di tutta la
Chiesa. Infatti, porsi nell’orizzonte del lavoro
pastorale vuol dire, anche per gli studiosi, stare
di fronte al testo sacro nella sua natura di
comunicazione che il Signore fa agli uomini per la
salvezza. Pertanto, come ha affermato la
Costituzione dogmatica
Dei Verbum, si raccomanda che «gli esegeti
cattolici poi, e gli altri cultori di Sacra
Teologia, collaborando insieme con zelo, si
adoperino affinché, sotto la vigilanza del Sacro
Magistero, studino e spieghino con gli opportuni
sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran
numero possibile di ministri della divina parola
siano in grado di offrire con frutto al popolo di
Dio l’alimento delle Scritture, che illumina la
mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli
uomini all’amore di Dio».[150]
Bibbia ed ecumenismo
46. Nella consapevolezza che la
Chiesa ha il suo fondamento in Cristo, Verbo di Dio
fatto carne, il Sinodo ha voluto sottolineare la
centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico
in vista della piena espressione dell’unità di tutti
i credenti in Cristo.[151]
Nella Scrittura stessa, infatti, troviamo la
preghiera vibrante di Gesù al Padre che i suoi
discepoli siano una sola cosa affinché il mondo
creda (cfr Gv 17,21). Tutto questo ci
rafforza nel convincimento che ascoltare e meditare
insieme le Scritture ci fa vivere una comunione
reale, anche se non ancora piena;[152]
«l’ascolto comune delle Scritture spinge perciò al
dialogo della carità e fa crescere quello della
verità».[153]
Infatti, ascoltare insieme la Parola di Dio,
praticare la lectio divina della Bibbia,
lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai
invecchia e mai si esaurisce, della Parola di Dio,
superare la nostra sordità per quelle parole che non
si accordano con le nostre opinioni o pregiudizi,
ascoltare e studiare nella comunione dei credenti di
tutti i tempi: tutto ciò costituisce un cammino da
percorrere per raggiungere l’unità della fede, come
risposta all’ascolto della Parola.[154]
Erano davvero illuminanti le parole del
Concilio Vaticano II: «La sacra Scrittura nello
stesso dialogo [ecumenico] costituisce l’eccellente
strumento nella potente mano di Dio per il
raggiungimento di quella unità, che il Salvatore
offre a tutti gli uomini».[155]
Pertanto è bene incrementare lo studio, il confronto
e le celebrazioni ecumeniche della Parola di Dio,
nel rispetto delle regole vigenti e delle diverse
tradizioni.[156]
Queste celebrazioni giovano alla causa ecumenica e,
quando vengono vissute nel loro vero significato,
costituiscono momenti intensi di autentica preghiera
in cui chiedere a Dio di affrettare il giorno
sospirato in cui potremo tutti accostarci alla
stessa mensa e bere all’unico calice. Nella giusta e
lodevole promozione di questi momenti, tuttavia, si
faccia in modo che essi non vengano proposti ai
fedeli in sostituzione della partecipazione alla
Santa Messa per il precetto festivo.
In questo lavoro di studio e di preghiera
riconosciamo con serenità anche quegli aspetti che
chiedono di essere approfonditi e che ci vedono
ancora distanti, come ad esempio la comprensione del
soggetto autorevole dell’interpretazione nella
Chiesa ed il ruolo decisivo del Magistero.[157]
Vorrei sottolineare, inoltre, quanto detto dai
Padri sinodali circa l’importanza, in questo lavoro
ecumenico, delle traduzioni della Bibbia nelle
diverse lingue. Sappiamo infatti che tradurre un
testo non è mero lavoro meccanico, ma è in un certo
senso parte del lavoro interpretativo. A questo
proposito, il Venerabile Giovanni Paolo II ha
affermato: «Chi ricorda quanto abbiano influito
sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti
attorno alla Scrittura, può comprendere quale
notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni
comuni».[158]
Perciò la promozione delle traduzioni comuni della
Bibbia è parte del lavoro ecumenico. Desidero qui
ringraziare tutti coloro che sono impegnati in
questo importante compito e incoraggiarli a
proseguire nella loro opera.
Conseguenze sull’impostazione degli studi
teologici
47. Un’altra conseguenza
derivante da un’adeguata ermeneutica della fede
riguarda la necessità di mostrarne le implicazioni
circa la formazione esegetica e teologica, in
particolare per coloro che sono candidati al
sacerdozio. Si deve fare in modo che lo studio della
sacra Scrittura sia davvero l’anima della teologia
in quanto in essa si riconosce la Parola di Dio, che
si rivolge oggi al mondo, alla Chiesa e a ciascuno
personalmente. È importante che i criteri indicati
dal numero 12 della Costituzione dogmatica
Dei Verbum siano effettivamente presi in
considerazione e fatti oggetto di approfondimento.
Si eviti di coltivare un concetto di ricerca
scientifica che si ritenga neutrale nei confronti
della Scrittura. Perciò insieme allo studio delle
lingue proprie in cui è stata scritta la Bibbia e
dei metodi interpretativi adeguati, è necessario che
gli studenti abbiano una profonda vita spirituale,
così da capire che si può comprendere la Scrittura
solo se la si vive.
In questa prospettiva raccomando che lo studio
della Parola di Dio, trasmessa e scritta, avvenga
sempre in profondo spirito ecclesiale, tenendo in
debito conto, nella formazione accademica, gli
interventi su queste tematiche da parte del
Magistero, il quale «non è superiore alla parola di
Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato
trasmesso, in quanto, per divino mandato e con
l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta,
santamente custodisce e fedelmente espone quella
parola».[159]
Pertanto, si abbia cura che gli studi si svolgano
nel riconoscimento che «la sacra Tradizione, la
sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per
sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro
talmente connessi e congiunti che nessuna di queste
realtà sussiste senza le altre».[160]
Auspico, pertanto, che, secondo l’insegnamento del
Concilio Vaticano II, lo studio della Sacra
Scrittura, letta nella comunione della Chiesa
universale, sia realmente come l’anima dello studio
teologico.[161]
I Santi e l’interpretazione della Scrittura
48. L’interpretazione della
sacra Scrittura rimarrebbe incompiuta se non si
mettesse in ascolto anche di chi ha vissuto
veramente la Parola di Dio, ossia i Santi.[162]
Infatti, «viva lectio est vita bonorum».[163]
L’interpretazione più profonda della Scrittura in
effetti viene proprio da coloro che si sono lasciati
plasmare dalla Parola di Dio, attraverso l’ascolto,
la lettura e la meditazione assidua.
Non è certamente un caso che le grandi
spiritualità che hanno segnato la storia della
Chiesa siano sorte da un esplicito riferimento alla
Scrittura. Penso ad esempio a sant’Antonio Abate,
mosso dall’ascolto delle parole di Cristo: «Se vuoi
essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi,
dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e
vieni! Seguimi!» (Mt 19,21).[164]
Non meno suggestivo è san Basilio Magno che
nell’opera Moralia si domanda: «Che cosa è
proprio della fede? Piena e indubbia certezza della
verità delle parole ispirate da Dio ... che cosa è
proprio del fedele? Il conformarsi con tale piena
certezza al significato delle parole della
Scrittura, e non osare togliere o aggiungere
alcunché».[165]
San Benedetto, nella sua Regola, rimanda alla
Scrittura quale «norma rettissima per la vita
dell’uomo».[166]
San Francesco d’Assisi – scrive Tommaso da Celano –
«udendo che i discepoli di Cristo non devono
possedere né oro, né argento, né denaro, né portare
bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere
calzari, né due tuniche … subito, esultante di
Spirito Santo, esclamò: Questo voglio, questo
chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!».[167]
Santa Chiara d’Assisi ricalca appieno l’esperienza
di san Francesco: «La forma di vita dell’Ordine
delle Sorelle povere… è questo: osservare il santo
Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo».[168]
San Domenico di Guzman, poi, «dovunque si
manifestava come un uomo evangelico, nelle parole
come nelle opere»[169]
e tali voleva che fossero anche i suoi frati
predicatori, «uomini evangelici».[170]
Santa Teresa di Gesù, carmelitana, che nei suoi
scritti continuamente ricorre ad immagini bibliche
per spiegare la sua esperienza mistica, ricorda che
Gesù stesso le rivela che «tutto il male del mondo
deriva dal non conoscere chiaramente le verità della
sacra Scrittura».[171]
Santa Teresa di Gesù Bambino trova l’Amore come sua
vocazione personale nello scrutare le Scritture, in
particolare i capitoli 12 e 13 della Prima
Lettera ai Corinti;[172]
è la stessa Santa a descrivere il fascino delle
Scritture: «Appena getto lo sguardo sul Vangelo,
subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da
che parte correre».[173]
Ogni santo costituisce come un raggio di luce che
scaturisce dalla Parola di Dio: così pensiamo
inoltre a san Ignazio di Loyola nella sua ricerca
della verità e nel discernimento spirituale; san
Giovanni Bosco nella sua passione per l’educazione
dei giovani; san Giovanni Maria Vianney nella sua
coscienza della grandezza del sacerdozio come dono e
compito; san Pio da Pietrelcina nel suo essere
strumento della misericordia divina; san Josemaría
Escrivá nella sua predicazione sulla chiamata
universale alla santità; la beata Teresa di
Calcutta, missionaria della Carità di Dio per gli
ultimi; fino ai martiri del nazismo e del comunismo,
rappresentati, da una parte, da santa Teresa
Benedetta della Croce (Edith Stein), monaca
carmelitana, e, dall’altra, dal beato Luigi
Stepinac, cardinale arcivescovo di Zagabria.
49. La santità in rapporto alla
Parola di Dio si iscrive così, in un certo modo,
nella tradizione profetica, in cui la Parola di Dio
prende a servizio la vita stessa del profeta. In
questo senso la santità nella Chiesa rappresenta
un’ermeneutica della Scrittura dalla quale nessuno
può prescindere. Lo Spirito Santo che ha ispirato
gli autori sacri è lo stesso che anima i Santi a
dare la vita per il Vangelo. Mettersi alla loro
scuola costituisce una via sicura per intraprendere
un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio.
Di questo legame tra Parola di Dio e santità
abbiamo avuto testimonianza diretta durante la
XII Assemblea del Sinodo, quando il 12 ottobre
in piazza san Pietro si è svolta la
canonizzazione di quattro nuovi Santi: il
sacerdote Gaetano Errico, fondatore della
Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù
e di Maria; Madre Maria Bernarda Bütler, nata in
Svizzera e missionaria in Ecuador e in Colombia;
suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione, prima santa
canonizzata nata in India; la giovane laica
ecuadoriana Narcisa di Gesù Martillo Morán. Con la
loro vita essi hanno dato testimonianza al mondo e
alla Chiesa della perenne fecondità del Vangelo di
Cristo. Chiediamo al Signore che per l’intercessione
di questi Santi, canonizzati proprio nei giorni
dell’Assemblea sinodale sulla Parola di Dio, la
nostra vita sia quel «terreno buono» in cui il
divino Seminatore possa seminare la Parola perché
porti in noi frutti di santità, «il trenta,
il sessanta, il cento per uno» (Mc 4,20).
SECONDA PARTE
VERBUM IN ECCLESIA
«A
quanti però lo hanno accolto ha dato il potere
di diventare figli di Dio» (Gv 1,12)
La Parola di
Dio e la Chiesa
La Chiesa accoglie la Parola
50. Il Signore pronuncia la sua
Parola perché venga accolta da coloro che sono stati
creati proprio «per mezzo» dello stesso Verbo.
«Venne tra i suoi» (Gv 1,11): la Parola non
ci è originariamente estranea e la creazione è stata
voluta in un rapporto di familiarità con la vita
divina. Il Prologo del quarto Vangelo ci pone di
fronte anche al rifiuto nei confronti della divina
Parola da parte dei «suoi» che «non l’hanno accolto»
(Gv 1,11). Non accoglierlo vuol dire non
ascoltare la sua voce, non conformarsi al Logos.
Invece, là dove l’uomo, pur fragile e peccatore, si
apre sinceramente all’incontro con Cristo, inizia
una trasformazione radicale: «a quanti però lo hanno
accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio»
(Gv 1,12). Accogliere il Verbo vuol dire
lasciarsi plasmare da Lui, così da essere, per la
potenza dello Spirito Santo, resi conformi a Cristo,
al «Figlio unigenito che viene dal Padre» (Gv
1,14). È l’inizio di una nuova creazione, nasce la
creatura nuova, un popolo nuovo. Quelli che credono,
ossia coloro che vivono l’obbedienza della fede, «da
Dio sono stati generati» (Gv 1,13), vengono
resi partecipi della vita divina: figli nel
Figlio (cfr Gal 4,5-6; Rm
8,14-17). Dice suggestivamente sant’Agostino
commentando questo passo nel Vangelo di Giovanni:
«per mezzo del Verbo sei stato fatto, ma è
necessario che per mezzo del Verbo tu venga
rifatto».[174]
Qui vediamo delinearsi il volto della Chiesa, come
realtà definita dall’accoglienza del Verbo di Dio
che facendosi carne è venuto a porre la sua tenda
tra noi (cfr Gv 1,14). Questa dimora di
Dio tra gli uomini, questa shekinah (cfr
Es 26,1), prefigurata nell’Antico Testamento, si
compie ora nella presenza definitiva di Dio con gli
uomini in Cristo.
Contemporaneità di Cristo nella vita della
Chiesa
51. Il rapporto tra Cristo,
Parola del Padre, e la Chiesa non può essere
compreso nei termini di un evento semplicemente
passato, ma si tratta di una relazione vitale in cui
ciascun fedele è chiamato ad entrare personalmente.
Parliamo infatti della presenza della Parola di Dio
a noi oggi: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Come ha
affermato il Papa Giovanni Paolo II: «La
contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo si
realizza nel suo corpo, che è la Chiesa. Per
questo il Signore promise ai suoi discepoli lo
Spirito Santo, che avrebbe loro “ricordato” e fatto
comprendere i suoi comandamenti (cfr Gv
14,26) e sarebbe stato il principio sorgivo di una
vita nuova nel mondo (cfr Gv 3,5-8; Rm
8,1-13)».[175]
La Costituzione dogmatica
Dei Verbum esprime questo mistero nei
termini biblici di un dialogo nuziale: «Dio, il
quale ha parlato in passato, non cessa di parlare
con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito
Santo, per mezzo del quale la viva voce
dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di
questa nel mondo, introduce i credenti alla verità
intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in
tutta la sua ricchezza (cfr Col 3,16)».[176]
La Sposa di Cristo, maestra di ascolto, anche
oggi ripete con fede: «Parla, o Signore, che la tua
Chiesa ti ascolta».[177]
Per questo la Costituzione dogmatica
Dei Verbum inizia dicendo: «In religioso
ascolto della parola di Dio e proclamandola con
ferma fiducia, il santo Concilio…».[178]
Si tratta in effetti di una definizione dinamica
della vita della Chiesa: «Sono parole con le quali
il Concilio indica un aspetto qualificante della
Chiesa: essa è una comunità che ascolta ed annuncia
la Parola di Dio. La Chiesa non vive di se stessa ma
del Vangelo e dal Vangelo sempre e nuovamente trae
orientamento per il suo cammino. È una annotazione
che ogni cristiano deve raccogliere ed applicare a
se stesso: solo chi si pone innanzitutto in ascolto
della Parola può poi diventarne annunciatore».[179]
Nella Parola di Dio proclamata ed ascoltata e nei
Sacramenti, Gesù dice oggi, qui e adesso, a
ciascuno: «Io sono tuo, mi dono a te»; perché l’uomo
possa accogliere e rispondere, e dire a sua volta:
«Io sono tuo».[180]
La Chiesa appare così l’ambito nel quale per grazia
possiamo fare esperienza di ciò che narra il Prologo
di Giovanni: «a quanti però lo hanno accolto ha dato
potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
Liturgia, luogo privilegiato della Parola di Dio
La Parola di Dio nella sacra liturgia
52. Considerando la Chiesa come
«casa della Parola»,[181]
si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra
liturgia. È questo infatti l’ambito privilegiato in
cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita,
parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde.
Ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di
sacra Scrittura. Come afferma la Costituzione
Sacrosanctum Concilium, «nella celebrazione
liturgica la sacra Scrittura ha una importanza
estrema. Da essa infatti si attingono le letture che
vengono poi spiegate nell’omelia e i salmi che si
cantano; del suo afflato e del suo spirito sono
permeate le preghiere, le orazioni e i carmi
liturgici; da essa infine prendono significato le
azioni e i simboli liturgici».[182]
Più ancora, si deve dire che Cristo stesso «è
presente nella sua parola, giacché è Lui che parla
quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura».[183]
In effetti, «la celebrazione liturgica diventa una
continua, piena ed efficace proclamazione della
parola di Dio. Pertanto la parola di Dio,
costantemente annunziata nella liturgia, è sempre
viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo,
e manifesta quell’amore operante del Padre che
giammai cessa di operare verso tutti gli uomini».[184]
La Chiesa, infatti, ha sempre mostrato la
consapevolezza che nell’azione liturgica la Parola
di Dio si accompagna all’intima azione dello Spirito
Santo che la rende operante nel cuore dei fedeli. In
realtà è grazie al Paraclito che «la parola di Dio
diventa fondamento dell’azione liturgica, norma e
sostegno di tutta la vita. L’azione dello stesso
Spirito Santo … a ciascuno suggerisce nel cuore
tutto ciò che nella proclamazione della parola di
Dio viene detto per l’intera assemblea dei fedeli, e
mentre rinsalda l’unità di tutti, favorisce anche la
diversità dei carismi e ne valorizza la molteplice
azione».[185]
Pertanto, occorre comprendere e vivere il valore
essenziale dell’azione liturgica per la comprensione
della Parola di Dio. In un certo senso,
l’ermeneutica della fede riguardo alla sacra
Scrittura deve sempre avere come punto di
riferimento la liturgia, dove la Parola di Dio è
celebrata come parola attuale e vivente: «La Chiesa
segue fedelmente nella liturgia quel modo di leggere
e di interpretare le sacre Scritture, a cui ricorse
Cristo stesso, che a partire dall’‘oggi’ del suo
evento esorta a scrutare tutte le Scritture».[186]
Qui appare anche la sapiente pedagogia della
Chiesa che proclama e ascolta la sacra Scrittura
seguendo il ritmo dell’anno liturgico. Questo
distendersi della Parola di Dio nel tempo avviene in
particolare nella celebrazione eucaristica e nella
Liturgia delle Ore. Al centro di tutto risplende il
Mistero Pasquale, al quale si collegano tutti i
misteri di Cristo e della storia della salvezza che
si attualizzano sacramentalmente: «Ricordando in tal
modo i misteri della redenzione, essa [la Chiesa]
apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche
e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti
a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a
contatto e di essere ripieni della grazia della
salvezza».[187]
Esorto quindi i Pastori della Chiesa e gli operatori
pastorali a fare in modo che tutti i fedeli siano
educati a gustare il senso profondo della Parola di
Dio che si dispiega nella liturgia durante l’anno,
mostrando i misteri fondamentali della nostra fede.
Da ciò dipende anche il giusto approccio alla sacra
Scrittura.
Sacra Scrittura e Sacramenti
53. Affrontando il tema del
valore della liturgia per la comprensione della
Parola di Dio, il Sinodo dei Vescovi ha voluto
sottolineare anche la relazione tra la sacra
Scrittura e l’azione sacramentale. È quanto mai
opportuno approfondire il legame tra Parola e
Sacramento, sia nell’azione pastorale della Chiesa
che nella ricerca teologica.[188]
Certamente «la liturgia della Parola è un elemento
decisivo nella celebrazione di ciascun sacramento
della Chiesa»;[189]
tuttavia nella prassi pastorale non sempre i fedeli
sono consapevoli di questo legame e colgono l’unità
tra il gesto e la parola. È «compito dei
sacerdoti e dei diaconi, soprattutto
quando amministrano i sacramenti, mettere in luce
l’unità che Parola e Sacramento formano nel
ministero della Chiesa».[190]
Infatti, nella relazione tra Parola e gesto
sacramentale si mostra in forma liturgica l’agire
proprio di Dio nella storia mediante il carattere
performativo della Parola stessa. Nella storia
della salvezza infatti non c’è separazione tra ciò
che Dio dice e opera; la sua stessa
Parola si presenta come viva ed efficace (cfr Eb
4,12), come del resto lo stesso significato
dell’espressione ebraica dabar indica. Al
medesimo modo, nell’azione liturgica siamo posti di
fronte alla sua Parola che realizza ciò che dice.
Educando il Popolo di Dio a scoprire il carattere
performativo della Parola di Dio nella liturgia, lo
si aiuta anche a cogliere l’agire di Dio nella
storia della salvezza e nella vicenda personale di
ogni suo membro.
Parola di Dio ed Eucaristia
54. Quanto viene affermato in
genere riguardo alla relazione tra Parola e
Sacramenti si approfondisce quando ci riferiamo alla
celebrazione eucaristica. Del resto, l’intima unità
fra Parola ed Eucaristia è radicata nella
testimonianza scritturistica (cfr Gv 6; Lc
24), attestata dai Padri della Chiesa e
riaffermata dal
Concilio Vaticano II.[191]
A questo proposito pensiamo al grande discorso di
Gesù sul pane di vita nella sinagoga di Cafarnao
(cfr Gv 6,22-69), che ha in sottofondo il
confronto tra Mosé e Gesù, tra colui che parlò
faccia a faccia con Dio (cfr Es 33,11) e
colui che ha rivelato Dio (cfr Gv 1,18). Il
discorso sul pane, infatti, richiama il dono di Dio,
che Mosè ottenne per il suo popolo con la manna nel
deserto e che in realtà è la Torah, la Parola
di Dio che fa vivere (cfr Sal 119; Pr
9,5). Gesù porta a compimento in se stesso la figura
antica: «Il pane di Dio è colui che discende dal
cielo e dà la vita al mondo … Io sono il pane della
vita» (Gv 6,33-35). Qui «la Legge è diventata
persona. Nell’incontro con Gesù ci nutriamo, per
così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo
davvero “il pane dal cielo”».[192]
Nel discorso di Cafarnao si approfondisce il Prologo
di Giovanni: se là il Logos di Dio diventa
carne, qui questa carne diventa «pane» donato
per la vita del mondo (cfr Gv 6,51),
alludendo così al dono che Gesù farà di se stesso
nel mistero della croce, confermato
dall’affermazione sul suo sangue dato da «bere»
(cfr Gv 6,53). In tal modo nel mistero
dell’Eucaristia si mostra quale sia la vera manna,
il vero pane del cielo: è il Logos di Dio
fattosi carne, che ha donato se stesso per noi nel
Mistero Pasquale.
Il racconto di Luca sui discepoli di Emmaus ci
permette un’ulteriore riflessione sul legame tra
l’ascolto della Parola e lo spezzare il pane (cfr
Lc 24,13-35). Gesù si fece loro incontro nel
giorno dopo il sabato, ascoltò le espressioni della
loro speranza delusa e, diventando compagno di
cammino, «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che
si riferiva a lui» (24,27). I due discepoli iniziano
a guardare in un modo nuovo le Scritture insieme a
questo viandante che si manifesta così
inaspettatamente familiare alla loro vita. Ciò che è
accaduto in quei giorni non appare più come
fallimento, ma come compimento e nuovo inizio.
Tuttavia, anche queste parole non sembrano ancora
sufficienti ai due discepoli. Il Vangelo di Luca ci
dice che «si aprirono loro gli occhi e lo
riconobbero» (24,31) solo quando Gesù prese il pane,
recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro,
mentre prima «i loro occhi erano impediti a
riconoscerlo» (24,16). La presenza di Gesù, dapprima
con le parole, poi con il gesto di spezzare il pane,
ha reso possibile ai discepoli il riconoscerLo, ed
essi possono risentire in modo nuovo quanto avevano
già vissuto precedentemente con Lui: «Non ardeva
forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava
con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?» (24,32).
55. Da questi racconti emerge
come la Scrittura stessa orienti a cogliere il suo
nesso indissolubile con l’Eucaristia. «Si deve
quindi sempre tener presente che la parola di Dio,
dalla Chiesa letta e annunziata nella liturgia,
porta in qualche modo, come al suo stesso fine, al
sacrificio dell’alleanza e al convito della
grazia, cioè all’Eucaristia».[193]
Parola ed Eucaristia si appartengono così
intimamente da non poter essere comprese l’una senza
l’altra: la Parola di Dio si fa carne sacramentale
nell’evento eucaristico. L’Eucaristia ci apre
all’intelligenza della sacra Scrittura, così come la
sacra Scrittura a sua volta illumina e spiega il
Mistero eucaristico. In effetti, senza il
riconoscimento della presenza reale del Signore
nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura
rimane incompiuta. Per questo «alla parola di Dio e
al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e
sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si
tributasse la stessa venerazione, anche se non lo
stesso culto. Mossa dall’esempio del suo fondatore,
essa non ha mai cessato di celebrare il mistero
pasquale, riunendosi insieme per leggere ‘in tutte
le Scritture ciò che a lui si riferiva’ (Lc
24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore
e i sacramenti, l’opera della salvezza».[194]
La sacramentalità della Parola
56. Con il richiamo al carattere
performativo della Parola di Dio nell’azione
sacramentale e l’approfondimento della relazione tra
Parola ed Eucaristia, siamo portati ad inoltrarci in
un tema significativo, emerso durante l’Assemblea
del Sinodo, riguardante la sacramentalità della
Parola.[195]
È utile a questo proposito ricordare che il Papa
Giovanni Paolo II aveva fatto riferimento
«all’orizzonte sacramentale della Rivelazione
e, in particolare, al segno eucaristico dove l’unità
inscindibile tra la realtà e il suo significato
permette di cogliere la profondità del mistero».[196]
Da qui comprendiamo che all’origine della
sacramentalità della Parola di Dio sta propriamente
il mistero dell’incarnazione: «il Verbo si fece
carne» (Gv 1,14), la realtà del
mistero rivelato si offre a noi nella «carne» del
Figlio. La Parola di Dio si rende percepibile alla
fede attraverso il «segno» di parole e di gesti
umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio
accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli
stesso si presenta a noi. L’orizzonte sacramentale
della Rivelazione indica, pertanto, la modalità
storico-salvifica con la quale il Verbo di Dio entra
nel tempo e nello spazio, diventando interlocutore
dell’uomo, chiamato ad accogliere nella fede il suo
dono.
La sacramentalità della Parola si lascia così
comprendere in analogia alla presenza reale di
Cristo sotto le specie del pane e del vino
consacrati.[197]
Accostandoci all’altare e prendendo parte al
banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al
corpo e al sangue di Cristo. La proclamazione della
Parola di Dio nella celebrazione comporta il
riconoscere che sia Cristo stesso ad essere presente
e a rivolgersi a noi[198]
per essere accolto. Sull’atteggiamento da avere sia
nei confronti dell’Eucaristia, che della Parola di
Dio, san Girolamo afferma: «Noi leggiamo le sante
Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di
Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo
insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà
la mia carne e berrà il mio sangue (Gv
6,53), benché queste parole si possano intendere
anche del Mistero [eucaristico], tuttavia il corpo
di Cristo e il suo sangue è veramente la parola
della Scrittura, è l’insegnamento di Dio. Quando ci
rechiamo al Mistero [eucaristico], se ne cade una
briciola, ci sentiamo perduti. E quando stiamo
ascoltando la Parola di Dio, e ci viene versata
nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di Cristo
e il suo sangue, e noi pensiamo ad altro, in quale
grande pericolo non incappiamo?».[199]
Cristo, realmente presente nelle specie del pane e
del vino, è presente, in modo analogo, anche nella
Parola proclamata nella liturgia. Approfondire il
senso della sacramentalità della Parola di Dio,
dunque, può favorire una comprensione maggiormente
unitaria del mistero della Rivelazione in «eventi e
parole intimamente connessi»,[200]
giovando alla vita spirituale dei fedeli e
all’azione pastorale della Chiesa.
La sacra Scrittura e il Lezionario
57. Sottolineando il nesso tra
Parola ed Eucaristia, il Sinodo ha voluto
giustamente richiamare anche alcuni aspetti della
celebrazione inerenti al servizio della Parola.
Vorrei fare riferimento innanzitutto all’importanza
del Lezionario. La riforma voluta dal
Concilio Vaticano II[201]
ha mostrato i suoi frutti arricchendo l’accesso alla
sacra Scrittura che viene offerta in abbondanza,
soprattutto nelle liturgie domenicali. L’attuale
struttura, oltre a presentare frequentemente i testi
più importanti della Scrittura, favorisce la
comprensione dell’unità del piano divino, mediante
la correlazione tra le letture dell’Antico e del
Nuovo Testamento, «incentrata in Cristo e nel suo
mistero pasquale».[202]
Talune difficoltà che permangono nel cogliere le
relazioni tra le letture dei due Testamenti devono
essere considerate alla luce della lettura canonica,
ossia dell’unità intrinseca di tutta la Bibbia. Là
dove se ne riscontra la necessità, gli organi
competenti possono provvedere alla pubblicazione di
sussidi che facilitino a comprendere il nesso tra le
letture proposte dal Lezionario, le quali devono
essere tutte proclamate all’assemblea liturgica,
come previste dalla liturgia del giorno. Eventuali
altri problemi e difficoltà vengano segnalati alla
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina
dei Sacramenti.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l’attuale
Lezionario del rito latino ha anche un significato
ecumenico, in quanto viene utilizzato ed apprezzato
anche da confessioni non ancora in piena comunione
con la Chiesa Cattolica. In modo differente si pone
il problema del Lezionario nelle liturgie delle
Chiese Cattoliche Orientali, che il Sinodo chiede
sia «preso autorevolmente in esame»[203]
secondo la tradizione propria e le competenze delle
Chiese sui iuris e tenendo conto, anche qui,
del contesto ecumenico.
Proclamazione della Parola e ministero del
lettorato
58. Già nell’Assemblea sinodale
sull’Eucaristia era stata chiesta una maggior cura
della proclamazione della Parola di Dio.[204]
Come è noto, mentre il Vangelo è proclamato dal
sacerdote o dal diacono, la prima e la seconda
lettura nella tradizione latina vengono proclamate
dal lettore incaricato, uomo o donna. Vorrei qui
farmi voce dei Padri sinodali che anche in questa
circostanza hanno sottolineato la necessità di
curare con una formazione adeguata[205]
l’esercizio del munus di lettore nella
celebrazione liturgica[206]
ed in modo particolare il ministero del lettorato,
che, come tale, nel rito latino, è ministero
laicale. È necessario che i lettori incaricati di
tale ufficio, anche se non ne avessero ricevuta
l’istituzione, siano veramente idonei e preparati
con impegno. Tale preparazione deve essere sia
biblica e liturgica, che tecnica: «La formazione
biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le
letture nel loro contesto e a cogliere il centro
dell’annunzio rivelato alla luce della fede. La
formazione liturgica deve comunicare ai lettori una
certa facilità nel percepire il senso e la struttura
della liturgia della Parola e le motivazioni del
rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia
eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i
lettori sempre più idonei all’arte di leggere in
pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei
moderni strumenti di amplificazione».[207]
L’importanza dell’omelia
59. «Diversi sono i compiti e
gli uffici che spettano a ciascuno riguardo alla
Parola di Dio: ai fedeli spetta l’ascoltarla e il
meditarla; l’esporla invece spetta soltanto a coloro
che, in forza della sacra ordinazione, hanno il
compito magisteriale, o a coloro ai quali viene
affidato l’esercizio di questo ministero»,[208]
vale a dire Vescovi, presbiteri e
diaconi. Da qui si comprende l’attenzione che nel
Sinodo è stata data al tema dell’omelia. Già
nell’Esortazione apostolica postsinodale
Sacramentum caritatis, avevo ricordato che
«in relazione all’importanza della Parola di Dio si
pone la necessità di migliorare la qualità
dell’omelia. Essa infatti “è parte dell’azione
liturgica”; ha il compito di favorire una più piena
comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella
vita dei fedeli».[209]
L’omelia costituisce un’attualizzazione del
messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli
siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia
della Parola di Dio nell’oggi della propria vita.
Essa deve condurre alla comprensione del mistero che
si celebra, invitare alla missione, disponendo
l’assemblea alla professione di fede, alla preghiera
universale e alla liturgia eucaristica. Di
conseguenza, coloro che per ministero specifico sono
deputati alla predicazione abbiano veramente a cuore
questo compito. Si devono evitare omelie generiche
ed astratte, che occultino la semplicità della
Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che
rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore
piuttosto che al cuore del messaggio evangelico.
Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a
cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve
essere al centro di ogni omelia. Per questo occorre
che i predicatori abbiano confidenza e contatto
assiduo con il testo sacro;[210]
si preparino per l’omelia nella meditazione e nella
preghiera, affinché predichino con convinzione e
passione. L’Assemblea sinodale ha esortato che si
tengano presenti le seguenti domande: «Che cosa
dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me
personalmente? Che cosa devo dire alla comunità,
tenendo conto della sua situazione concreta?».[211]
Il predicatore deve lasciarsi «interpellare per
primo dalla Parola di Dio che annuncia»,[212]
perché, come dice sant’Agostino: «È indubbiamente
senza frutto chi predica all’esterno la parola di
Dio e non ascolta nel suo intimo».[213]
Si curi con particolare attenzione l’omelia
domenicale e nelle solennità; ma non si trascuri
anche durante la settimana nelle Messe cum populo,
quando possibile, di offrire brevi riflessioni,
appropriate alla situazione, per aiutare i fedeli ad
accogliere e rendere feconda la Parola ascoltata.
Opportunità di un Direttorio omiletico
60. Predicare in modo adeguato
in riferimento al Lezionario è veramente un’arte che
deve essere coltivata. Pertanto, in continuità con
quanto richiesto nel precedente Sinodo,[214]
chiedo alle autorità competenti che, in relazione al
Compendio eucaristico,[215]
si pensi anche a strumenti e sussidi adeguati per
aiutare i ministri a svolgere nel modo migliore il
loro compito, come ad esempio un Direttorio
sull’omelia, cosicché i predicatori possano trovare
in esso un aiuto utile per prepararsi nell’esercizio
del ministero. Come ci ricorda san Girolamo, poi, la
predicazione deve essere accompagnata dalla
testimonianza della propria vita: «Le tue azioni non
smentiscano le tue parole, perché non succeda che,
quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo
intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non
agisci così?”. … Nel sacerdote di Cristo la mente e
la parola si devono accordare».[216]
Parola di Dio, Riconciliazione e Unzione
degli infermi
61. Se al centro della relazione
tra Parola di Dio e Sacramenti sta indubbiamente
l’Eucaristia, tuttavia è bene sottolineare
l’importanza della sacra Scrittura anche negli altri
Sacramenti, in particolare quelli di guarigione:
ossia il sacramento della Riconciliazione o della
Penitenza, e il sacramento dell’Unzione degli
infermi. Spesso il riferimento alla sacra Scrittura
in questi Sacramenti viene trascurato. È necessario,
invece, che ad essa venga dato lo spazio che le
spetta. Infatti, non si deve mai dimenticare che «la
Parola di Dio è parola di riconciliazione perché in
essa Dio riconcilia a sé tutte le cose (cfr 2 Cor
5,18-20; Ef 1,10). Il perdono
misericordioso di Dio, incarnato in Gesù, rialza il
peccatore».[217]
La Parola di Dio «illumina il fedele a conoscere i
suoi peccati, lo chiama alla conversione e
gl’infonde fiducia nella misericordia di Dio».[218]
Affinché si approfondisca la forza riconciliatrice
della Parola di Dio si raccomanda che il singolo
penitente si prepari alla confessione meditando un
brano adatto della sacra Scrittura e possa iniziare
la confessione mediante la lettura o l’ascolto di
una ammonizione biblica, secondo quanto previsto dal
proprio rito. Nel manifestare la sua contrizione,
poi, è bene che il penitente usi «una formula
composta di espressioni della sacra Scrittura»,[219]
prevista dal rito. Quando possibile, è bene che, in
particolari momenti dell’anno o quando se ne
presenti l’opportunità, la confessione individuale
da parte di più penitenti avvenga all’interno di
celebrazioni penitenziali, come previsto dal
rituale, nel rispetto delle diverse tradizioni
liturgiche, in cui poter dare ampio spazio alla
celebrazione della Parola con l’uso di letture
appropriate.
Anche per quanto riguarda il Sacramento
dell’Unzione degli infermi, non si dimentichi che
«la forza sanante della Parola di Dio è un appello
vivo ad una costante conversione personale
nell’ascoltatore stesso».[220]
La sacra Scrittura contiene numerose pagine di
conforto, sostegno e guarigione dovuti
all’intervento di Dio. In particolare si ricordi la
vicinanza di Gesù ai sofferenti e che Egli stesso,
Verbo di Dio incarnato, si è caricato dei nostri
dolori ed ha patito per amore dell’uomo, donando
così senso alla malattia e al morire. È bene che
nelle parrocchie e soprattutto negli ospedali si
celebri, secondo le circostanze, il Sacramento degli
infermi in forma comunitaria. Sia dato in queste
occasioni ampio spazio alla celebrazione della
Parola e si aiutino i fedeli infermi a vivere con
fede la propria condizione di sofferenza, in unione
al Sacrificio redentivo di Cristo che ci libera dal
male.
Parola di Dio e Liturgia delle Ore
62. Tra le forme di preghiera
che esaltano la sacra Scrittura si colloca
indubbiamente la Liturgia delle Ore. I Padri
sinodali hanno affermato che essa costituisce «una
forma privilegiata di ascolto della Parola di Dio
perché mette in contatto i fedeli con la Sacra
Scrittura e con la Tradizione viva della Chiesa».[221]
Si deve innanzitutto ricordare la profonda dignità
teologica ed ecclesiale di questa preghiera.
Infatti, «nella Liturgia delle Ore la Chiesa,
esercitando l’ufficio sacerdotale del suo Capo,
offre a Dio “incessantemente” (1 Ts 5,17) il
sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che
confessano il suo nome (cfr Eb 13,15). Questa
preghiera è “la voce della stessa Sposa che parla
allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo, unito al
suo Corpo, eleva al Padre”».[222]
Il
Concilio Vaticano II aveva affermato a questo
proposito: «Tutti coloro, pertanto, che compiono
questa preghiera, adempiono da una parte l’obbligo
proprio della Chiesa e dall’altra partecipano al
sommo onore della Sposa di Cristo perché, celebrando
le lodi di Dio, stanno dinanzi al suo trono a nome
della Madre Chiesa».[223]
Nella Liturgia delle Ore, come preghiera pubblica
della Chiesa, si mostra l’ideale cristiano di
santificazione della giornata intera, ritmata
dall’ascolto della Parola di Dio e dalla preghiera
dei salmi, così che ogni attività trovi il suo punto
di riferimento nella lode offerta a Dio.
Coloro che per il proprio stato di vita sono
tenuti alla recita della Liturgia delle Ore vivano
con fedeltà tale impegno a beneficio di tutta la
Chiesa. I Vescovi, i sacerdoti e i diaconi aspiranti
al sacerdozio, che hanno ricevuto dalla Chiesa il
mandato di celebrarla, hanno l’obbligo di assolvere
ogni giorno tutte le Ore.[224]
Per quanto riguarda l’obbligatorietà di questa
liturgia nelle Chiese Orientali Cattoliche sui
iuris si segua quanto indicato nel diritto
proprio.[225]
Inoltre, incoraggio le comunità di vita consacrata
ad essere esemplari nella celebrazione della
Liturgia delle Ore, così da poter costituire un
punto di riferimento e di ispirazione per la vita
spirituale e pastorale di tutta la Chiesa.
Il Sinodo ha espresso il desiderio che si
diffonda maggiormente nel Popolo di Dio questo tipo
di preghiera, specialmente la recita delle Lodi e
dei Vespri. Tale incremento non potrà che aumentare
tra i fedeli la familiarità con la Parola di Dio. Si
sottolinei anche il valore della Liturgia delle Ore
prevista per i primi Vespri della Domenica e delle
Solennità, in particolare per le Chiese Orientali
cattoliche. A tale scopo raccomando che, là dove sia
possibile, le parrocchie e le comunità di vita
religiosa favoriscano questa preghiera con la
partecipazione dei fedeli.
Parola di Dio e Benedizionale
63. Anche nell’uso del
Benedizionale si presti attenzione allo spazio
previsto per la proclamazione, l’ascolto e la
spiegazione della Parola di Dio, mediante brevi
ammonimenti. Infatti, il gesto della benedizione,
nei casi previsti dalla Chiesa e quando richiesto
dai fedeli, non è da isolare in se stesso, ma da
rapportare nel grado proprio alla vita liturgica del
Popolo di Dio. In questo senso la benedizione, come
vero segno sacro, «attinge senso ed efficacia dalla
proclamazione della parola di Dio».[226]
Pertanto, è importante utilizzare anche queste
circostanze per riaccendere nei fedeli la fame e la
sete di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (cfr
Mt 4,4).
Suggerimenti e proposte concrete per
l’animazione liturgica
64. Dopo aver richiamato alcuni
elementi fondamentali della relazione tra liturgia e
Parola di Dio, desidero ora riassumere e valorizzare
alcune proposte e suggerimenti raccomandati dai
Padri sinodali per favorire nel Popolo di Dio una
sempre maggiore familiarità con la Parola di Dio
nell’ambito delle azioni liturgiche o comunque ad
esse riferite.
a) Celebrazioni della Parola di Dio
65. I Padri sinodali hanno
esortato tutti i Pastori a diffondere nelle comunità
loro affidate i momenti di celebrazione della
Parola:[227]
sono occasioni privilegiate di incontro con il
Signore. Per questo, una tale prassi non può che
portare grande giovamento nei fedeli ed è da
ritenersi elemento importante della pastorale
liturgica. Queste celebrazioni assumono particolare
rilevanza in preparazione all’Eucaristia domenicale,
così che i credenti abbiano la possibilità di
inoltrarsi maggiormente nella ricchezza del
Lezionario per meditare e pregare la sacra
Scrittura, soprattutto nei tempi liturgici forti,
Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua. La
celebrazione della Parola di Dio è poi fortemente
raccomandata in quelle comunità in cui, a causa
della scarsità di sacerdoti, non è possibile
celebrare il Sacrificio eucaristico nei giorni di
precetto festivo. Tenendo conto delle indicazioni
già espresse nell’Esortazione apostolica
postsinodale
Sacramentum caritatis circa le assemblee
domenicali in attesa di sacerdote,[228]
raccomando che siano formulati dalle competenti
autorità dei direttori rituali, valorizzando
l’esperienza delle Chiese particolari. In tal modo
verranno favorite, in queste situazioni,
celebrazioni della Parola che nutrano la fede dei
credenti, evitando, però, che esse vengano confuse
con le celebrazioni eucaristiche; «piuttosto
dovrebbero essere occasioni privilegiate di
preghiera a Dio perché mandi santi sacerdoti secondo
il suo cuore».[229]
Inoltre, i Padri sinodali hanno invitato a
celebrare la Parola di Dio anche in occasione di
pellegrinaggi, feste particolari, missioni al
popolo, ritiri spirituali e giorni speciali di
penitenza, riparazione e perdono. Per quanto
riguarda le diverse forme di pietà popolare, pur non
essendo atti liturgici e non dovendo essere confuse
con le celebrazioni liturgiche, tuttavia è bene che
si ispirino ad esse e soprattutto diano spazio
adeguato alla proclamazione e all’ascolto della
Parola di Dio; infatti, «nella parola biblica la
pietà popolare troverà una fonte inesauribile di
ispirazione, insuperabili modelli di preghiera e
feconde proposte tematiche».[230]
b) La Parola e il silenzio
66. Non pochi interventi dei
Padri sinodali hanno insistito sul valore del
silenzio in relazione alla Parola di Dio e alla sua
ricezione nella vita dei fedeli.[231]
Infatti, la parola può essere pronunciata e udita
solamente nel silenzio, esteriore ed interiore. Il
nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a
volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a
staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di
comunicazione di massa. Per questo è necessario oggi
educare il Popolo di Dio al valore del silenzio.
Riscoprire la centralità della Parola di Dio nella
vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il
senso del raccoglimento e della quiete interiore. La
grande tradizione patristica ci insegna che i
misteri di Cristo sono legati al silenzio[232]
e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi,
come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna
della Parola e del silenzio. Le nostre liturgie
devono facilitare questo ascolto autentico: Verbo
crescente, verba deficiunt.[233]
Questo valore risplenda in particolare nella
liturgia della Parola, che «deve essere celebrata in
modo da favorire la meditazione».[234]
Il silenzio, quando previsto, è da considerarsi
«come parte della celebrazione».[235]
Pertanto, esorto i Pastori a incoraggiare i momenti
di raccoglimento, per mezzo dei quali, con l’aiuto
dello Spirito Santo, la Parola di Dio viene accolta
nel cuore.
c) Proclamazione solenne della Parola di Dio
67. Un altro suggerimento emerso
dal Sinodo è stato di solennizzare, soprattutto in
ricorrenze liturgiche rilevanti, la proclamazione
della Parola, specialmente il Vangelo, utilizzando
l’Evangeliario, recato processionalmente durante i
riti iniziali e poi portato all’ambone dal diacono o
da un sacerdote per la proclamazione. In tal modo si
aiuta il Popolo di Dio a riconoscere che «la lettura
del Vangelo costituisce il culmine della stessa
liturgia della Parola».[236]
Seguendo le indicazioni contenute nell’Ordinamento
delle letture della Messa, è bene valorizzare la
proclamazione della Parola di Dio con il canto, in
particolare il Vangelo, specie in determinate
solennità. Il saluto, l’annunzio iniziale: «Dal
Vangelo...» e quello finale «Parola del Signore»
sarebbe bene proferirli in canto per sottolineare
l’importanza di ciò che viene letto.[237]
d) La Parola di Dio nel tempio cristiano
68. Per favorire l’ascolto della
Parola di Dio non si devono trascurare quei mezzi
che possono aiutare i fedeli ad una maggiore
attenzione. In questo senso è necessario che negli
edifici sacri non si trascuri mai l’acustica, nel
rispetto delle norme liturgiche e architettoniche.
«I vescovi, debitamente aiutati, abbiano cura nella
costruzione delle chiese che queste siano luoghi
adeguati alla proclamazione della Parola, alla
meditazione e alla celebrazione eucaristica. Gli
spazi sacri anche al di fuori dell’azione liturgica
siano eloquenti, presentando il mistero cristiano in
relazione alla Parola di Dio».[238]
Un’attenzione speciale va data all’ambone,
come luogo liturgico da cui viene proclamata la
Parola di Dio. Esso deve essere collocato in un
posto ben visibile, cui spontaneamente si rivolga
l’attenzione dei fedeli durante la liturgia della
Parola. È bene che esso sia fisso, costituito come
elemento scultoreo in armonia estetica con l’altare,
così da rappresentare anche visivamente il senso
teologico della duplice mensa della Parola e
dell’Eucaristia. Dall’ambone si proclamano le
letture, il salmo responsoriale e il Preconio
pasquale; ivi inoltre si possono tenere l’omelia e
proferire la preghiera dei fedeli.[239]
I Padri sinodali, inoltre, suggeriscono che nelle
chiese vi sia un posto di riguardo in cui collocare
la sacra Scrittura anche al di fuori della
celebrazione.[240]
È bene, infatti, che il libro che contiene la Parola
di Dio abbia un posto visibile e di onore
all’interno del tempio cristiano, tuttavia senza
togliere la centralità che spetta al tabernacolo
contenente il Santissimo Sacramento.[241]
e) Esclusività dei testi biblici nella
liturgia
69. Il Sinodo ha inoltre
vivamente ribadito quanto, peraltro, già stabilito
dalla norma liturgica della Chiesa,[242]
che le letture tratte dalla sacra Scrittura non
siano mai sostituite con altri testi, per quanto
significativi dal punto di vista pastorale o
spirituale: «nessun testo di spiritualità o di
letteratura può raggiungere il valore e la ricchezza
contenuta nella sacra Scrittura che è Parola di
Dio».[243]
Si tratta di una disposizione antica della Chiesa
che va mantenuta.[244]
Di fronte ad alcuni abusi, già il Papa
Giovanni Paolo II aveva richiamato l’importanza
di non sostituire mai la sacra Scrittura con altre
letture.[245]
Ricordiamo che anche il Salmo responsoriale è
Parola di Dio, con la quale rispondiamo alla voce
del Signore e per questo non deve essere sostituito
da altri testi; mentre è assai opportuno poterlo
eseguire in forma cantata.
f) Canto liturgico biblicamente ispirato
70. Nell’ambito della
valorizzazione della Parola di Dio durante la
celebrazione liturgica si tenga presente anche il
canto nei momenti previsti dal proprio rito,
favorendo quello di chiara ispirazione biblica che
sappia esprimere, mediante l’accordo armonico delle
parole e della musica, la bellezza della Parola
divina. In tal senso è bene valorizzare quei canti
che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato e
che rispettano questo criterio. Penso in particolare
all’importanza del canto gregoriano.[246]
g) Particolare attenzione ai non vedenti e ai
non udenti
71. In questo contesto vorrei
anche ricordare che il Sinodo ha raccomandato
un’attenzione particolare nei confronti di coloro
che a causa delle proprie condizioni hanno problemi
nella partecipazione attiva alla liturgia, come ad
esempio i non vedenti e non udenti. Per quanto
possibile, incoraggio le comunità cristiane a
provvedere con strumenti adeguati a venire incontro
ai fratelli e sorelle che patiscono questa
difficoltà, perché anche a loro sia data la
possibilità di avere un contatto vivo con la Parola
del Signore.[247]
La
Parola di Dio nella vita ecclesiale
Incontrare la Parola di Dio nella sacra
Scrittura
72. Se è vero che la liturgia è
il luogo privilegiato per la proclamazione,
l’ascolto e la celebrazione della Parola di Dio, è
altrettanto vero che quest’incontro deve essere
preparato nei cuori dei fedeli e soprattutto da
questi approfondito ed assimilato. Infatti, la vita
cristiana è caratterizzata essenzialmente
dall’incontro con Gesù Cristo che ci chiama a
seguirLo. Per questo il Sinodo dei Vescovi ha più
volte ribadito l’importanza della pastorale nelle
comunità cristiane come ambito proprio in cui
percorrere un itinerario personale e comunitario nei
confronti della Parola di Dio, così che questa sia
veramente a fondamento della vita spirituale.
Insieme ai Padri sinodali esprimo il vivo desiderio
affinché fiorisca «una nuova stagione di più grande
amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i
membri del Popolo di Dio, cosicché dalla loro
lettura orante e fedele nel tempo si approfondisca
il rapporto con la persona stessa di Gesù».[248]
Non mancano nella storia della Chiesa
raccomandazioni da parte dei Santi sulla necessità
di conoscere la Scrittura per crescere nell’amore di
Cristo. Questo è un dato particolarmente evidente
nei Padri della Chiesa. San Girolamo, grande
«innamorato» della Parola di Dio, si domandava:
«Come si potrebbe vivere senza la scienza delle
Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere
Cristo stesso, che è la vita dei credenti?».[249]
Era ben cosciente che la Bibbia è
lo strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai
credenti».[250]
Così egli consiglia la matrona romana Leta per
l’educazione della figlia: «Assicurati che essa
studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ...
Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla
lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e
dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini».[251]
Vale per noi quello che ancora san Girolamo scriveva
al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza
le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non
sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello
che tu devi insegnare».[252]
Sull’esempio del grande Santo, che dedicò la vita
allo studio della Bibbia e che donò alla Chiesa la
sua traduzione latina, la cosiddetta Vulgata,
e di tutti i Santi, che hanno posto al centro della
loro vita spirituale l’incontro con Cristo,
rinnoviamo il nostro impegno ad approfondire la
Parola che Dio ha donato alla Chiesa; potremo
tendere così a quella «misura alta della vita
cristiana ordinaria»,[253]
auspicata dal Papa Giovanni Paolo II all’inizio del
terzo millennio cristiano, che si alimenta
costantemente nell’ascolto della Parola di Dio.
L’animazione biblica della pastorale
73. In tale linea, il Sinodo ha
invitato ad un particolare impegno pastorale per far
emergere il posto centrale della Parola di Dio nella
vita ecclesiale, raccomandando di «incrementare la
“pastorale biblica” non in giustapposizione con
altre forme della pastorale, ma come animazione
biblica dell’intera pastorale».[254]
Non si tratta, quindi, di aggiungere qualche
incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di
verificare che nelle abituali attività delle
comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle
associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a
cuore l’incontro personale con Cristo che si
comunica a noi nella sua Parola. In tal senso,
poiché l’«ignoranza delle Scritture è ignoranza di
Cristo»,[255]
l’animazione biblica di tutta la pastorale ordinaria
e straordinaria porterà ad una maggiore conoscenza
della persona di Cristo, Rivelatore del Padre e
pienezza della Rivelazione divina.
Esorto pertanto i Pastori e i fedeli a tenere
conto dell’importanza di questa animazione: sarà
anche il modo migliore per far fronte ad alcuni
problemi pastorali emersi durante l’Assemblea
sinodale legati, ad esempio, alla proliferazione
di sette, che diffondono una lettura distorta e
strumentale della sacra Scrittura. Là dove non si
formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia
secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua
Tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto
pastorale in cui realtà come le sette possono
trovare terreno per mettere radici. Per questo è
necessario anche provvedere ad una preparazione
adeguata dei sacerdoti e dei laici che possano
istruire il Popolo di Dio nel genuino approccio alle
Scritture.
Inoltre, come è stato sottolineato durante i
lavori sinodali, è bene che nell’attività pastorale
si favorisca anche la diffusione di piccole
comunità, «formate da famiglie o radicate nelle
parrocchie o legate ai diversi movimenti ecclesiali
e nuove comunità»,[256]
in cui promuovere la formazione, la preghiera e la
conoscenza della Bibbia secondo la fede della
Chiesa.
Dimensione biblica della catechesi
74. Un momento importante
dell’animazione pastorale della Chiesa in cui poter
sapientemente riscoprire la centralità della Parola
di Dio è la catechesi, che nelle sue diverse forme e
fasi deve sempre accompagnare il Popolo di Dio.
L’incontro dei discepoli di Emmaus con Gesù,
descritto dall’evangelista Luca (cfr Lc
24,13-35), rappresenta, in un certo senso, il
modello di una catechesi al cui centro sta la
«spiegazione delle Scritture», che solo Cristo è in
grado di dare (cfr Lc 24,27-28), mostrando in
se stesso il loro compimento.[257]
In tal modo rinasce la speranza più forte di ogni
sconfitta, che fa di quei discepoli testimoni
convinti e credibili del Risorto.
Nel Direttorio generale per la catechesi
troviamo valide indicazioni per animare biblicamente
la catechesi e ad esse volentieri rimando.[258]
In questa circostanza desidero soprattutto
sottolineare che la catechesi «deve imbeversi e
permearsi del pensiero, dello spirito e degli
atteggiamenti biblici ed evangelici mediante un
contatto assiduo con i testi medesimi; ma vuol dire,
altresì, ricordare che la catechesi sarà tanto più
ricca ed efficace, quanto più leggerà i testi con
l’intelligenza ed il cuore della Chiesa»,[259]
e quanto più s’ispirerà alla riflessione ed alla
vita bimillenaria della Chiesa stessa. Si deve
incoraggiare quindi la conoscenza delle figure,
delle vicende e delle espressioni fondamentali del
testo sacro; per questo può giovare anche
un’intelligente memorizzazione di alcuni
brani biblici particolarmente eloquenti dei misteri
cristiani. L’attività catechetica implica sempre
l’accostare le Scritture nella fede e nella
Tradizione della Chiesa, così che quelle parole
siano percepite come vive, come vivo è Cristo oggi
dove due o tre si riuniscono nel suo nome (cfr Mt
18,20). Essa deve comunicare in modo vitale la
storia della salvezza ed i contenuti della fede
della Chiesa, affinché ogni fedele riconosca che a
quella storia appartiene anche la propria vicenda
personale.
In questa prospettiva è importante sottolineare
la relazione tra la sacra Scrittura e il
Catechismo della Chiesa Cattolica, come ha
affermato il
Direttorio generale per la catechesi: «La
sacra Scrittura, infatti, come “parola di Dio messa
per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito
Santo”, e il Catechismo della Chiesa Cattolica, in
quanto rilevante espressione attuale della
Tradizione viva della Chiesa, e norma sicura per
l’insegnamento della fede, sono chiamati, ciascuno a
modo proprio e secondo la sua specifica autorità, a
fecondare la catechesi nella Chiesa contemporanea».[260]
Formazione biblica dei cristiani
75. Per raggiungere lo scopo
auspicato dal Sinodo di un maggiore carattere
biblico di tutta la pastorale della Chiesa è
necessario che vi sia un’adeguata formazione dei
cristiani e, in particolare, dei catechisti. Al
riguardo, occorre riservare attenzione all’apostolato
biblico, metodo assai valido per raggiungere
tale finalità, come dimostra l’esperienza
ecclesiale. I Padri sinodali, inoltre, hanno
raccomandato che, possibilmente attraverso la
valorizzazione di strutture accademiche già
esistenti, si stabiliscano centri di formazione per
laici e per missionari, in cui si impari a
comprendere, vivere ed annunciare la Parola di Dio,
e, dove se ne veda la necessità, si costituiscano
istituti specializzati in studi biblici affinché gli
esegeti abbiano una solida comprensione teologica e
un’adeguata sensibilità per i contesti della loro
missione.[261]
La sacra Scrittura nei grandi raduni
ecclesiali
76. Tra le molteplici iniziative
che possono essere prese, il Sinodo suggerisce che
nei raduni, sia a livello diocesano che nazionale o
internazionale, venga maggiormente sottolineata
l’importanza della Parola di Dio, del suo ascolto e
della lettura credente ed orante della Bibbia.
Pertanto, all’interno dei congressi eucaristici,
nazionali ed internazionali, delle giornate mondiali
della gioventù e di altri incontri, si potrà
lodevolmente trovare maggiore spazio per
celebrazioni della Parola e per momenti di
formazione di carattere biblico.[262]
Parola di Dio e vocazioni
77. Il Sinodo, nel sottolineare
l’esigenza intrinseca della fede di approfondire il
rapporto con Cristo, Parola di Dio tra noi, ha
voluto anche evidenziare il fatto che questa Parola
chiama ciascuno in termini personali, rivelando così
che la vita stessa è vocazione in rapporto a
Dio. Questo vuol dire che quanto più approfondiamo
il nostro personale rapporto con il Signore Gesù,
tanto più ci accorgiamo che Egli ci chiama alla
santità, mediante scelte definitive, con le quali la
nostra vita risponde al suo amore, assumendo compiti
e ministeri per edificare la Chiesa. In questo
orizzonte si comprendono gli inviti fatti dal Sinodo
a tutti i cristiani di approfondire il rapporto con
la Parola di Dio in quanto battezzati, ma anche in
quanto chiamati a vivere secondo i diversi stati di
vita. Qui tocchiamo uno dei punti-cardine della
dottrina del
Concilio Vaticano II che ha sottolineato la
vocazione alla santità di ogni fedele, ciascuno nel
proprio stato di vita.[263]
È nella sacra Scrittura che troviamo rivelata la
nostra vocazione alla santità: «Voi sarete santi,
perché io sono Santo» (Lv 11,44; 19,2; 20,7).
San Paolo, poi, ne evidenzia la radice cristologica:
il Padre in Cristo «ci ha scelti prima della
creazione del mondo per essere santi e immacolati di
fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Così
possiamo sentire rivolto a ciascuno di noi il suo
saluto ai fratelli e alle sorelle della comunità di
Roma: «Amati da Dio e santi per chiamata, grazia a
voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù
Cristo!» (Rm 1,7).
a) Parola di Dio e Ministri ordinati
78. Innanzitutto, rivolgendomi
ora ai Ministri ordinati della Chiesa ricordo loro
quanto affermato dal Sinodo: «La Parola di
Dio è indispensabile per formare il cuore di un buon
pastore, ministro della Parola».[264]
Vescovi, presbiteri, diaconi non possono in alcun
modo pensare di vivere la loro vocazione e missione
senza un impegno deciso e rinnovato di
santificazione che ha nel contatto con la Bibbia uno
dei suoi pilastri.
79. Per coloro che sono chiamati
all’episcopato, e sono i primi e più
autorevoli annunciatori della Parola, desidero
ribadire quanto è stato affermato dal Papa
Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica
postsinodale
Pastores gregis. Per nutrire e fare
progredire la vita spirituale, il Vescovo deve
sempre porre «al primo posto, la lettura e la
meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà
sempre affidarsi e sentirsi affidato “al Signore e
alla parola della sua grazia che ha il potere di
edificare e di concedere l’eredità con tutti i
santificati” (At 20,32). Prima, perciò,
d’essere trasmettitore della Parola, il Vescovo,
insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele,
anzi come la stessa Chiesa, deve essere ascoltatore
della Parola. Egli dev’essere come “dentro” la
Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da
un grembo materno».[265]
Ad imitazione di Maria, Virgo audiens e
Regina degli Apostoli, a tutti i fratelli
nell’episcopato raccomando la frequente lettura
personale e lo studio assiduo della sacra Scrittura.
80. Anche riguardo ai
sacerdoti vorrei richiamare le parole del Papa
Giovanni Paolo II, il quale nell’Esortazione
apostolica postinodale
Pastores dabo vobis ha ricordato che
«il sacerdote è, anzitutto, ministro della Parola
di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a
tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo
all’obbedienza della fede e conducendo i credenti ad
una conoscenza e comunione sempre più profonde del
mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in
Cristo. Per questo, il sacerdote stesso per primo
deve sviluppare una grande familiarità personale con
la Parola di Dio: non gli basta conoscerne l’aspetto
linguistico o esegetico, che pure è necessario; gli
occorre accostare la Parola con cuore docile e
orante, perché essa penetri a fondo nei suoi
pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità
nuova – “il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16)».[266]
Conseguentemente, le sue parole, le sue scelte e i
suoi atteggiamenti devono essere sempre più una
trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del
Vangelo; «solo “rimanendo” nella Parola, il
sacerdote diventerà perfetto discepolo del Signore,
conoscerà la verità e sarà veramente libero».[267]
In definitiva, la chiamata al sacerdozio chiede
di essere consacrati «nella verità». Gesù
stesso formula questa esigenza nei confronti dei
suoi discepoli: «Consacrali nella verità. La tua
Parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo,
anche io ho mandato loro nel mondo» (Gv
17,17-18). I discepoli vengono in un certo senso
«tirati nell’intimo di Dio mediante l’essere immersi
nella Parola di Dio. La Parola di Dio è, per così
dire, il lavacro che li purifica, il potere creatore
che li trasforma nell’essere di Dio».[268]
E poiché Cristo stesso è la Parola di Dio fatta
carne (Gv 1,14), è «la Verità» (Gv
14,6), allora la preghiera di Gesù al Padre
«Consacrali nella verità» vuol dire nel più
profondo: «rendili una cosa sola con me, Cristo.
Lègali a me. Tirali dentro di me. E di fatto esiste
un unico sacerdote della Nuova Alleanza, lo stesso
Gesù Cristo».[269]
È necessario dunque che i sacerdoti rinnovino sempre
più profondamente la consapevolezza di questa
realtà.
81. Vorrei riferirmi al posto
della Parola di Dio anche nella vita di coloro che
sono chiamati al diaconato, non solo come
grado previo dell’ordine del presbiterato, ma come
servizio permanente. Il
Direttorio per il diaconato permanente
afferma che «dall’identità teologica del diacono,
scaturiscono con chiarezza i lineamenti della sua
specifica spiritualità, che si presenta
essenzialmente come spiritualità del servizio. Il
modello per eccellenza è il Cristo servo, vissuto
totalmente al servizio di Dio, per il bene degli
uomini».[270]
In questa prospettiva, si comprende come, nelle
varie dimensioni del ministero diaconale, un
«elemento caratterizzante la spiritualità diaconale
è la Parola di Dio, di cui il diacono è chiamato ad
essere autorevole annunciatore, credendo ciò che
proclama, insegnando ciò che crede, vivendo ciò che
insegna».[271]
Raccomando pertanto che i diaconi alimentino nella
propria vita una lettura credente della sacra
Scrittura con lo studio e la preghiera. Siano
introdotti alla sacra Scrittura e alla sua retta
interpretazione; all’interrelazione tra Scrittura e
Tradizione; in particolare all’uso della Scrittura
nella predicazione, nella catechesi e nell’attività
pastorale in genere.[272]
b) Parola di Dio e candidati all’Ordine sacro
82. Il Sinodo ha dato
particolare importanza al ruolo decisivo della
Parola di Dio nella vita spirituale dei candidati al
sacerdozio ministeriale: «I candidati al
sacerdozio devono imparare ad amare la Parola di
Dio. Sia quindi la Scrittura l’anima della loro
formazione teologica, sottolineando l’indispensabile
circolarità tra esegesi, teologia, spiritualità e
missione».[273]
Gli aspiranti al sacerdozio ministeriale sono
chiamati ad un profondo rapporto personale con la
Parola di Dio, in particolare nella lectio divina,
perché da tale rapporto si alimenta la vocazione
stessa: è nella luce e nella forza della
Parola di Dio che può essere scoperta, compresa,
amata e seguita la propria vocazione e compiuta la
propria missione, alimentando nel cuore i pensieri
di Dio, così che la fede, come risposta alla Parola,
divenga il nuovo criterio di giudizio e di
valutazione degli uomini e delle cose, degli
avvenimenti e dei problemi.[274]
Questa attenzione alla lettura orante della
Scrittura non deve in alcun modo alimentare una
dicotomia rispetto allo studio esegetico richiesto
nel tempo della formazione. Il Sinodo ha
raccomandato che i seminaristi siano aiutati
concretamente a vedere la relazione tra lo studio
biblico e il pregare con la Scrittura. Studiare
le Scritture deve rendere più consapevoli del
mistero della rivelazione divina ed alimentare un
atteggiamento di risposta orante al Signore che
parla. Dall’altra parte, anche un’autentica vita di
preghiera non potrà che far crescere nell’anima del
candidato il desiderio di conoscere sempre di più il
Dio che si è rivelato nella sua Parola come amore
infinito. Pertanto si dovrà porre la massima cura
affinché nella vita dei seminaristi si coltivi
questa reciprocità tra studio e preghiera. A
questo scopo serve che i candidati siano introdotti
ad uno studio della sacra Scrittura mediante metodi
che favoriscano tale approccio integrale.
c) Parola di Dio e vita consacrata
83. In relazione alla vita
consacrata il Sinodo ha ricordato innanzitutto che
essa «nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed
accoglie il Vangelo come sua norma di vita».[275]
Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed
obbediente è in tal modo una «“esegesi” vivente
della Parola di Dio».[276]
Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta
la Bibbia, è il medesimo che illumina «di luce nuova
la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da
essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola
vuole essere espressione»,[277]
dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati
dalla radicalità evangelica.
Vorrei ricordare che la grande tradizione
monastica ha sempre avuto come fattore costitutivo
della propria spiritualità la meditazione della
sacra Scrittura, in particolare nella forma della
lectio divina. Anche oggi, le realtà antiche e
nuove di speciale consacrazione sono chiamate ad
essere vere scuole di vita spirituale in cui leggere
le Scritture secondo lo Spirito Santo nella Chiesa,
così che tutto il Popolo di Dio ne possa
beneficiare. Il Sinodo, pertanto, raccomanda che non
manchi mai nelle comunità di vita consacrata una
formazione solida alla lettura credente della
Bibbia.[278]
Desidero farmi ancora eco dell’attenzione e della
gratitudine che il Sinodo ha espresso per le forme
di vita contemplativa che per carisma
specifico dedicano molto tempo delle loro giornate
ad imitare la Madre di Dio che meditava assiduamente
le parole e i fatti del Figlio suo (cfr Lc
2,19.51), e Maria di Betania che, seduta ai piedi
del Signore, ascoltava la sua parola (cfr Lc
10,38). Il mio pensiero si rivolge in particolare ai
monaci e alle monache di clausura, che, nella forma
della separazione dal mondo, si trovano più
intimamente uniti a Cristo, cuore del mondo. La
Chiesa ha più che mai bisogno della testimonianza di
chi si impegna a «non anteporre nulla all’amore di
Cristo».[279]
Il mondo di oggi è spesso troppo assorbito dalle
attività esteriori nelle quali rischia di perdersi.
I contemplativi e le contemplative, con la loro vita
di preghiera, di ascolto e di meditazione della
Parola di Dio, ci ricordano che non di solo pane
vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio (cfr Mt 4,4). Pertanto, tutti i fedeli
abbiano ben presente che una tale forma di vita
«indica al mondo di oggi, quello che è più
importante, in definitiva, l’unica cosa decisiva:
esiste una ragione ultima per cui vale la pena di
vivere, cioè, Dio e il suo amore imperscrutabile».[280]
d) Parola di Dio e fedeli laici
84. Ai fedeli laici il Sinodo ha
rivolto molte volte l’attenzione, ringraziandoli per
il loro generoso impegno nella diffusione del
Vangelo nei vari ambiti della vita quotidiana, nel
lavoro, nella scuola, nella famiglia e
nell’educazione.[281]
Tale compito, che deriva dal battesimo, deve potersi
sviluppare attraverso una vita cristiana sempre più
consapevole e in grado di dare «ragione della
speranza» che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Gesù
nel Vangelo di Matteo indica che «il campo è
il mondo. Il seme buono sono i figli del Regno»
(13,38). Queste parole valgono particolarmente per i
laici cristiani, i quali vivono la propria vocazione
alla santità con un’esistenza secondo lo Spirito che
si esprime «in modo peculiare nel loro
inserimento nelle realtà temporali e nella loro
partecipazione alle attività terrene».[282]
Essi hanno bisogno di essere formati a discernere la
volontà di Dio mediante una familiarità con la
Parola di Dio, letta e studiata nella Chiesa, sotto
la guida dei legittimi Pastori. Possano attingere
questa formazione alle scuole delle grandi
spiritualità ecclesiali alla cui radice sta sempre
la sacra Scrittura. Secondo le possibilità, le
diocesi stesse offrano opportunità formative in tal
senso per laici con particolari responsabilità
ecclesiali.[283]
e) Parola di Dio, matrimonio e famiglia
85. Il Sinodo ha avvertito la
necessità di sottolineare anche il rapporto tra
Parola di Dio, matrimonio e famiglia cristiana.
Infatti, «con l’annuncio della Parola di Dio, la
Chiesa rivela alla famiglia cristiana la sua vera
identità, ciò che essa è e deve essere secondo il
disegno del Signore».[284]
Pertanto, non si perda mai di vista che la Parola
di Dio sta all’origine del matrimonio (cfr
Gen 2,24) e che Gesù stesso ha voluto includere
il matrimonio tra le istituzioni del suo Regno (cfr
Mt 19,4-8), elevando a sacramento quanto
iscritto originariamente nella natura umana. «Nella
celebrazione sacramentale l’uomo e la donna
pronunciano una parola profetica di reciproca
donazione, l’essere “una carne”, segno del mistero
dell’unione di Cristo e della Chiesa (cfr Ef
5,31-32)».[285]
La fedeltà alla Parola di Dio porta anche a rilevare
che questa istituzione oggi è posta per molti
aspetti sotto attacco dalla mentalità corrente. Di
fronte al diffuso disordine degli affetti e al
sorgere di modi di pensare che banalizzano il corpo
umano e la differenza sessuale, la Parola di Dio
riafferma la bontà originaria dell’uomo, creato come
maschio e femmina e chiamato all’amore fedele,
reciproco e fecondo.
Dal grande mistero nuziale, deriva una
imprescindibile responsabilità dei genitori nei
confronti dei loro figli. Appartiene infatti
all’autentica paternità e maternità la comunicazione
e la testimonianza del senso della vita in Cristo:
attraverso la fedeltà e l’unità della vita di
famiglia gli sposi sono davanti ai propri figli i
primi annunciatori della Parola di Dio. La comunità
ecclesiale deve sostenerli ed aiutarli a sviluppare
la preghiera in famiglia, l’ascolto della Parola, la
conoscenza della Bibbia. Per questo il Sinodo
auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e
la custodisca in modo dignitoso, così da poterla
leggere e utilizzare per la preghiera. L’aiuto
necessario può essere fornito da sacerdoti, diaconi
o da laici ben preparati. Il Sinodo ha raccomandato
anche la formazione di piccole comunità tra famiglie
in cui coltivare la preghiera e la meditazione in
comune di brani adatti delle Scritture.[286]
Gli sposi, poi, ricordino che «la Parola di Dio è un
prezioso sostegno anche nelle difficoltà della vita
coniugale e familiare».[287]
In questo contesto desidero anche evidenziare
quanto il Sinodo ha raccomandato riguardo al
compito delle donne in relazione alla Parola di Dio.
Il contributo del «genio femminile», come lo
chiamava Papa
Giovanni Paolo II,[288]
alla conoscenza della Scrittura e all’intera vita
della Chiesa, è oggi più ampio che in passato e
riguarda ormai anche il campo degli stessi studi
biblici. Il Sinodo si è soffermato in modo speciale
sul ruolo indispensabile delle donne nella famiglia,
nell’educazione, nella catechesi e nella
trasmissione dei valori. Esse, infatti, «sanno
suscitare l’ascolto della Parola, la relazione
personale con Dio e comunicare il senso del perdono
e della condivisione evangelica»,[289]
come pure essere portatrici di amore, maestre di
misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici
di calore ed umanità in un mondo che troppo spesso
valuta le persone con freddi criteri di sfruttamento
e profitto.
Lettura orante della sacra Scrittura e
«lectio divina»
86. Il Sinodo è tornato più
volte ad insistere sull’esigenza di un approccio
orante al testo sacro come elemento fondamentale
della vita spirituale di ogni credente, nei diversi
ministeri e stati di vita, con particolare
riferimento alla lectio divina.[290]
La Parola di Dio, infatti, sta alla base di ogni
autentica spiritualità cristiana. Con ciò i Padri
sinodali si sono messi in sintonia con quanto
afferma la Costituzione dogmatica
Dei Verbum: «Tutti i fedeli … si accostino
volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra
liturgia, che è impregnata di parole divine, sia
mediante la pia lettura, sia per mezzo delle
iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi,
che con l’approvazione e a cura dei Pastori della
Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si
ricordino però che la lettura della sacra Scrittura
dev’essere accompagnata dalla preghiera».[291]
La riflessione conciliare intendeva riprendere la
grande tradizione patristica che ha sempre
raccomandato di accostare la Scrittura nel dialogo
con Dio. Come dice sant’Agostino: «La tua preghiera
è la tua parola rivolta a Dio. Quando leggi è Dio
che ti parla; quando preghi sei tu che parli a Dio».[292]
Origene, uno dei maestri in questa lettura della
Bibbia, sostiene che l’intelligenza delle Scritture
richieda, più ancora che lo studio, l’intimità con
Cristo e la preghiera. Egli è convinto, infatti, che
la via privilegiata per conoscere Dio sia l’amore, e
che non si dia un’autentica scientia Christi
senza innamorarsi di Lui. Nella Lettera a
Gregorio il grande teologo alessandrino
raccomanda: «Dedicati alla lectio delle
divine Scritture; applicati a questo con
perseveranza. Impegnati nella lectio con
l’intenzione di credere e di piacere a Dio. Se
durante la lectio ti trovi davanti a una
porta chiusa, bussa e te l’aprirà quel custode, del
quale Gesù ha detto: “Il guardiano gliela aprirà”.
Applicandoti così alla lectio divina,
cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il
senso delle Scritture divine, che in esse si cela
con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare
di bussare e di cercare: per comprendere le cose di
Dio ti è assolutamente necessaria l’oratio.
Proprio per esortarci ad essa il Salvatore ci ha
detto non soltanto: “Cercate e troverete”, e
“Bussate e vi sarà aperto”, ma ha aggiunto:
“Chiedete e riceverete”».[293]
Tuttavia, a tale proposito, si deve evitare il
rischio di un approccio individualistico,
tenendo presente che la Parola di Dio ci è data
proprio per costruire comunione, per unirci nella
Verità nel nostro cammino verso Dio. È una Parola
che si rivolge a ciascuno personalmente, ma è anche
una Parola che costruisce comunità, che costruisce
la Chiesa. Perciò il testo sacro deve essere
sempre accostato nella comunione ecclesiale. In
effetti, «è molto importante la lettura comunitaria,
perché il soggetto vivente della Sacra Scrittura è
il Popolo di Dio, è la Chiesa… la Scrittura non
appartiene al passato, perché il suo soggetto, il
Popolo di Dio ispirato da Dio stesso, è sempre lo
stesso, e quindi la Parola è sempre viva nel
soggetto vivente. Perciò è importante leggere la
sacra Scrittura e sentire la sacra Scrittura nella
comunione della Chiesa, cioè con tutti i grandi
testimoni di questa Parola, cominciando dai primi
Padri fino ai Santi di oggi, fino al Magistero di
oggi».[294]
Per questo nella lettura orante della sacra
Scrittura il luogo privilegiato è la liturgia,
in particolare l’Eucaristia, nella quale,
celebrando il Corpo e il Sangue di Cristo nel
Sacramento, si attualizza tra noi la Parola stessa.
In un certo senso la lettura orante, personale e
comunitaria, deve essere sempre vissuta in relazione
alla celebrazione eucaristica. Come l’adorazione
eucaristica prepara, accompagna e prosegue la
liturgia eucaristica,[295]
così la lettura orante personale e comunitaria
prepara, accompagna ed approfondisce quanto la
Chiesa celebra con la proclamazione della Parola
nell’ambito liturgico. Mettendo in così stretta
relazione lectio e liturgia si possono
cogliere meglio i criteri che devono guidare questa
lettura nel contesto della pastorale e della vita
spirituale del Popolo di Dio.
87. Nei documenti che hanno
preparato ed accompagnato il Sinodo si è parlato di
diversi metodi per accostare con frutto e nella fede
le sacre Scritture. Tuttavia l’attenzione maggiore è
stata data alla lectio divina, che è
davvero «capace di schiudere al fedele il tesoro
della Parola di Dio, ma anche di creare l’incontro
col Cristo, parola divina vivente».[296]
Vorrei qui richiamare brevemente i suoi passi
fondamentali: essa si apre con la lettura (lectio)
del testo, che provoca la domanda circa una
conoscenza autentica del suo contenuto: che cosa
dice il testo biblico in sé? Senza questo
momento si rischia che il testo diventi solo un
pretesto per non uscire mai dai nostri pensieri.
Segue, poi, la meditazione (meditatio) nella
quale l’interrogativo è: che cosa dice il testo
biblico a noi? Qui ciascuno personalmente, ma
anche come realtà comunitaria, deve lasciarsi
toccare e mettere in discussione, poiché non si
tratta di considerare parole pronunciate nel
passato, ma nel presente. Si giunge successivamente
al momento della preghiera (oratio) che
suppone la domanda: che cosa diciamo noi al
Signore in risposta alla sua Parola? La
preghiera come richiesta, intercessione,
ringraziamento e lode, è il primo modo con cui la
Parola ci cambia. Infine, la lectio divina si
conclude con la contemplazione (contemplatio)
durante la quale noi assumiamo come dono di Dio lo
stesso suo sguardo nel giudicare la realtà e ci
domandiamo: quale conversione della mente, del
cuore e della vita chiede a noi il Signore? San
Paolo nella Lettera ai Romani, afferma: «Non
conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi
trasformare rinnovando il vostro modo di pensare,
per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto» (12,2). La
contemplazione, infatti, tende a creare in noi una
visione sapienziale della realtà, secondo Dio, e a
formare in noi «il pensiero di Cristo» (1Cor
2,16). La Parola di Dio si presenta qui come
criterio di discernimento: essa è «viva, efficace e
più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa
penetra fino al punto di divisione dell’anima e
dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb
4,12). È bene poi ricordare che la lectio divina
non si conclude nella sua dinamica fino a quando non
arriva all’azione (actio), che muove
l’esistenza credente a farsi dono per gli altri
nella carità.
Questi passaggi li troviamo sintetizzati e
riassunti in modo sommo nella figura della Madre di
Dio. Modello per ogni fedele di accoglienza docile
della divina Parola, Ella «custodiva tutte queste
cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19;
cfr 2,51), sapeva trovare il nodo profondo che
unisce eventi, atti e cose, apparentemente
disgiunti, nel grande disegno divino.[297]
Vorrei richiamare, inoltre, quanto è stato
raccomandato durante il Sinodo circa l’importanza
della lettura personale della Scrittura anche come
pratica che prevede la possibilità, secondo
le abituali disposizioni della Chiesa, di acquistare
l’indulgenza per sé o per i defunti.[298]
La pratica dell’indulgenza[299]
implica la dottrina degli infiniti meriti di Cristo,
che la Chiesa, come ministra della redenzione,
dispensa e applica, ma implica anche quella della
comunione dei santi e ci dice «quanto intimamente
siamo uniti in Cristo gli uni con gli altri e quanto
la vita soprannaturale di ciascuno possa giovare
agli altri».[300]
In questa prospettiva, la lettura della Parola di
Dio ci sostiene nel cammino di penitenza e di
conversione, ci permette di approfondire il senso
dell’appartenenza ecclesiale e ci sostiene in una
familiarità più grande con Dio. Come affermava
sant’Ambrogio: quando prendiamo in mano con fede le
sacre Scritture e le leggiamo con la Chiesa, l’uomo
torna a passeggiare con Dio nel paradiso.[301]
Parola di Dio e preghiera mariana
88. Memore della relazione
inscindibile tra la Parola di Dio e Maria di
Nazareth, insieme ai Padri sinodali invito a
promuovere tra i fedeli, soprattutto nella vita
familiare, le preghiere mariane quale aiuto a
meditare i santi misteri narrati dalla Scrittura.
Uno strumento di grande utilità è, ad esempio, la
recita personale o comunitaria del Santo Rosario,[302]
che ripercorre insieme a Maria i misteri della vita
di Cristo[303]
e che il Papa Giovanni Paolo II ha voluto arricchire
con i misteri della luce.[304]
È opportuno che l’annuncio dei singoli misteri sia
accompagnato con brevi brani della Bibbia attinenti
al mistero enunciato, così da favorire la
memorizzazione di alcune espressioni significative
della Scrittura in relazione ai misteri della vita
di Cristo.
Il Sinodo ha inoltre raccomandato di promuovere
tra i fedeli la recita della preghiera dell’Angelus
Domini. Si tratta di una preghiera semplice e
profonda che ci permette di fare «memoria quotidiana
del Verbo Incarnato».[305]
È opportuno che il Popolo di Dio, le famiglie e le
comunità di persone consacrate siano fedeli a questa
preghiera mariana, che la tradizione ci invita a
recitare all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto.
Nella preghiera dell’Angelus Domini chiediamo
a Dio che per intercessione di Maria sia dato anche
a noi di compiere, come Lei, la volontà di Dio e di
accogliere in noi la sua Parola. Questa pratica può
aiutarci a rafforzare un autentico amore al mistero
dell’Incarnazione.
Meritano di essere conosciute, apprezzate e
diffuse anche alcune antiche preghiere dell’Oriente
cristiano, che attraverso un riferimento alla
Theotokos, alla Madre di Dio, ripercorrono
l’intera storia della salvezza. Ci riferiamo in
particolare all’Akathistos e alla
Paraklesis. Si tratta di inni di lode cantati in
forma litanica, intrisi di fede ecclesiale e di
riferimenti biblici, che aiutano i fedeli a meditare
insieme a Maria i misteri di Cristo. In particolare,
il venerabile inno alla Madre di Dio, detto
Akathistos – ossia cantato rimanendo in piedi -,
rappresenta una tra le più alte espressioni di pietà
mariana della tradizione bizantina.[306]
Pregare con queste parole dilata l’anima e la
dispone alla pace che viene dall’alto, da Dio, a
quella pace che è Cristo stesso, nato da Maria per
la nostra salvezza.
Parola di Dio e Terra Santa
89. Facendo memoria del Verbo di
Dio che si fa carne nel seno di Maria di Nazareth,
il nostro cuore si volge ora a quella Terra in cui
si è compiuto il mistero della nostra redenzione e
da cui la Parola di Dio si è diffusa fino ai confini
del mondo. Infatti, per opera dello Spirito Santo,
il Verbo si è incarnato in un preciso momento e in
un determinato luogo, in un lembo di terra ai
confini dell’impero romano. Pertanto, quanto più
vediamo l’universalità e l’unicità della persona di
Cristo, tanto più guardiamo con gratitudine a quella
Terra in cui Gesù è nato, ha vissuto ed ha donato se
stesso per tutti noi. Le pietre sulle quali ha
camminato il nostro Redentore rimangono per noi
cariche di memoria e continuano a «gridare» la Buona
Novella. Per questo i Padri sinodali hanno ricordato
la felice espressione che chiama la Terra Santa «il
quinto Vangelo».[307]
Quanto è importante che in quei luoghi ci siano
comunità cristiane, nonostante le tante difficoltà!
Il Sinodo dei Vescovi esprime vicinanza profonda a
tutti i cristiani che vivono nella Terra di Gesù
testimoniando la fede nel Risorto. Qui i cristiani
sono chiamati a servire non solo come «un faro di
fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito
di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una
società che tradizionalmente è stata e continua ad
essere pluralistica, multietnica e multireligiosa».[308]
La Terra Santa rimane ancor oggi meta di
pellegrinaggio del popolo cristiano, quale gesto di
preghiera e di penitenza, come testimoniano già
nell’antichità autori come san Girolamo.[309]
Più volgiamo lo sguardo e il cuore alla Gerusalemme
terrena, più si infiammano in noi il desiderio della
Gerusalemme celeste, vera meta di ogni
pellegrinaggio, e la passione perché il nome di
Gesù, nel quale solo c’è salvezza, sia riconosciuto
da tutti (cfr At 4,12).
TERZA PARTE
VERBUM MUNDO
«Dio
nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del
Padre,
è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18)
La missione della Chiesa:
annunciare la Parola di Dio al mondo
La Parola dal Padre e verso il Padre
90. San Giovanni sottolinea con
forza il paradosso fondamentale della fede
cristiana: da una parte, egli afferma che «Dio,
nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18; cfr 1Gv
4,12). In nessun modo le nostre immagini, concetti o
parole possono definire o misurare la realtà
infinita dell’Altissimo. Egli rimane il Deus
semper maior. Dall’altra parte, egli afferma che
il Verbo realmente «si fece carne» (Gv 1,14).
Il Figlio unigenito, che è rivolto verso il seno del
Padre, ha rivelato il Dio che «nessuno ha mai visto»
(Gv 1,18). Gesù Cristo viene a noi,
«pieno di grazia e verità» (Gv 1,14), che per
mezzo di Lui sono donate a noi (cfr Gv 1,17);
infatti, «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo
ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16). In tal
modo l’evangelista Giovanni nel Prologo contempla il
Verbo dal suo stare presso Dio al suo farsi carne,
fino al suo ritornare nel seno del Padre portando
con sé la nostra stessa umanità, che egli ha assunto
per sempre. In questo suo uscire dal Padre e tornare
a Lui (cfr Gv 13,3; 16,28; 17,8.10) Egli si
presenta a noi come il «Narratore» di Dio (cfr Gv
1,18).
Il Figlio, infatti, afferma sant’Ireneo di Lione, «è
il Rivelatore del Padre».[310]
Gesù di Nazareth è, per così dire, l’«esegeta» di
Dio che «nessuno ha mai visto». «Egli è immagine del
Dio invisibile» (Col 1,15). Si compie qui la
profezia di Isaia riguardo all’efficacia della
Parola del Signore: come la pioggia e la neve
scendono dal cielo per irrigare e far germogliare la
terra, così la Parola di Dio «non ritornerà a me
senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e
senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is
55,10s). Gesù Cristo è questa Parola definitiva ed
efficace che è uscita dal Padre ed è ritornata a
Lui, realizzando perfettamente nel mondo la sua
volontà.
Annunciare al mondo il «Logos» della
Speranza
91. Il Verbo di Dio ci ha
comunicato la vita divina che trasfigura la faccia
della terra, facendo nuove tutte le cose (cfr Ap
21,5). La sua Parola ci coinvolge non soltanto come
destinatari della Rivelazione divina, ma
anche come suoi annunciatori. Egli, l’inviato
dal Padre a compiere la sua volontà (cfr Gv
5,36-38; 6,38-40; 7,16-18), ci attira a sé e ci
coinvolge nella sua vita e missione. Lo Spirito del
Risorto abilita così la nostra vita all’annuncio
efficace della Parola in tutto il mondo. È
l’esperienza della prima comunità cristiana, che
vedeva il diffondersi della Parola mediante la
predicazione e la testimonianza (cfr At 6,7).
Vorrei qui riferirmi in particolare alla vita
dell’apostolo Paolo, un uomo afferrato completamente
dal Signore (cfr Fil 3,12) – «non vivo più
io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20) – e
dalla sua missione: «guai a me se non annuncio il
Vangelo!» (1Cor 9,16), consapevole che quanto
è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di
tutte le genti, la liberazione dalla schiavitù del
peccato per entrare nella libertà dei figli di Dio.
In effetti, ciò che la Chiesa annuncia al mondo è
il Logos della Speranza (cfr 1Pt
3,15); l’uomo ha bisogno della «grande Speranza» per
poter vivere il proprio presente, la grande speranza
che è «quel Dio che possiede un volto umano e che ci
“ha amati sino alla fine” (Gv 13,1)».[311]
Per questo la Chiesa è missionaria nella sua
essenza. Non possiamo tenere per noi le parole di
vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù
Cristo: esse sono per tutti, per ogni uomo. Ogni
persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha
bisogno di questo annuncio. Il Signore stesso, come
ai tempi del profeta Amos, susciti tra gli uomini
nuova fame e nuova sete delle parole del Signore
(cfr Am 8,11). A noi la responsabilità di
trasmettere quello che a nostra volta, per grazia,
abbiamo ricevuto.
Dalla Parola di Dio la missione della
Chiesa
92. Il Sinodo dei Vescovi ha
ribadito con forza la necessità di rinvigorire nella
Chiesa la coscienza missionaria, presente nel Popolo
di Dio fin dalla sua origine. I primi cristiani
hanno considerato il loro annuncio missionario come
una necessità derivante dalla natura stessa della
fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di
tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella
storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con
ciò la risposta che tutti gli uomini, nel loro
intimo, attendono. Le prime comunità cristiane hanno
sentito che la loro fede non apparteneva ad una
consuetudine culturale particolare, che è diversa a
seconda dei popoli, ma all’ambito della verità, che
riguarda ugualmente tutti gli uomini.
È ancora san Paolo che con la sua vita ci
illustra il senso della missione cristiana e la sua
originaria universalità. Pensiamo all’episodio
narrato dagli Atti degli Apostoli circa
l’Areòpago di Atene (cfr 17,16-34). L’Apostolo delle
genti entra in dialogo con uomini di culture
diverse, nella consapevolezza che il mistero di Dio,
Noto-Ignoto, di cui ogni uomo ha una percezione per
quanto confusa, si è realmente rivelato nella
storia: «Colui che, senza conoscerlo, voi adorate,
io ve lo annuncio» (At 17,23). Infatti, la
novità dell’annuncio cristiano è la possibilità di
dire a tutti i popoli: «Egli si è mostrato. Egli
personalmente. E adesso è aperta la via verso di
Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste
in un pensiero ma in un fatto: Egli si è rivelato».[312]
La Parola e il Regno di Dio
93. Pertanto, la missione
della Chiesa non può essere considerata come
realtà facoltativa o aggiuntiva della vita
ecclesiale. Si tratta di lasciare che lo Spirito
Santo ci assimili a Cristo stesso, partecipando così
alla sua stessa missione: «Come il Padre ha mandato
me, anch’io mando voi» (Gv 20,21), in
modo da comunicare la Parola con tutta la vita. È la
Parola stessa che ci spinge verso i fratelli: è la
Parola che illumina, purifica, converte; noi non
siamo che servitori.
È necessario, dunque, riscoprire sempre più
l’urgenza e la bellezza di annunciare la Parola, per
l’avvento del Regno di Dio, predicato da Cristo
stesso. In questo senso, rinnoviamo la
consapevolezza, così familiare ai Padri della
Chiesa, che l’annuncio della Parola ha come
contenuto il Regno di Dio (cfr Mc 1,14-15),
il quale è la stessa persona di Gesù (l’Autobasileia),
come ricorda suggestivamente Origene.[313]
Il Signore offre la salvezza agli uomini di ogni
epoca. Avvertiamo tutti quanto sia necessario che la
luce di Cristo illumini ogni ambito dell’umanità: la
famiglia, la scuola, la cultura, il lavoro, il tempo
libero e gli altri settori della vita sociale.[314]
Non si tratta di annunciare una parola consolatoria,
ma dirompente, che chiama a conversione, che rende
accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale
fiorisce un’umanità nuova.
Tutti i battezzati responsabili
dell’annuncio
94. Poiché tutto il Popolo di
Dio è un popolo «inviato», il Sinodo ha ribadito che
«la missione di annunciare la Parola di Dio è
compito di tutti i discepoli di Gesù Cristo come
conseguenza del loro battesimo».[315]
Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a
questa responsabilità che proviene dall’appartenere
sacramentalmente al Corpo di Cristo. Questa
consapevolezza deve essere ridestata in ogni
famiglia, parrocchia, comunità, associazione e
movimento ecclesiale. La Chiesa, come mistero di
comunione, è dunque tutta missionaria e ciascuno,
nel suo proprio stato di vita, è chiamato a dare un
contributo incisivo all’annuncio cristiano.
Vescovi e sacerdoti secondo la
missione loro propria sono chiamati per primi ad una
esistenza afferrata dal servizio della Parola, ad
annunciare il Vangelo, a celebrare i Sacramenti e a
formare i fedeli alla conoscenza autentica delle
Scritture. Anche i diaconi si sentano
chiamati a collaborare, secondo la missione loro
propria, a questo impegno di evangelizzazione.
La vita consacrata risplende in tutta la
storia della Chiesa per la capacità di assumersi
esplicitamente il compito dell’annuncio e della
predicazione della Parola di Dio, nella missio ad
gentes e nelle situazioni più difficili, con
disponibilità anche alle nuove condizioni di
evangelizzazione, intraprendendo con coraggio e
audacia nuovi percorsi e nuove sfide per l’annuncio
efficace della Parola di Dio.[316]
I laici sono chiamati a esercitare il loro
compito profetico, che deriva direttamente dal
battesimo, e testimoniare il Vangelo nella vita
quotidiana dovunque si trovino. A questo proposito i
Padri sinodali hanno espresso «la più viva stima e
gratitudine nonché l’incoraggiamento per il servizio
all’evangelizzazione che tanti laici, e in
particolare le donne, offrono con generosità e
impegno nelle comunità sparse per il mondo,
sull’esempio di Maria di Magdala, prima testimone
della gioia pasquale».[317]
Il Sinodo riconosce, inoltre, con gratitudine che i
movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono, nella
Chiesa, una grande forza per l’evangelizzazione in
questo tempo, spingendo a sviluppare nuove forme
d’annuncio del Vangelo.[318]
La necessità della «missio ad gentes»
95. Nell’esortare tutti i fedeli
all’annuncio della divina Parola, i Padri sinodali
hanno ribadito la necessità anche per il nostro
tempo di un impegno deciso nella missio ad gentes.
In nessun modo la Chiesa può limitarsi ad una
pastorale di «mantenimento», per coloro che già
conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio
missionario è un segno chiaro della maturità di una
comunità ecclesiale. Inoltre, i Padri hanno espresso
con forza la consapevolezza che la Parola di Dio è
la verità salvifica di cui ogni uomo in ogni tempo
ha bisogno. Per questo, l’annuncio deve essere
esplicito. La Chiesa deve andare verso tutti con la
forza dello Spirito (cfr 1 Cor 2,5) e
continuare profeticamente a difendere il diritto e
la libertà delle persone di ascoltare la Parola di
Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla,
anche a rischio della persecuzione.[319]
A tutti la Chiesa si sente debitrice di annunciare
la Parola che salva (cfr Rm 1,14).
Annuncio e nuova evangelizzazione
96. Papa
Giovanni Paolo II, sulla scia di quanto già
espresso dal Papa
Paolo VI nell’Esortazione apostolica
Evangelii nuntiandi, aveva richiamato in
tanti modi i fedeli alla necessità di una nuova
stagione missionaria per tutto il Popolo di Dio.[320]
All’alba del terzo millennio non solo vi sono ancora
tanti popoli che non hanno conosciuto la Buona
Novella, ma tanti cristiani hanno bisogno che sia
loro riannunciata in modo persuasivo la Parola di
Dio, così da poter sperimentare concretamente la
forza del Vangelo. Molti fratelli sono «battezzati,
ma non sufficientemente evangelizzati».[321]
Spesso, Nazioni un tempo ricche di fede e di
vocazioni vanno smarrendo la propria identità, sotto
l’influenza di una cultura secolarizzata.[322]
L’esigenza di una nuova evangelizzazione, così
fortemente sentita dal mio venerabile Predecessore,
deve essere riaffermata senza timore, nella certezza
dell’efficacia della divina Parola. La Chiesa,
sicura della fedeltà del suo Signore, non si stanca
di annunciare la buona novella del Vangelo ed invita
tutti i cristiani a riscoprire il fascino della
sequela di Cristo.
Parola di Dio e testimonianza cristiana
97. Gli orizzonti immensi della
missione ecclesiale, la complessità della situazione
presente chiedono oggi modalità rinnovate per poter
comunicare efficacemente la Parola di Dio. Lo
Spirito Santo, agente primario di ogni
evangelizzazione, non mancherà mai di guidare la
Chiesa di Cristo in questa azione. Tuttavia, è
importante che ogni modalità di annuncio tenga
presente, innanzitutto, la relazione intrinseca tra
comunicazione della Parola di Dio e
testimonianza cristiana. Da ciò dipende la
stessa credibilità dell’annuncio. Da una parte, è
necessaria la Parola che comunichi quanto il Signore
stesso ci ha detto. Dall’altra, è indispensabile
dare, con la testimonianza, credibilità a questa
Parola, affinché non appaia come una bella filosofia
o utopia, ma piuttosto come una realtà che si può
vivere e che fa vivere. Questa reciprocità tra
Parola e testimonianza richiama il modo in cui Dio
stesso si è comunicato mediante l’incarnazione del
suo Verbo. La Parola di Dio raggiunge gli uomini
«attraverso l’incontro con testimoni che la rendono
presente e viva».[323]
In modo particolare le nuove generazioni hanno
bisogno di essere introdotte alla Parola di Dio
«attraverso l’incontro e la testimonianza autentica
dell’adulto, l’influsso positivo degli amici e la
grande compagnia della comunità ecclesiale».[324]
C’è uno stretto rapporto tra la testimonianza
della Scrittura, come attestazione che la Parola di
Dio dà di sé, e la testimonianza di vita dei
credenti. L’una implica e conduce all’altra. La
testimonianza cristiana comunica la Parola attestata
nelle Scritture. Le Scritture, a loro volta,
spiegano la testimonianza che i cristiani sono
chiamati a dare con la propria vita. Coloro che
incontrano testimoni credibili del Vangelo sono
portati così a constatare l’efficacia della Parola
di Dio in quelli che l’accolgono.
98. In questa circolarità fra
testimonianza e Parola comprendiamo le affermazioni
del Papa
Paolo VI nell’Esortazione apostolica
Evangelii nuntiandi. La nostra
responsabilità non si limita a suggerire al mondo
valori condivisi; occorre che si arrivi all’annuncio
esplicito della Parola di Dio. Solo così saremo
fedeli al mandato di Cristo: «La Buona Novella,
proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque
essere presto o tardi annunziata dalla parola di
vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome,
l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il
mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non
siano proclamati».[325]
Il fatto che l’annuncio della Parola di Dio
richieda la testimonianza della propria vita è un
dato ben presente nella coscienza cristiana fin
dalle sue origini. Cristo stesso è il testimone
fedele e verace (cfr Ap 1,5; 3,14), testimone
della Verità (cfr Gv 18,37). A questo
proposito vorrei farmi eco delle innumerevoli
testimonianze che abbiamo avuto la grazia di
ascoltare durante l’Assemblea sinodale. Siamo stati
profondamente commossi davanti al racconto di coloro
che hanno saputo vivere la fede e dare testimonianza
fulgida del Vangelo anche sotto regimi avversi al
Cristianesimo o in situazioni di persecuzione.
Tutto questo non ci deve fare paura. Gesù stesso
ha detto ai suoi discepoli: «Un servo non è più
grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me,
perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).
Desidero, pertanto, innalzare a Dio con tutta la
Chiesa un inno di lode per la testimonianza di tanti
fratelli e sorelle che anche in questo nostro tempo
hanno dato la vita per comunicare la verità
dell’amore di Dio rivelatoci in Cristo crocifisso e
risorto. Inoltre, esprimo la gratitudine di tutta la
Chiesa per i cristiani che non si arrendono davanti
agli ostacoli e alle persecuzioni a causa del
Vangelo. Allo stesso tempo ci stringiamo con
profondo e solidale affetto ai fedeli di tutte
quelle comunità cristiane, in Asia e in Africa in
particolare, che in questo tempo rischiano la vita o
l’emarginazione sociale a causa della fede. Vediamo
qui realizzarsi lo spirito delle beatitudini del
Vangelo per coloro che sono perseguitati a causa del
Signore Gesù (cfr Mt 5,11). Nel contempo non
cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi
delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di
coscienza e di religione, anche di poter
testimoniare la propria fede pubblicamente.[326]
Parola
di Dio e impegno nel mondo
Servire Gesù nei suoi «fratelli più
piccoli» (Mt 25,40)
99. La divina Parola illumina
l’esistenza umana e mobilita le coscienze a rivedere
in profondità la propria vita, poiché tutta la
storia dell’umanità sta sotto il giudizio di Dio:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria,
e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della
sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i
popoli» (Mt 25,31-32). Nel nostro tempo ci
fermiamo spesso superficialmente sul valore
dell’istante che passa, come se fosse irrilevante
per il futuro. Al contrario, il Vangelo ci ricorda
che ogni momento della nostra esistenza è importante
e deve essere vissuto intensamente, sapendo che
ognuno dovrà rendere conto della propria vita. Nel
capitolo venticinque del Vangelo di Matteo il
Figlio dell’uomo ritiene fatto o non fatto a sé
quanto avremo fatto o non fatto a uno solo dei
suoi «fratelli più piccoli» (25,40.45):
«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto
sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi
avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, ero in carcere e siete venuti a
trovarmi» (25,35-36). Pertanto, è la stessa Parola
di Dio a richiamare la necessità del nostro impegno
nel mondo e la nostra responsabilità davanti a
Cristo, Signore della storia. Nell’annunciare il
Vangelo esortiamoci vicendevolmente a compiere il
bene e all’impegno per la giustizia, la
riconciliazione e la pace.
Parola di Dio e impegno nella società per
la giustizia
100. La Parola di Dio spinge
l’uomo a rapporti animati dalla rettitudine e dalla
giustizia, attesta il valore prezioso di fronte a
Dio di tutte le fatiche dell’uomo per rendere il
mondo più giusto e più abitabile.[327]
È la stessa Parola di Dio a denunciare senza
ambiguità le ingiustizie e promuovere la solidarietà
e l’uguaglianza.[328]
Alla luce delle parole del Signore riconosciamo
dunque i «segni dei tempi» presenti nella storia,
non rifuggiamo l’impegno in favore di quanti
soffrono e sono vittime dell’egoismo. Il Sinodo ha
ricordato che l’impegno per la giustizia e la
trasformazione del mondo è costitutivo
dell’evangelizzazione. Come diceva il Papa
Paolo VI, si tratta di «raggiungere e quasi
sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri
di giudizio, i valori determinanti, i punti di
interesse, le linee di pensiero, le fonti
ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che
sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno
della salvezza».[329]
A questo scopo i Padri sinodali hanno rivolto un
pensiero particolare a quanti sono impegnati nella
vita politica e sociale. L’evangelizzazione e la
diffusione della Parola di Dio devono ispirare la
loro azione nel mondo alla ricerca del vero bene di
tutti, nel rispetto e nella promozione della dignità
di ogni persona. Certo, non è compito diretto della
Chiesa creare una società più giusta, anche se a lei
spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle
questioni etiche e morali che riguardano il bene
delle persone e dei popoli. È soprattutto compito
dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo,
intervenire direttamente nell’azione sociale e
politica. Per questo il Sinodo raccomanda di
promuovere un’adeguata formazione secondo i principi
della Dottrina sociale della Chiesa.[330]
101. Inoltre, desidero
richiamare l’attenzione di tutti sull’importanza di
difendere e promuovere i diritti umani di ogni
persona, basati sulla legge naturale iscritta
nel cuore dell’uomo, e che come tali sono
«universali, inviolabili, inalienabili».[331]
La Chiesa auspica che, mediante l’affermazione di
tali diritti, la dignità umana sia più efficacemente
riconosciuta e promossa universalmente,[332]
quale caratteristica impressa da Dio Creatore sulla
sua creatura, assunta e redenta da Gesù Cristo
mediante la sua incarnazione, morte e risurrezione.
Per questo la diffusione della Parola di Dio non può
che rafforzare l’affermazione ed il rispetto di tali
diritti.[333]
Annuncio della Parola di Dio,
riconciliazione e pace tra i popoli
102. Tra i molteplici ambiti di
impegno, il Sinodo ha raccomandato vivamente la
promozione della riconciliazione e della pace.
Nell’odierno contesto è necessario più che mai
riscoprire la Parola di Dio come fonte di
riconciliazione e di pace perché in essa Dio
riconcilia a sé tutte le cose (cfr 2Cor
5,18-20; Ef 1,10): Cristo «è la nostra pace»
(Ef 2,14), colui che abbatte i muri di
divisione. Tante testimonianze nel Sinodo hanno
documentato i gravi e sanguinosi conflitti e le
tensioni presenti sul nostro pianeta. A volte tali
ostilità sembrano assumere l’aspetto del conflitto
interreligioso. Ancora una volta desidero ribadire
che la religione non può mai giustificare
intolleranza o guerre. Non si può usare la violenza
in nome di Dio![334]
Ogni religione dovrebbe spingere verso un uso
corretto della ragione e promuovere valori etici che
edificano la convivenza civile.
Fedeli all’opera di riconciliazione compiuta da
Dio in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, i
cattolici e tutti gli uomini di buona volontà si
impegnino a dare esempi di riconciliazione per
costruire una società giusta e pacifica.[335]
Non dimentichiamo mai che «là dove le parole umane
diventano impotenti, perché prevale il tragico
rumore della violenza e delle armi, la forza
profetica della Parola di Dio non viene meno e ci
ripete che la pace è possibile, e che dobbiamo
essere noi strumenti di riconciliazione e di pace».[336]
La Parola di Dio e la carità operosa
103. L’impegno per la
giustizia, la riconciliazione e la pace trova la sua
radice ultima e il suo compimento nell’amore
rivelatoci in Cristo. Ascoltando le testimonianze
emerse nel Sinodo, siamo resi più attenti al legame
che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di
Dio e il servizio disinteressato verso i fratelli;
tutti i credenti comprendano la necessità «di
tradurre in gesti di amore la parola ascoltata,
perché solo così diviene credibile l’annuncio del
Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano
le persone».[337]
Gesù è passato in questo mondo facendo il bene (cfr
At 10,38). Ascoltando con disponibilità la
Parola di Dio nella Chiesa si desta «la carità e la
giustizia verso tutti, soprattutto verso i poveri».[338]
Non bisogna mai dimenticare che «l’amore —
caritas — sarà sempre necessario, anche nella
società più giusta … chi vuole sbarazzarsi
dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in
quanto uomo».[339]
Esorto, pertanto, tutti i fedeli a meditare spesso
l’inno alla carità scritto dall’apostolo Paolo e a
lasciarsi ispirare da esso: «La carità è magnanima,
benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non
cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene
conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non
avrà mai fine» (1Cor 13,4-8).
L’amore del prossimo, radicato nell’amore di Dio,
ci deve dunque vedere costantemente impegnati come
singoli e come comunità ecclesiale, locale ed
universale. Sant’Agostino afferma: «È fondamentale
comprendere che la pienezza della Legge, come di
tutte le Scritture divine, è l’amore … Chi dunque
crede di aver compreso le Scritture, o almeno una
qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a
costruire, mediante la loro intelligenza, questo
duplice amore di Dio e del prossimo, dimostra di non
averle ancora comprese».[340]
Annuncio della Parola di Dio e i giovani
104. Il Sinodo ha riservato
un’attenzione particolare all’annuncio della Parola
divina alle nuove generazioni. I giovani sono già
fin d’ora membri attivi della Chiesa e ne
rappresentano il futuro. In essi spesso troviamo una
spontanea apertura all’ascolto della Parola di Dio
ed un sincero desiderio di conoscere Gesù.
Nell’età della giovinezza, infatti, emergono in modo
incontenibile e sincero le domande sul senso
della propria vita e su quale indirizzo dare alla
propria esistenza. A queste domande solo Dio sa dare
vera risposta. Questa attenzione al mondo giovanile
implica il coraggio di un annuncio chiaro; dobbiamo
aiutare i giovani ad acquistare confidenza e
familiarità con la sacra Scrittura, perché sia come
una bussola che indica la strada da seguire.[341]
Per questo, essi hanno bisogno di testimoni e di
maestri, che camminino con loro e li guidino ad
amare e a comunicare a loro volta il Vangelo
soprattutto ai loro coetanei, diventando essi stessi
autentici e credibili annunciatori.[342]
Occorre che la divina Parola venga presentata
anche nelle sue implicazioni vocazionali così da
aiutare e orientare i giovani nelle loro scelte di
vita, anche verso la consacrazione totale.[343]
Autentiche vocazioni alla vita consacrata e al
sacerdozio hanno il loro terreno propizio nel
contatto fedele con la Parola di Dio. Ripeto ancora
oggi l’invito fatto all’inizio del mio pontificato
di spalancare le porte a Cristo: «Chi fa entrare
Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla
di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No!
Solo in quest’amicizia si spalancano le porte della
vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono
realmente le grandi potenzialità della condizione
umana. … Cari giovani: non abbiate paura di Cristo!
Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a
lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le
porte a Cristo – e troverete la vera vita».[344]
Annuncio della Parola di Dio e i migranti
105. La Parola di Dio ci rende
attenti alla storia e a quanto di nuovo in essa
germoglia. Per questo il Sinodo, in relazione alla
missione evangelizzatrice della Chiesa, ha voluto
volgere l’attenzione anche al fenomeno complesso dei
movimenti migratori, che ha assunto in questi anni
inedite proporzioni. Qui sorgono questioni assai
delicate riguardanti la sicurezza delle
nazioni e l’accoglienza da offrire a quanti
cercano rifugio, condizioni migliori di vita, salute
e lavoro. Un grande numero di persone, che non
conoscono Cristo o che ne hanno un’immagine
inadeguata, si insediano in Paesi di tradizione
cristiana. Contemporaneamente persone appartenenti a
popoli segnati in modo profondo dalla fede cristiana
emigrano verso Paesi in cui c’è bisogno di portare
l’annuncio di Cristo e di una nuova
evangelizzazione. Queste situazioni offrono
rinnovate possibilità per la diffusione della Parola
di Dio. A tale proposito i Padri sinodali hanno
affermato che i migranti hanno il diritto di
ascoltare il kerygma, che viene loro
proposto, non imposto. Se sono cristiani,
necessitano di assistenza pastorale adeguata per
rafforzare la fede ed essere essi stessi portatori
dell’annuncio evangelico. Consapevoli della
complessità del fenomeno, è necessario che le
diocesi interessate si mobilitino affinché i
movimenti migratori siano colti anche come occasione
per scoprire nuove modalità di presenza e di
annuncio e si provveda, a seconda delle proprie
possibilità, ad un’adeguata accoglienza ed
animazione di questi nostri fratelli perché, toccati
dalla Buona Novella, si facciano essi stessi
annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù
Risorto, speranza del mondo.[345]
Annuncio della Parola di Dio e i sofferenti
106. Durante i lavori sinodali
l’attenzione dei Padri è stata posta anche sulla
necessità di annunciare la Parola di Dio a tutti
coloro che si trovano nella condizione di
sofferenza, fisica, psichica o spirituale. Infatti è
nel momento del dolore che sorgono più acute nel
cuore dell’uomo, le domande ultime sul senso
della propria vita. Se la parola dell’uomo
sembra ammutolire davanti al mistero del male e del
dolore e la nostra società sembra dare valore
all’esistenza solo se corrisponde a certi livelli di
efficienza e di benessere, la Parola di Dio ci svela
che anche queste circostanze sono misteriosamente
«abbracciate» dalla tenerezza di Dio. La fede che
nasce dall’incontro con la divina Parola ci aiuta a
ritenere la vita umana degna di essere vissuta in
pienezza anche quando è fiaccata dal male. Dio
ha creato l’uomo per la felicità e per la vita,
mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo
come conseguenza del peccato (cfr Sap
2,23-24). Ma il Padre della vita è il medico per
eccellenza dell’uomo e non cessa di chinarsi
amorevolmente sull’umanità sofferente. Il culmine
della vicinanza di Dio alla sofferenza dell’uomo lo
contempliamo in Gesù stesso che è «Parola incarnata.
Ha sofferto con noi, è morto. Con la sua passione e
morte Egli ha assunto e trasformato fino in fondo la
nostra debolezza».[346]
La vicinanza di Gesù ai sofferenti non si è
interrotta: essa si prolunga nel tempo grazie
all’azione dello Spirito Santo nella missione della
Chiesa, nella Parola e nei Sacramenti, negli uomini
di buona volontà, nelle attività di assistenza che
le comunità promuovono con carità fraterna,
mostrando così il vero volto di Dio ed il suo amore.
Il Sinodo rende grazie a Dio per la testimonianza
luminosa, spesso nascosta, di tanti cristiani –
sacerdoti, religiosi e laici – che hanno prestato e
continuano a prestare le loro mani, i loro occhi e i
loro cuori a Cristo, vero medico dei corpi e delle
anime! Esorta, poi, a continuare ad avere cura delle
persone inferme portando loro la presenza
vivificante del Signore Gesù, nella Parola e
nell’Eucaristia. Siano aiutate a leggere la
Scrittura e a scoprire che proprio nella loro
condizione possono partecipare in modo particolare
alla sofferenza redentrice di Cristo per la salvezza
del mondo (cfr 2Cor 4,8-11.14).[347]
Annuncio della Parola di Dio e i poveri
107. La sacra Scrittura
manifesta la predilezione di Dio per i poveri e i
bisognosi (cfr Mt 25,31-46). Frequentemente i
Padri sinodali hanno richiamato la necessità che
l’annuncio evangelico, l’impegno dei Pastori e delle
comunità siano rivolti a questi nostri fratelli. In
effetti, «i primi ad avere diritto all’annuncio del
Vangelo sono proprio i poveri, bisognosi non solo di
pane, ma anche di parole di vita».[348]
La diaconia della carità, che non deve mai mancare
nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata
all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei
santi misteri.[349]
Nello stesso tempo, occorre riconoscere e
valorizzare il fatto che gli stessi poveri sono
anche agenti di evangelizzazione. Nella Bibbia il
vero povero è colui che si affida totalmente a Dio e
Gesù stesso nel Vangelo li chiama beati,
«poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt
5,3; cfr Lc 6,20). Il Signore esalta la
semplicità di cuore di chi riconosce in Dio la vera
ricchezza, ripone in Lui la propria speranza, e non
nei beni di questo mondo. La Chiesa non può deludere
i poveri: «I pastori sono chiamati ad ascoltarli, ad
imparare da essi, a guidarli nella loro fede e a
motivarli ad essere artefici della propria storia».[350]
La Chiesa è anche consapevole che esiste una
povertà come virtù, da coltivare e da scegliere
liberamente, come hanno fatto tanti Santi, ed esiste
una miseria, esito spesso di ingiustizia e
provocata dall’egoismo, che segna indigenza e fame e
che alimenta i conflitti. Quando la Chiesa annuncia
la Parola di Dio sa che occorre favorire un «circolo
virtuoso» tra la povertà «da scegliere» e la
povertà «da combattere», riscoprendo «la
sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e
al tempo stesso universali… Ciò comporta scelte di
giustizia e di sobrietà».[351]
Parola di Dio e custodia del creato
108. L’impegno nel mondo
richiesto dalla divina Parola ci spinge a guardare
con occhi nuovi l’intero cosmo creato da Dio e che
porta già in sé le tracce del Verbo, per mezzo del
quale tutto è stato fatto (cfr Gv 1,2). In
effetti c’è una responsabilità che abbiamo come
credenti e annunciatori del Vangelo anche nei
confronti della creazione. La Rivelazione, mentre ci
rende noto il disegno di Dio sul cosmo, ci porta
anche a denunciare gli atteggiamenti sbagliati
dell’uomo, quando non riconosce tutte le cose come
riflesso del Creatore, ma mera materia da manipolare
senza scrupoli. Così l’uomo manca di quella
essenziale umiltà che gli permette di riconoscere la
creazione come dono di Dio da accogliere e usare
secondo il suo disegno. Al contrario, l’arroganza
dell’uomo che vive come se Dio non ci fosse, porta a
sfruttare e deturpare la natura, non riconoscendo in
essa un’opera della Parola creatrice. In questo
quadro teologico, desidero richiamare le
affermazioni dei Padri sinodali, i quali hanno
ricordato che «accogliere la Parola di Dio attestata
nella sacra Scrittura e nella Tradizione viva della
Chiesa genera un nuovo modo di vedere le cose,
promuovendo una ecologia autentica, che ha la sua
radice più profonda nella obbedienza della fede …(e)
sviluppando una rinnovata sensibilità teologica
sulla bontà di tutte le cose, create in Cristo».[352]
L’uomo ha bisogno di essere nuovamente educato allo
stupore e a riconoscere la bellezza autentica che si
manifesta nelle cose create.[353]
Parola di Dio
e culture
Il valore della cultura per la vita
dell’uomo
109. L’annuncio giovanneo
riguardante l’incarnazione del Verbo rivela il
legame indissolubile che esiste tra la Parola
divina e le parole umane, mediante le
quali si comunica a noi. È nell’ambito di questa
considerazione che il Sinodo dei Vescovi si è
soffermato sul rapporto tra Parola di Dio e cultura.
Infatti, Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma
assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati
alle diverse culture. Si tratta di un rapporto
fecondo, testimoniato ampiamente nella storia della
Chiesa. Oggi tale rapporto entra anche in una nuova
fase dovuta all’estendersi e al radicarsi
dell’evangelizzazione all’interno delle diverse
culture e ai più recenti sviluppi della cultura
occidentale. Esso innanzitutto implica riconoscere
l’importanza della cultura come tale per la vita di
ogni uomo. Il fenomeno della cultura, infatti, nei
suoi molteplici aspetti si presenta come un dato
costitutivo dell’esperienza umana: «L’uomo vive
sempre secondo una cultura che gli è propria, e che,
a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure
è loro proprio, determinando il carattere
inter-umano e sociale dell’esistenza umana».[354]
La Parola di Dio ha ispirato lungo i secoli le
diverse culture, generando valori morali
fondamentali, espressioni artistiche eccellenti e
stili di vita esemplari.[355]
Pertanto, nella prospettiva di un rinnovato incontro
tra Bibbia e culture, vorrei ribadire a tutti gli
operatori culturali che non hanno nulla da temere
dall’aprirsi alla Parola di Dio; essa non distrugge
mai la vera cultura, ma costituisce un costante
stimolo per la ricerca di espressioni umane sempre
più appropriate e significative. Ogni autentica
cultura per essere veramente per l’uomo deve essere
aperta alla trascendenza, ultimamente a Dio.
La Bibbia come grande codice per le culture
110. I Padri sinodali hanno
sottolineato l’importanza di favorire tra gli
operatori culturali una conoscenza adeguata della
Bibbia, anche negli ambienti secolarizzati e tra i
non credenti;[356]
nella sacra Scrittura sono contenuti valori
antropologici e filosofici che hanno influito
positivamente su tutta l’umanità.[357]
Va pienamente ricuperato il senso della Bibbia come
grande codice per le culture.
La conoscenza della Bibbia nelle scuole e
università
111. Un ambito particolare
dell’incontro tra Parola di Dio e culture è quello
della scuola e dell’università. I
Pastori abbiano speciale cura per questi ambienti,
promuovendo una conoscenza profonda della Bibbia
così da poterne cogliere le feconde implicazioni
culturali anche per l’oggi. I centri di studio
promossi dalle realtà cattoliche offrono un
contributo originale – che deve essere riconosciuto
– alla promozione della cultura e dell’istruzione.
Non si deve trascurare, poi, l’insegnamento della
religione, formando accuratamente i docenti. In
molti casi esso rappresenta per gli studenti
un’occasione unica di contatto con il messaggio
della fede. È bene che in questo insegnamento sia
promossa la conoscenza della sacra Scrittura,
vincendo antichi e nuovi pregiudizi, e cercando di
far conoscere la sua verità.[358]
La sacra Scrittura nelle diverse
espressioni artistiche
112. La relazione tra Parola di
Dio e cultura ha trovato espressione in opere di
diversi ambiti, in particolare nel mondo
dell’arte. Per questo la grande tradizione
dell’Oriente e dell’Occidente ha sempre stimato le
manifestazioni artistiche ispirate alla sacra
Scrittura, quali ad esempio le arti figurative e
l’architettura, la letteratura e la musica. Penso
anche all’antico linguaggio espresso dalle icone
che dalla tradizione orientale si sta diffondendo in
tutto il mondo. Con i Padri sinodali, la Chiesa
tutta esprime apprezzamento, stima e ammirazione per
gli artisti «innamorati della bellezza», che si sono
lasciati ispirare dai testi sacri; essi hanno
contribuito alla decorazione delle nostre chiese,
alla celebrazione della nostra fede,
all’arricchimento della nostra liturgia e, allo
stesso tempo, molti di loro hanno aiutato a rendere
in qualche modo percepibile nel tempo e nello spazio
le realtà invisibili ed eterne.[359]
Esorto gli organismi competenti affinché si promuova
nella Chiesa una solida formazione degli artisti
riguardo alla sacra Scrittura alla luce della
Tradizione viva della Chiesa e del Magistero.
Parola di Dio e mezzi di comunicazione
sociale
113. Al rapporto tra Parola di
Dio e culture si connette anche l’importanza
dell’utilizzo attento ed intelligente dei mezzi,
vecchi e nuovi, di comunicazione sociale. I Padri
sinodali hanno raccomandato una conoscenza
appropriata di questi strumenti, ponendo attenzione
al loro veloce sviluppo e ai diversi livelli di
interazione e investendo maggiori energie per
acquisire competenza nei vari settori, in
particolare nei cosiddetti new media, come ad
esempio internet. Esiste già una
significativa presenza da parte della Chiesa nel
mondo della comunicazione di massa e anche il
Magistero ecclesiale si è espresso più volte su
questo tema a partire dal
Concilio Vaticano II.[360]
L’acquisizione di nuovi metodi per trasmettere il
Messaggio evangelico fa parte della costante
tensione evangelizzatrice dei credenti e oggi la
comunicazione stende una rete che avvolge tutto il
globo e acquista un nuovo significato l’appello di
Cristo: «Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo
nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi
annunciatelo dalle terrazze» (Mt 10,27). La
Parola divina, oltre che nella forma stampata, deve
risuonare anche attraverso le altre forme di
comunicazione.[361]
Per questo, insieme ai Padri sinodali, desidero
ringraziare i cattolici che si stanno impegnando con
competenza per una presenza significativa nel mondo
dei media, sollecitando un impegno ancora più
ampio e qualificato.[362]
Tra le nuove forme di comunicazione di massa, un
ruolo crescente va riconosciuto oggi a internet,
che costituisce un nuovo forum in cui far
risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però,
che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il
mondo reale e che l’evangelizzazione potrà usufruire
della virtualità offerta dai new media
per instaurare rapporti significativi solo se si
arriverà al contatto personale,
che resta insostituibile. Nel mondo di internet,
che permette a miliardi di immagini di apparire su
milioni di schermi in tutto il mondo, dovrà emergere
il volto di Cristo e udirsi la Sua voce,
perché «se non c’è spazio per Cristo, non c’è
spazio per l’uomo».[363]
Bibbia e inculturazione
114. Il mistero
dell’incarnazione ci rende noto che Dio, da una
parte, si comunica sempre in una storia concreta,
assumendo i codici culturali iscritti in essa, ma,
dall’altra parte, la stessa Parola può e deve
trasmettersi in culture differenti, trasfigurandole
dall’interno, mediante ciò che il Papa
Paolo VI chiamava l’evangelizzazione delle
culture.[364]
La Parola di Dio, come del resto la fede cristiana,
manifesta così un carattere profondamente
interculturale, capace di incontrare e di far
incontrare culture diverse.[365]
In questo contesto si comprende anche il valore
dell’inculturazione del Vangelo.[366]
La Chiesa è fermamente persuasa dell’intrinseca
capacità della Parola di Dio di raggiungere tutte le
persone umane nel contesto culturale in cui vivono:
«Questa convinzione deriva dalla Bibbia stessa, che,
fin dal libro della Genesi, assume un orientamento
universale (cfr Gen 1,27-28), lo mantiene poi
nella benedizione promessa a tutti i popoli grazie
ad Abramo e alla sua discendenza (cfr Gen
12,3; 18,18) e lo conferma definitivamente
estendendo a “tutte le nazioni” l’evangelizzazione».[367]
Per questo l’inculturazione non va scambiata con
processi di adattamento superficiale e nemmeno con
la confusione sincretista che diluisce l’originalità
del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile.[368]
L’autentico paradigma dell’inculturazione è
l’incarnazione stessa del Verbo: «L’“acculturazione”
o “inculturazione” sarà realmente un riflesso
dell’incarnazione del Verbo, quando una cultura,
trasformata e rigenerata dal Vangelo, produce nella
sua propria tradizione espressioni originali di
vita, di celebrazione, di pensiero cristiano»,[369]
fermentando dall’interno la cultura locale,
valorizzando i semina Verbi e quanto di
positivo in essa è presente, aprendola ai valori
evangelici.[370]
Traduzioni e diffusione della Bibbia
115. Se l’inculturazione della
Parola di Dio è parte imprescindibile della missione
della Chiesa nel mondo, un momento decisivo di
questo processo è la diffusione della Bibbia
mediante il prezioso lavoro di traduzione nelle
differenti lingue. A questo proposito si deve sempre
tenere presente che l’opera di traduzione delle
Scritture «ha avuto inizio fin dai tempi dell’Antico
Testamento quando il testo ebraico della Bibbia fu
tradotto oralmente in aramaico (Ne 8,8.12) e,
più tardi, per iscritto in greco. Una traduzione
infatti è sempre qualcosa di più di una semplice
trascrizione del testo originale. Il passaggio da
una lingua a un’altra comporta necessariamente un
cambiamento di contesto culturale: i concetti non
sono identici e la portata dei simboli è differente,
perché mettono in rapporto con altre tradizioni di
pensiero e altri modi di vivere».[371]
Durante i lavori sinodali si è dovuto constatare
che varie Chiese locali non dispongono ancora di una
traduzione integrale della Bibbia nelle proprie
lingue. Quanti popoli hanno oggi fame e sete della
Parola di Dio, ma purtroppo non possono ancora avere
un «largo accesso alla sacra Scrittura»,[372]
come era stato auspicato nel
Concilio Vaticano II! Per questo il Sinodo
ritiene importante, anzitutto, la formazione di
specialisti che si dedichino a tradurre la Bibbia
nelle varie lingue.[373]
Incoraggio ad investire risorse in questo ambito. In
particolare, vorrei raccomandare di sostenere
l’impegno della Federazione Biblica Cattolica perché
sia ulteriormente incrementato il numero delle
traduzioni della sacra Scrittura e la loro capillare
diffusione.[374]
È bene che, per la natura stessa di un tale lavoro,
esso sia fatto, per quanto possibile, in
collaborazione con le diverse Società Bibliche.
La Parola di Dio supera i limiti delle
culture
116. L’Assemblea sinodale, nel
dibattito circa la relazione tra Parola di Dio e
culture ha sentito l’esigenza di riaffermare quanto
i primi cristiani hanno potuto sperimentare fin dal
giorno di Pentecoste (cfr At 2,1-13). La
Parola divina è capace di penetrare e di esprimersi
in culture e lingue differenti, ma la stessa Parola
trasfigura i limiti delle singole culture creando
comunione tra popoli diversi. La Parola del Signore
ci invita ad andare verso una comunione più vasta.
«Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze
ed entriamo nella realtà, che è veramente
universale. Entrando nella comunione con la Parola
di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che
vive la Parola di Dio. … È uscire dai limiti delle
singole culture nella universalità che collega
tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli».[375]
Pertanto, annunciare la Parola di Dio chiede sempre
a noi stessi per primi un rinnovato esodo, nel
lasciare le nostre misure e le nostre immaginazioni
limitate per fare spazio in noi alla presenza di
Cristo.
Parola di Dio e dialogo interreligioso
Il valore del dialogo interreligioso
117. La Chiesa riconosce come
parte essenziale dell’annuncio della Parola
l’incontro, il dialogo e la collaborazione con tutti
gli uomini di buona volontà, in particolare con le
persone appartenenti alle diverse tradizioni
religiose dell’umanità, evitando forme di
sincretismo e di relativismo e seguendo le linee
indicate dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano
II
Nostra aetate sviluppate dal Magistero
successivo dei Sommi Pontefici.[376]
Il veloce processo di globalizzazione,
caratteristico della nostra epoca, mette in
condizioni di vivere a più stretto contatto con
persone di culture e religioni diverse. Si tratta di
un’opportunità provvidenziale per manifestare come
l’autentico senso religioso possa promuovere tra gli
uomini relazioni di universale fraternità. È di
grande importanza che le religioni possano favorire
nelle nostre società, spesso secolarizzate, una
mentalità che veda in Dio Onnipotente il fondamento
di ogni bene, la sorgente inesauribile della vita
morale, il sostegno di un senso profondo di
fratellanza universale.
Ad esempio, nella tradizione ebraico-cristiana si
trova la suggestiva attestazione dell’amore di Dio
per tutti i popoli, che Egli, già nell’Alleanza
stretta con Noè, riunisce in un unico grande
abbraccio simboleggiato dall’«arco sulle nubi» (Gen
9,13.14.16) e che, secondo le parole dei
profeti, intende raccogliere in un’unica universale
famiglia (cfr Is 2,2ss; 42,6; 66,18-21;
Ger 4,2; Sal 47). Di fatto, testimonianze
dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio
e l’etica dell’amore per ogni uomo si registrano in
molte grandi tradizioni religiose.
Dialogo tra cristiani e musulmani
118. Tra le diverse religioni,
la Chiesa vede con stima i musulmani, i quali
riconoscono l’esistenza di un Dio unico;[377]
fanno riferimento ad Abramo e rendono culto a Dio
soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il
digiuno. Riconosciamo che nella tradizione
dell’Islam vi sono molte figure, simboli e temi
biblici. In continuità con l’importante opera del
Venerabile
Giovanni Paolo II, auspico che i rapporti di
fiducia, instaurati da diversi anni, fra cristiani e
musulmani, proseguano e si sviluppino in uno spirito
di dialogo sincero e rispettoso.[378]
In questo dialogo, il Sinodo ha espresso l’auspicio
che possano essere approfonditi il rispetto della
vita come valore fondamentale, i diritti
inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari
dignità. Tenuto conto della distinzione tra l’ordine
socio-politico e l’ordine religioso, le religioni
devono dare il loro contributo per il bene comune.
Il Sinodo chiede alle Conferenze Episcopali, dove
risulti opportuno e proficuo, di favorire incontri
di reciproca conoscenza tra cristiani e musulmani
per promuovere i valori di cui la società ha bisogno
per una pacifica e positiva convivenza.[379]
Dialogo con le altre religioni
119. In questa circostanza,
inoltre, desidero manifestare il rispetto della
Chiesa per le antiche religioni e tradizioni
spirituali dei vari Continenti; esse racchiudono
valori che possono favorire grandemente la
comprensione tra le persone e i popoli.[380]
Frequentemente costatiamo sintonie con valori
espressi anche nei loro libri religiosi, come, ad
esempio, il rispetto per la vita, la contemplazione,
il silenzio, la semplicità, nel Buddismo; il senso
della sacralità, del sacrificio e del digiuno
nell’Induismo; ed ancora i valori familiari e
sociali nel Confucianesimo. Vediamo pure in altre
esperienze religiose un’attenzione sincera per la
trascendenza di Dio, riconosciuto quale Creatore,
come anche per il rispetto della vita, del
matrimonio e della famiglia ed un forte senso della
solidarietà.
Dialogo e libertà religiosa
120. Tuttavia, il dialogo non
sarebbe fecondo se questo non includesse anche un
autentico rispetto per ogni persona, perché possa
aderire liberamente alla propria religione. Per
questo il Sinodo, mentre promuove la collaborazione
tra gli esponenti delle diverse religioni, ricorda
ugualmente «la necessità che sia effettivamente
assicurata a tutti i credenti la libertà di
professare la propria religione in privato e in
pubblico, nonché la libertà di coscienza»;[381]
infatti, «il rispetto e il dialogo richiedono la
reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto
concerne le libertà fondamentali e più
particolarmente la libertà religiosa. Essi
favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli».[382]
CONCLUSIONE
La parola definitiva di Dio
121. Al termine di queste
riflessioni con le quali ho voluto raccogliere ed
approfondire la ricchezza della XII Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla
Parola di Dio nella vita e nella missione della
Chiesa, desidero ancora una volta esortare tutto il
Popolo di Dio, i Pastori, le persone consacrate e i
laici ad impegnarsi per diventare sempre più
familiari con le sacre Scritture. Non dobbiamo mai
dimenticare che a fondamento di ogni autentica e
viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio
annunciata, accolta, celebrata e meditata nella
Chiesa. Questo intensificarsi del rapporto con
la divina Parola avverrà con maggiore slancio quanto
più saremo consapevoli di trovarci di fronte, sia
nella sacra Scrittura che nella Tradizione viva
della Chiesa, alla Parola definitiva di Dio sul
cosmo e sulla storia.
Come ci fa contemplare il Prologo del Vangelo di
Giovanni, tutto l’essere sta sotto il segno della
Parola. Il Verbo esce dal Padre e viene a dimorare
tra i suoi e torna nel seno del Padre per portare
con sé tutta la creazione che in Lui e per Lui è
stata creata. Ora la Chiesa vive la sua missione
nella trepidante attesa della manifestazione
escatologica dello Sposo: «lo Spirito e la Sposa
dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). Questa attesa
non è mai passiva, ma tensione missionaria di
annuncio della Parola di Dio che risana e redime
ogni uomo: ancora oggi Gesù risorto ci dice «Andate
in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni
creatura» (Mc 16,15).
Nuova evangelizzazione e nuovo ascolto
122. Per questo, il nostro
dev’essere sempre più il tempo di un nuovo ascolto
della Parola di Dio e di una nuova
evangelizzazione. Riscoprire la centralità della
divina Parola nella vita cristiana ci fa ritrovare
così il senso più profondo di quanto il Papa
Giovanni Paolo II ha richiamato con forza:
continuare la missio ad gentes e
intraprendere con tutte le forze la nuova
evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni dove
il Vangelo è stato dimenticato o soffre
l’indifferenza dei più a causa di un diffuso
secolarismo. Lo Spirito Santo desti negli uomini
fame e susciti sete della Parola di Dio e zelanti
annunciatori e testimoni del Vangelo.
Ad imitazione del grande Apostolo delle genti,
che fu trasformato dopo aver udito la voce del
Signore (cfr At 9,1-30), anche noi ascoltiamo
la divina Parola che ci interpella sempre
personalmente qui ed ora. Lo Spirito Santo, ci
raccontano gli Atti degli Apostoli, si
riservò Paolo insieme a Barnaba per la predicazione
e la diffusione della Buona Novella (cfr 13,2). Così
anche oggi lo Spirito Santo non cessa di chiamare
ascoltatori e annunciatori convinti e persuasivi
della Parola del Signore.
La Parola e la gioia
123. Quanto più sapremo
metterci a disposizione della divina Parola, tanto
più potremo constatare che il mistero della
Pentecoste è in atto anche oggi nella Chiesa di Dio.
Lo Spirito del Signore continua ad effondere i suoi
doni sulla Chiesa perché siamo condotti alla verità
tutta intera, dischiudendo a noi il senso delle
Scritture e rendendoci nel mondo annunciatori
credibili della Parola di salvezza. Ritorniamo così
alla Prima Lettera di san Giovanni. Nella Parola di
Dio, anche noi abbiamo udito, veduto e toccato il
Verbo della vita. Abbiamo accolto per grazia
l’annuncio che la vita eterna si è manifestata,
cosicché noi riconosciamo ora di essere in comunione
gli uni con gli altri, con chi ci ha preceduto nel
segno della fede e con tutti coloro che, sparsi nel
mondo, ascoltano la Parola, celebrano l’Eucaristia,
vivono la testimonianza della carità. La
comunicazione di questo annuncio – ci ricorda
l’apostolo Giovanni – è data perché «la nostra gioia
sia piena» (1 Gv 1,4).
L’Assemblea sinodale ci ha permesso di
sperimentare quanto è contenuto nel messaggio
giovanneo: l’annuncio della Parola crea comunione
e realizza la gioia. Si tratta di una gioia
profonda che scaturisce dal cuore stesso della vita
trinitaria e che si comunica a noi nel Figlio. Si
tratta della gioia come dono ineffabile che il mondo
non può dare. Si possono organizzare feste, ma non
la gioia. Secondo la Scrittura, la gioia è frutto
dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22), che ci
permette di entrare nella Parola e di far sì che la
divina Parola entri in noi portando frutti per la
vita eterna. Annunciando la Parola di Dio nella
forza dello Spirito Santo, desideriamo comunicare
anche la fonte della vera gioia, non di una gioia
superficiale ed effimera, ma di quella che
scaturisce dalla consapevolezza che solo il Signore
Gesù ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68).
«Mater Verbi et Mater laetitiae»
124. Questa intima relazione
tra la Parola di Dio e la gioia è posta in evidenza
proprio nella Madre di Dio. Ricordiamo le parole di
santa Elisabetta: «Beata colei che ha creduto
nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto»
(Lc 1,45). Maria è beata perché ha fede,
perché ha creduto, ed in questa fede ha accolto nel
proprio grembo il Verbo di Dio per donarlo al mondo.
La gioia ricevuta dalla Parola, si può ora dilatare
a tutti coloro che nella fede si lasciano cambiare
dalla Parola di Dio. Il Vangelo di Luca ci
presenta in due testi questo mistero di ascolto e di
gaudio. Gesù afferma: «Mia madre e miei fratelli
sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e
la mettono in pratica» (8,21). E davanti
all’esclamazione di una donna dalla folla che
intende esaltare il grembo che lo ha portato e il
seno che lo ha allattato, Gesù rivela il segreto
della vera gioia: «Beati piuttosto coloro che
ascoltano la parola di Dio e la osservano» (11,28).
Gesù mostra la vera grandezza di Maria, aprendo così
anche a ciascuno di noi la possibilità di quella
beatitudine che nasce dalla Parola accolta e messa
in pratica. Per questo, a tutti i cristiani ricordo
che il nostro personale e comunitario rapporto con
Dio dipende dall’incremento della nostra familiarità
con la divina Parola. Infine, mi rivolgo a tutti gli
uomini, anche a coloro che si sono allontanati dalla
Chiesa, che hanno lasciato la fede o non hanno mai
ascoltato l’annuncio di salvezza. A ciascuno il
Signore dice: «Ecco, sto alla porta e busso. Se
qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io
verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap
3,20).
Ogni nostra giornata sia dunque plasmata
dall’incontro rinnovato con Cristo, Verbo del Padre
fatto carne: Egli sta all’inizio e alla fine e
«tutte le cose sussistono in lui» (Col
1,17). Facciamo silenzio per ascoltare la Parola del
Signore e per meditarla, affinché essa, mediante
l’azione efficace dello Spirito Santo, continui a
dimorare, a vivere e a parlare a noi lungo tutti i
giorni della nostra vita. In tal modo la Chiesa
sempre si rinnova e ringiovanisce grazie alla Parola
del Signore che rimane in eterno (cfr 1 Pt
1,25; Is 40,8). Così anche noi potremo
entrare nel grande dialogo nuziale con cui si chiude
la sacra Scrittura: «Lo Spirito e la sposa dicono:
“Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “Vieni!” … Colui che
attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”. Amen.
Vieni, Signore Gesù». (Ap 22,17.20).
Dato a Roma, presso San Pietro, il 30
settembre, memoria di San Girolamo, dell’anno 2010,
sesto del mio Pontificato.
[3] Cfr Leone XIII, Lett.
enc.
Providentissimus Deus (18 novembre
1893): ASS 26 (1893-94), 269-292;
Benedetto XV, Lett. enc.
Spiritus Paraclitus (15 settembre
1920): AAS 12 (1920), 385-422; Pio
XII, Lett. enc.
Divino afflante Spiritu (30
settembre 1943): AAS 35 (1943),
297-325.
[4] Propositio 2.
[5] Ibidem.
[6] Conc. Ecum. Vat.II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 2.
[7] Ibidem,
4.
[8] Tra gli interventi di
diversa natura si ricordi: Paolo VI, Lett.
ap.
Summi Dei Verbum (4 novembre 1963):
AAS 55 (1963), 979-995; Id., Motu
Proprio
Sedula cura (27 giugno 1971): AAS
63 (1971), 665-669; Giovanni Paolo II,
Udienza Generale
(1° maggio 1985): L’Osservatore
Romano, 2-3 maggio 1985, p. 6;
Id.,
Discorso sull’interpretazione della Bibbia
nella Chiesa
(23 aprile 1993): AAS 86 (1994),
232-243; Benedetto XVI,
Discorso al Congresso Internazionale per
il 40° anniversario della Dei Verbum (16
settembre 2005); AAS 97 (2005),
957; Id.,
Angelus (6 novembre 2005):
Insegnamenti I (2005), 759-760. Sono da
ricordare anche gli interventi della
Pontificia Commissione Biblica, De sacra
Scriptura et Christologia (1984):
Ench. Vat. 9, n. 1208-1339; Unità e
diversità nella Chiesa (11 aprile 1988):
Ench. Vat. 11, n. 544-643;
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993): Ench. Vat. 13, n.
2846-3150;
Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture
nella Bibbia cristiana (24 maggio
2001): Ench. Vat. 20, n. 733-1150;
Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire
cristiano (11 maggio 2008), Città
del Vaticano 2008.
[9] Cfr Benedetto XVI,
Discorso alla Curia Romana (22
dicembre 2008): AAS 101 (2009),
49.
[10] Cfr Propositio
37.
[11] Cfr Pontificia
Commissione Biblica,
Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture
nella Bibbia cristiana (24 maggio
2001), Ench. Vat. 20, n. 733-1150.
[12] Benedetto XVI,
Discorso alla Curia Romana (22
dicembre 2008): AAS 101 (2009),
50.
[13] Cfr Benedetto XVI,
Angelus (4 gennaio 2009):
Insegnamenti V, 1 (2009), 13.
[14] Cfr Relatio ante
disceptationem, I.
[15] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 2.
[16] Benedetto XVI, Lett.
enc.
Deus caritas est (25 dicembre 2005),
1: AAS 98 (2006), 217-218.
[17] Instrumentum
laboris, 9.
[18] Credo
Nicenocostantinopolitano: DS 150.
[19] San Bernardo di
Chiaravalle, Homilia super Missus est,
IV, 11: PL 183, 86 B.
[20] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 10.
[21] Cfr Propositio
3.
[22] Cfr Congregazione
per la Dottrina della Fede, Dichiarazione
sull’unicità e l’universalità salvifica di
Gesù Cristo e della Chiesa
Dominus Iesus (6 agosto 2000),
13-15: AAS 92 (2000), 754-756.
[23] Cfr In Hexaemeron,
XX,5: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp.
425-426; Breviloquium, I, 8: Opera
Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 216-217.
[24] Itinerarium mentis
in Deum, II, 12: Opera Omnia, V,
Quaracchi 1891, pp. 302-303; cfr
Commentarius in librum Ecclesiastes,
Cap. 1, vers. 11, Quaestiones II, 3:
Opera Omnia, VI, Quaracchi 1891, p. 16.
[25] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 3; cfr Conc. Ecum. Vat.
I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei
Filius, cap. 2, De revelatione: DS
3004.
[26] Cfr Propositio
13.
[27] Commissione Teologica
Internazionale,
Alla ricerca di un’etica universale: nuovo
sguardo sulla legge naturale, Città
del Vaticano 2009, n. 39.
[28] Cfr Summa
Theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2.
[29] Cfr Pontificia
Commissione Biblica,
Bibbia e morale. Radici bibliche
dell’agire cristiano (11 maggio
2008), Città del Vaticano 2008, n. 13, 32,
109.
[30] Cfr Commissione
Teologica Internazionale,
Alla ricerca di un’etica universale: nuovo
sguardo sulla legge naturale, Città
del Vaticano 2009, n. 102.
[31] Cfr Benedetto XVI,
Omelia durante l’Ora Terza all’inizio
della I Congregazione Generale del Sinodo
dei Vescovi (6 ottobre 2008): AAS
100 (2008), 758-761.
[32] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 14.
[33] Benedetto XVI, Lett.
enc.
Deus caritas est (25 dicembre 2005),
1: AAS 98 (2006), 217-218.
[34] «Ho Logos
pachynetai (o brachynetai)». Cfr
Origene, Peri Archon, I, 2, 8: SC
252, pp. 127-129.
[35] Benedetto XVI,
Omelia nella solennità della Natività del
Signore (24 dicembre 2006): AAS
99 (2007), 12.
[36] Cfr Messaggio
finale, II, 4-6.
[37] Massimo il
Confessore, La vita di Maria, n. 89:
Testi mariani del primo millennio, 2,
Roma 1989, p. 253.
[38] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 9-10: AAS 99 (2007), 111-112.
[39] Benedetto XVI,
Udienza Generale (15 aprile 2009):
L’Osservatore Romano, 16 aprile 2009,
p. 1.
[40] Id.,
Omelia nella solennità dell’Epifania
(6 gennaio 2009): L’Osservatore
Romano, 7-8 gennaio 2009, p. 8.
[41] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 4.
[42] Propositio 4.
[43] S. Giovanni della
Croce, Salita al Monte Carmelo, II,
22.
[44] Propositio 47.
[45] Catechismo della
Chiesa Cattolica, 67.
[46] Cfr Congregazione per
la dottrina della fede,
Il messaggio di Fatima (26 giugno
2000): Ench. Vat. 19, n.
974-1021.
[47] Adversus haereses,
IV, 7, 4: PG 7, 992-993; V, 1, 3:
PG 7, 1123; V, 6, 1: PG 7, 1137;
V, 28, 4: PG 7, 1200.
[48] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 12: AAS 99 (2007), 113-114.
[49] Cfr Propositio
5.
[50] Adversus haereses,
III, 24, 1: PG 7, 966.
[51] Homiliae in
Genesim, XXII, 1: PG 53, 175.
[52] Epistula 120,
10: CSEL 55, pp. 500-506.
[53] Homiliae in
Ezechielem, I, VII, 17: CC 142,
p. 94.
[54] «Oculi ergo devotae
animae sunt columbarum quia sensus eius per
Spiritum sanctum sunt illuminati et edocti,
spiritualia sapientes… Nunc quidem aperitur
animae talis sensus, ut intellegat
Scripturas»: Riccardo di San Vittore,
Explicatio in Cantica canticorum, 15:
PL 196, 450 B. D.
[55] Sacramentarium
Serapionis II (XX): Didascalia et
Constitutiones apostolorum, ed. F.X.
Funk, II, Paderborn 1906, p. 161.
[56] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 7.
[57] Ibidem, 8.
[58] Ibidem.
[59] Cfr Propositio
3.
[60] Cfr Messaggio
finale, II, 5.
[61] Expositio
Evangelii secundum Lucam 6, 33: PL
15, 1677.
[62] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 13.
[63] Catechismo della
Chiesa Cattolica, 102. Cfr anche Ruperto
di Deutz, De operibus Spiritus Sancti,
I, 6: SC 131, pp. 72-74.
[64] Enarrationes in
Psalmos, 103, IV, 1: PL 37, 1378.
Analoghe affermazioni in Origene, In
Iohannem V, 5-6: SC 120, pp.
380-384.
[65] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 21.
[66] Ibidem, 9.
[67] Cfr Propositiones
5.12.
[68] Cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina
Rivelazione
Dei Verbum, 12.
[69] Cfr Propositio
12.
[70] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 11
[71] Propositio 4.
[72] Prol.: Opera
Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202.
[73] Cfr Benedetto XVI,
Discorso agli uomini di cultura al
«Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100
(2008), 721-730.
[74] Cfr Propositio
4.
[75] Cfr Relatio post
disceptationem, 12.
[76] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 5.
[77] Propositio 4.
[78] Ad esempio Dt
28,1-2.15.45; 32,1; tra i profeti cfr
Ger 7,22-28; Ez 2,8; 3,10; 6,3;
13,2; fino agli ultimi: cfr Zac 3,8.
Per san Paolo cfr Rm 10,14-18; 1
Tes 2,13.
[79] Propositio 55.
[80] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 33: AAS 99 (2007), 132-133.
[81] Id., Lett. enc.
Deus caritas est (25 dicembre 2005),
41: AAS 98 (2006), 251.
[82] Propositio 55.
[83] Cfr Expositio
Evangelii secundum Lucam 2, 19: PL
15, 1559-1560.
[84] Breviloquium,
Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891,
pp. 201-202.
[85] Summa Theologiae,
Ia-IIae, q. 106, art.2.
[86] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), III, A, 3: Ench. Vat.
13,
n. 3035.
[87] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 12.
[88] Contra epistolam
Manichaei quam vocant fundamenti, V, 6:
PL 42, 176.
[89] Cfr Benedetto XVI,
Udienza Generale (14 novembre 2007):
Insegnamenti III, 2 (2007), 586-591.
[90] Commentariorum in
Isaiam libri, Prol.: PL
24, 17.
[91] Epistula 52,
7: CSEL 54, p. 426.
[92] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), II, A, 2: Ench.
Vat. 13,
n. 2988.
[93] Ibidem, II, A,
2: Ench. Vat. 13, n. 2991.
[94] Homiliae in
Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843
D.
[95] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 24; cfr Leone XIII,
Lett. enc.
Providentissimus Deus (18 novembre
1893), Pars II, sub fine: ASS
26 (1893-94), 269-292; Benedetto XV, Lett.
enc.
Spiritus Paraclitus (15 settembre
1920), Pars III: AAS 12
(1920), 385-422.
[96] Cfr Propositio
26.
[97] Cfr Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), A-B: Ench. Vat. 13,
n. 2846-3150.
[98] Benedetto XVI,
Intervento nella XIV Congregazione
Generale del Sinodo (14 ottobre 2008):
Insegnamenti IV, 2 (2008), 492; cfr
Propositio 25.
[99] Id.,
Discorso agli uomini di cultura al
«Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100
(2008), 722-723.
[100] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 10.
[101] Cfr Giovanni Paolo
II,
Discorso in occasione del 100º
anniversario della Providentissimus Deus
e del 50º anniversario della Divino
afflante Spiritu (23 aprile 1993):
AAS 86 (1994), 232-243.
[102] Ibidem, n. 4:
AAS 86 (1994), 235.
[103] Ibidem, n. 5:
AAS 86 (1994), 235.
[104] Ibidem, n. 5:
AAS 86 (1994), 236.
[105] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), III, C, 1: Ench.
Vat. 13,
n. 3065.
[106] N. 12.
[107] Benedetto XVI,
Intervento nella XIV Congregazione
Generale del Sinodo (14 ottobre 2008):
Insegnamenti IV, 2 (2008), 493; cfr
Propositio 25.
[108] Cfr Propositio
26.
[109] Propositio
27.
[110] Benedetto XVI,
Intervento nella XIV Congregazione
Generale del Sinodo (14 ottobre 2008):
Insegnamenti IV, 2 (2008), 493; cfr
Propositio 26.
[111] Cfr ibidem.
[112] Ibidem.
[113] Cfr Propositio
27.
[114] Benedetto XVI,
Intervento nella XIV Congregazione
Generale del Sinodo (14 ottobre 2008):
Insegnamenti IV, 2 (2008), 493-494.
[115] Giovanni Paolo II,
Lett. enc.
Fides et ratio (14 settembre 1998),
55: AAS 91 (1999), 49-50.
[116] Cfr Benedetto XVI,
Discorso al IV Convegno nazionale
ecclesiale in Italia (19 ottobre 2006):
AAS 98 (2006), 804-815.
[117] Cfr Propositio
6.
[118] Cfr S. Agostino,
De libero arbitrio, III, XXI, 59: PL
32, 1300; De Trinitate, II, I, 2:
PL 42, 845.
[119] Congregazione per
l’Educazione Cattolica, Istr. Inspectis
dierum (10 novembre 1989), 26: AAS
82 (1990), 618.
[120] Catechismo della
Chiesa Cattolica, 116.
[121] Summa Theologiae,
I, q. 1, art. 10, ad 1.
[122] Catechismo della
Chiesa Cattolica, 118.
[123] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), II, A, 2: Ench.
Vat. 13,
n. 2987.
[124] Ibidem, II, B
2: Ench. Vat. 13, n. 3003.
[125] Benedetto XVI,
Discorso agli uomini di cultura al
«Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100
(2008), 726.
[126] Ibidem.
[127] Cfr Id.,
Udienza Generale (9 gennaio 2008):
Insegnamenti IV, 1 (2008), 41-45.
[128] Cfr Propositio
29.
[129] De arca Noe,
2, 8: PL 176, 642 C-D.
[130] Cfr Benedetto XVI,
Discorso agli uomini di cultura al
«Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100
(2008), 725.
[131] Cfr Propositio
10; Pontificia Commissione Biblica,
Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture
nella Bibbia cristiana (24 maggio
2001), 3-5: Ench. Vat. 20, n.
748-755.
[132] Cfr Catechismo
della Chiesa Cattolica, 121-122.
[133] Propositio
52.
[134] Cfr Pontificia
Commissione Biblica,
Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture
nella Bibbia cristiana (24 maggio
2001), 19: Ench. Vat. 20, n. 799-801;
Origene, Omelia sui Numeri 9, 4:
SC 415, pp. 238-242.
[135] Catechismo della
Chiesa Cattolica, 128.
[136] Ibidem, 129.
[137] Propositio
52.
[138] Quaestiones in
Heptateuchum, 2, 73: PL 34, 623.
[139] Homiliae in
Ezechielem, I, VI, 15: PL 76, 836
B.
[140] Propositio
29.
[141] Giovanni Paolo II,
Messaggio al Rabbino Capo di Roma (22
maggio 2004): Insegnamenti,
XXVII, 1 (2004), 655.
[142] Pontificia
Commissione Biblica,
Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture
nella Bibbia cristiana (24 maggio
2001), 87: Ench. Vat. 20, n. 1150.
[143] Cfr Benedetto XVI,
Discorso di congedo all’Aeroporto Ben
Gurion di Tel Aviv (15 maggio 2009):
Insegnamenti V, 1 (2009),
847-849.
[144] Giovanni Paolo II,
Discorso ai Rabbini Capi di Israele
(23 marzo 2000): Insegnamenti
XXIII, 1 (2000), 434.
[145] Cfr Propositiones
46.47.
[146] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), I, F: Ench. Vat.
13, n. 2974.
[147] Cfr Benedetto XVI,
Discorso agli uomini di cultura al
«Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100
(2008), 726.
[148] Propositio
46.
[149] Propositio
28.
[150] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 23.
[151] Si ricorda,
comunque, che, per quanto riguarda i
cosiddetti Libri Deuterocanonici dell’Antico
Testamento e la loro ispirazione, Cattolici
e Ortodossi non hanno esattamente lo stesso
canone biblico di Anglicani e Protestanti.
[152] Cfr Relatio post
disceptationem, 36.
[153] Propositio
36.
[154] Cfr Benedetto XVI,
Discorso all’XI Consiglio Ordinario della
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi
(25 gennaio 2007): AAS 99
(2007), 85-86.
[155] Conc. Ecum. Vat. II,
Decr. sull’Ecumenismo
Unitatis redintegratio, 21.
[156] Cfr Propositio
36.
[157] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 10.
[158] Lett. enc.
Ut unum sint (25 maggio 1995), 44:
AAS 87 (1995), 947.
[159] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 10.
[160] Ibidem.
[161] Cfr ibidem,
24.
[162] Cfr Propositio
22.
[163] S. Gregorio Magno,
Moralia in Job XXIV, VIII, 16: PL
76, 295.
[164] Cfr S. Atanasio,
Vita Antonii, II: PL 73, 127.
[165] Moralia, Regula
LXXX, XXII: PG 31, 867.
[166] Regola, 73,
3: SC 182, p. 672.
[167] Tommaso da Celano,
La vita prima di S. Francesco, IX,
22: FF 356.
[168] Regola, I,
1-2: FF 2750.
[169] B. Giordano da
Sassonia, Libellus de principiis Ordinis
Praedicatorum, 104: Monumenta Fratrum
Praedicatorum Historica, Roma 1935, 16,
p. 75.
[170] Ordine dei Frati
Predicatori, Prime Costituzioni o
Consuetudines, II, XXXI.
[171] Vita 40, 1.
[172] Cfr Storia di una
anima, Ms B 3r°.
[173] Ibidem, Ms C
35v°.
[174] In Iohannis
Evangelium Tractatus, I,12: PL
35, 1385.
[175] Lett. enc.
Veritatis splendor (6 agosto 1993),
25: AAS 85 (1993), 1153.
[176] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 8.
[177] Relatio post
disceptationem, 11.
[178] N. 1.
[179] Benedetto XVI,
Discorso al Convegno internazionale «La
Sacra Scrittura nella vita della Chiesa»
(16 settembre 2005): AAS 97
(2005), 956.
[180] Cfr Relatio post
disceptationem, 10.
[181] Messaggio finale,
III, 6.
[182] Conc. Ecum. Vat.II,
Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 24.
[183] Ibidem, 7.
[184] Ordinamento delle
letture della Messa, 4.
[185] Ibidem, 9.
[186] Ibidem, 3;
cfr L c 4, 16-21; 24, 25-35.44-49.
[187] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 102.
[188] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007) 44-45: AAS 99 (2007), 139-141.
[189] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), IV, C, 1:
Ench. Vat. 13, n. 3123.
[190] Ibidem, III,
B, 3: Ench. Vat. 13, n. 3056.
[191] Cfr Cost. sulla
sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 48.51.56;
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 21.26; Decr.
sull’attività missionaria della Chiesa
Ad gentes 6.15; Decr. sul ministero
e la vita dei presbiteri
Presbyterorum ordinis, 18;
Decr. sul rinnovamento della vita religiosa
Perfectae caritatis, 6. Nella grande
Tradizione della Chiesa troviamo espressioni
significative come: «Corpus Christi
intelligitur etiam [...] Scriptura
Dei» (anche la Scrittura di Dio si
considera Corpo di Cristo): Waltramus, De
unitate Ecclesiae conservanda, 1,14, ed.
W. Schwenkenbecher, Hannoverae 1883, p. 33;
«La carne del Signore è vero cibo e il suo
sangue vera bevanda; questo è il vero bene
che ci è riservato nella vita presente,
nutrirsi della sua carne e bere il suo
sangue, non solo nell’Eucaristia, ma anche
nella lettura della Sacra Scrittura. Infatti
è vero cibo e vera bevanda la parola di Dio
che si attinge dalla conoscenza delle
Scritture»: S. Girolamo, Commentarius in
Ecclesiasten, III: PL 23, 1092 A.
[192] J. Ratzinger
(Benedetto XVI), Gesù di Nazaret,
Milano 2007, 311.
[193] Ordinamento delle
letture della Messa, 10.
[194] Ibidem.
[195] Cfr Propositio
7.
[196] Lett. enc.
Fides et ratio (14 settembre 1998),
13: AAS 91 (1999), 16.
[197] Cfr Catechismo
della Chiesa Cattolica, 1373-1374.
[198] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 7.
[199] In Psalmum
147: CCL 78, 337-338.
[200] Conc. Ecum. Vat.II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 2.
[201] Cfr Cost. sulla
sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 107-108.
[202] Ordinamento delle
letture della Messa, 66.
[203] Propositio
16.
[204] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007) 45: AAS 99 (2007), 140-141.
[205] Cfr Propositio
14.
[206] Cfr Codice di
Diritto Canonico, cann. 230 § 2; 204 §
1.
[207] Ordinamento delle
letture della Messa, 55.
[208] Ibidem, 8.
[209] N. 46: AAS 99
(2007), 141.
[210] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 25.
[211] Propositio 15.
[212] Ibidem.
[213] Sermo 179,1:
PL 38, 966.
[214] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 93: AAS 99 (2007), 177.
[215] Congregazione per il
Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,
Compendium eucharisticum (25 marzo
2009), Città del Vaticano 2009.
[216] Epistula
52,7: CSEL 54, 426-427.
[217] Propositio 8.
[218] Rito della
Penitenza, 17.
[219] Ibidem, 19.
[220] Propositio 8.
[221] Propositio
19.
[222] Principi e norme
per la Liturgia delle Ore, III, 15.
[223] Cost. sulla sacra
Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 85.
[224] Cfr Codice di
Diritto Canonico, cann. 276 § 3;
1174 § 1.
[225] Cfr Codice dei
Canoni delle Chiese Orientali, cann.
377; 473, § 1 e 2, 1°; 538 § 1; 881 § 1.
[226] Benedizionale,
Premesse Generali, 21.
[227] Cfr Propositio
18; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra
Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 35.
[228] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 75; AAS 99 (2007), 162-163.
[229] Ibidem.
[230] Congregazione per il
Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,
Direttorio su pietà popolare e liturgia,
Principi e orientamenti (17
dicembre 2001), 87: Ench. Vat. 20,
n. 2461.
[231] Cfr Propositio
14.
[232] Cfr S. Ignazio di
Antiochia, Ad Ephesios XV, 2:
Patres Apostolici, ed. F.X. Funk,
Tubingae 1901, I, 224.
[233] Cfr S. Agostino,
Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo
120,2: PL 38,677.
[234] Ordinamento
Generale del Messale Romano, 56.
[235] Ibidem, 45;
cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra
Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 30.
[236] Ordinamento delle
letture della Messa, 13.
[237] Cfr ibidem,
17.
[238] Propositio
40.
[239] Cfr
Ordinamento Generale del Messale Romano,
309.
[240] Cfr Propositio
14.
[241] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 69: AAS 99 (2007), 157.
[242] Cfr
Ordinamento Generale del Messale Romano,
57.
[243] Propositio
14.
[244] Cfr il canone 36 del
Sinodo di Ippona dell’anno 393: DS,
186.
[245] Cfr Giovanni Paolo
II, Lett. ap.
Vicesimus quintus annus (4 dicembre
1988), 13: AAS 81 (1989), 910;
Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti,
Redemptionis sacramentum Istruzione
su alcune cose che si devono osservare ed
evitare circa la Santissima Eucaristia (25
marzo 2004), 62: Ench. Vat. 22, n.
2248.
[246] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 116;
Ordinamento Generale del Messale Romano,
41.
[247] Cfr Propositio
14.
[248] Propositio 9.
[249] Epistula 30,
7: CSEL 54, p. 246.
[250] Id., Epistula
133, 13: CSEL 56, p. 260.
[251] Id., Epistula
107, 9.12: CSEL 55, pp. 300.302.
[252] Id., Epistula
52, 7: CSEL 54, p. 426.
[253] Giovanni Paolo II,
Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio
2001), 31: AAS 93 (2001), 287-288.
[254] Propositio
30; Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 24.
[255] S. Girolamo,
Commentariorum in Isaiam libri, Prol.:
PL 24, 17 B.
[256] Propositio
21.
[257] Cfr Propositio
23.
[258] Cfr Congregazione
per il Clero,
Direttorio generale per la catechesi
(15 agosto 1997), 94-96: Ench. Vat.,
16, n. 875-878; Giovanni Paolo II, Esort.
ap.
Catechesi tradendae (16 ottobre
1979), 27: AAS 71 (1979), 1298-1299.
[259] Ibidem, 127:
Ench. Vat. 16, n. 935; cfr Giovanni
Paolo II, Esort. ap.
Catechesi tradendae (16 ottobre
1979), 27: AAS 71 (1979), 1299.
[260] Ibidem, 128:
Ench. Vat. 16, n. 936.
[261] Cfr Propositio
33.
[262] Cfr Propositio
45.
[263] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen gentium, 39-42.
[264] Propositio 31.
[265] N. 15: AAS 96
(2004), 846-847.
[266] N. 26: AAS 84
(1992), 698.
[267] Ibidem.
[268] Benedetto XVI,
Omelia nella Messa del Crisma (9
aprile 2009): AAS 101 (2009),
355.
[269] Ibidem, 356.
[270] Congregazione per
l’Educazione Cattolica,
Norme fondamentali per la formazione dei
diaconi permanenti (22 febbraio
1998), 11: Ench. Vat. 17, n. 174-175.
[271] Ibidem, 74:
Ench. Vat. 17, n. 263.
[272] Cfr ibidem,
81: Ench. Vat. 17, n. 271.
[273] Propositio
32.
[274] Cfr Giovanni Paolo
II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis (25 marzo 1992),
47: AAS 84 (1992), 740-742.
[275] Propositio
24.
[276] Benedetto XVI,
Omelia nella Giornata Mondiale della Vita
Consacrata (2 febbraio 2008): AAS
100 (2008), 133; cfr Giovanni Paolo II,
Esort. ap. postsinodale
Vita consecrata (25 marzo 1996), 82:
AAS 88 (1996), 458-460.
[277] Congregazione per
gli Istituti di Vita Consacrata e le Società
di Vita Apostolica, Istruzione
Ripartire da Cristo: un rinnovato impegno
della Vita consacrata nel terzo millennio
(19 maggio 2002), 24: Ench. Vat. 21,
n. 447.
[278] Cfr Propositio
24.
[279] S. Benedetto,
Regola, IV, 21: SC 181, pp.
456-458.
[280] Benedetto XVI,
Discorso nella visita all’Abbazia di
«Heiligenkreuz» (9 settembre 2007):
AAS 99 (2007), 856.
[281] Cfr Propositio
30.
[282] Giovanni Paolo II,
Esort. ap. postsinodale
Christifideles laici (30 dicembre
1988), 17: AAS 81 (1989), 418.
[283] Cfr Propositio
33.
[284] Giovanni Paolo II,
Esort. ap.
Familiaris consortio (22 novembre
1981), 49: AAS 74 (1982), 140-141.
[285] Propositio
20.
[286] Cfr Propositio
21.
[287] Propositio
20.
[288] Cfr Lett. ap.
Mulieris dignitatem (15 agosto
1988), 31: AAS 80 (1988), 1727-1729.
[289] Propositio
17.
[290] Cfr Propositiones
9.22.
[291] N. 25.
[292] Enarrationes in
Psalmos, 85, 7: PL 37, 1086.
[293] Origene, Epistola
ad Gregorium, 3: PG 11,92.
[294] Benedetto XVI,
Discorso agli alunni del Seminario Romano
Maggiore (19 febbraio 2007): AAS
99 (2007), 253-254.
[295] Cfr Id., Esort. ap.
postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 66: AAS 99 (2007), 155-156.
[296] Messaggio finale,
III, 9.
[297] Cfr ibidem.
[298] «Plenaria
indulgentia conceditur christifideli qui
Sacram Scripturam, iuxta textum a competenti
auctoritate adprobatum, cum veneratione
divino eloquio debita et ad modum lectionis
spiritalis, per dimidiam saltem horam
legerit; si per minus tempus id egerit
indulgentia erit
partialis»: Paenitentiaria Apostolica,
Enchiridion Indulgentiarum. Normae et
concessiones (16 luglio 1999), 30, § 1.
[299] Cfr Catechismo
della Chiesa Cattolica, 1471-1479.
[300] Paolo VI, Cost. ap.
Indulgentiarum doctrina (1 gennaio
1967): AAS 59 (1967), 18-19.
[301] Cfr Epistula
49, 3: PL 16, 1204A.
[302] Cfr Congregazione
per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti,
Direttorio su pietà popolare e liturgia.
Principi e orientamenti (17
dicembre 2001), 197-202: Ench. Vat.
20,
n. 2638-2643.
[303] Cfr Propositio
55.
[304] Cfr Giovanni Paolo
II, Lett. ap.
Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre
2002): AAS 95 (2003), 5-36.
[305] Propositio
55.
[306] Cfr Congregazione
per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti,
Direttorio su pietà popolare e liturgia.
Principi e orientamenti (17
dicembre 2001), 207: Ench. Vat. 20,
n. 2656-2657.
[307] Cfr Propositio
51.
[308] Benedetto XVI,
Omelia nella S. Messa presso la Valle di
Josafat, Gerusalemme (12 maggio 2009):
AAS 101 (2009), 473.
[309] Cfr Epistula
108, 14: CSEL 55, p. 324-325.
[310] Adversus haereses,
IV, 20, 7: PG 7, 1037.
[311] Benedetto XVI, Lett.
enc. Spe salvi (30 novembre 2007),
31: AAS 99 (2007), 1010.
[312] Benedetto XVI,
Discorso agli uomini di cultura al
«Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100
(2008), 730.
[313] Cfr In Evangelium
secundum Matthaeum 17, 7: PG 13,
1197 B; S. Girolamo, Translatio
homiliarum Origenis in Lucam, 36: PL
26, 324-325.
[314] Cfr Benedetto XVI,
Omelia per l’apertura della XII Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
(5 ottobre 2008): AAS 100
(2008), 757.
[315] Propositio
38.
[316] Cfr Congregazione
per gli Istituti di Vita Consacrata e le
Società di Vita Apostolica, Istruzione
Ripartire da Cristo: un rinnovato impegno
della Vita consacrata nel terzo millennio
(19 maggio 2002), 36: Ench. Vat. 21,
n. 488-491.
[317] Propositio
30.
[318] Cfr Propositio
38.
[319] Cfr Propositio
49.
[320] Cfr Giovanni Paolo
II, Lett. enc.
Redemptoris missio (7 dicembre
1990): AAS 83 (1991), 294-340; Id.,
Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio
2001), 40: AAS 93 (2001), 294-295.
[321] Propositio
38.
[322] Cfr Benedetto XVI,
Omelia per l’apertura della XII Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
(5 ottobre 2008): AAS 100
(2008), 753-757.
[323] Propositio
38.
[324] Messaggio finale,
IV, 12.
[325] Paolo VI, Esort. ap.
Evangelii nuntiandi (8 dicembre
1975), 22: AAS 68 (1976), 20.
[326] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Dich. sulla libertà religiosa
Dignitatis humanae, 2.7.
[327] Cfr Propositio
39.
[328] Cfr Benedetto XVI,
Messaggio per la Giornata Mondiale della
Pace 2009 (8 dicembre 2008):
Insegnamenti IV, 2 (2008), 792-802.
[329] Esort. ap.
Evangelii nuntiandi (8 dicembre
1975), 19: AAS 68 (1976), 18.
[330] Cfr Propositio
39.
[331] Giovanni XXIII,
Lett. enc.
Pacem in terris (11 aprile 1963), I:
AAS 55 (1963), 259.
[332] Cfr Giovanni Paolo
II, Lett. enc.
Centesimus annus (1° maggio 1991),
47: AAS 83 (1991), 851-852; Id.,
Discorso all’Assemblea generale delle
Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 13:
AAS 71 (1979), 1152-1153.
[333] Cfr
Compendio della dottrina sociale della
Chiesa, 152-159.
[334] Cfr Benedetto XVI,
Messaggio per la Giornata Mondiale della
Pace 2007 (8 dicembre 2006), 10:
Insegnamenti II,2 (2006), 780.
[335] Cfr Propositio
8.
[336] Benedetto XVI,
Omelia
(25 gennaio 2009): Insegnamenti
V, 1 (2009), 141.
[337] Id.,
Omelia in occasione della conclusione
della XII Assemblea Generale Ordinaria del
Sinodo dei Vescovi (26 ottobre 2008):
AAS 100 (2008), 779.
[338] Propositio 11.
[339] Benedetto XVI, Lett.
enc.Deus
caritas est (25 dicembre 2005), 28:
AAS 98 (2006), 240.
[340] De doctrina
christiana, I, 35, 39 – 36, 40: PL
34, 34.
[341] Cfr Benedetto XVI,
Messaggio per la XXI Giornata Mondiale
della Gioventù (22 febbraio 2006):
AAS 98 (2006), 282-286.
[342] Cfr Propositio
34.
[343] Cfr ibidem.
[344] Omelia (24
aprile 2005): AAS 97 (2005), 712.
[345] Cfr Propositio
38.
[346] Benedetto XVI,
Omelia in occasione della XVII Giornata
Mondiale del Malato (11 febbraio 2009):
Insegnamenti V, 1 (2009), 232.
[347] Cfr Propositio
35.
[348] Propositio 11.
[349] Cfr Benedetto XVI,
Lett. enc.
Deus caritas est (25 dicembre 2005),
25: AAS 98 (2006), 236-237.
[350] Propositio 11.
[351] Benedetto XVI,
Omelia
(1° gennaio 2009): Insegnamenti
V, 1 (2009), 5.
[352] Propositio
54.
[353] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 92: AAS 99 (2007), 176-177.
[354] Giovanni Paolo II,
Discorso all’UNESCO (2 giugno 1980),
6: AAS 72 (1980), 738.
[355] Cfr Propositio
41.
[356] Cfr Ibidem.
[357] Cfr Giovanni Paolo
II, Lett. enc.
Fides et ratio (14 settembre 1998),
80: AAS 91 (1999), 67-68.
[358] Cfr
Lineamenta 23.
[359] Cfr Propositio
40.
[360] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Decr. sugli strumenti di comunicazione
sociale
Inter mirifica; Pontificio Consiglio
delle Comunicazioni Sociali, Istr. past.
Communio et progressio sugli
strumenti della comunicazione sociale
pubblicata per disposizione del Concilio
Ecumenico Vaticano II (23 maggio 1971):
AAS 63 (1971), 593-656; Giovanni Paolo
II, Lett. ap.
Il rapido sviluppo (24 gennaio
2005): AAS 97 (2005), 265-274;
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali,
Istr. past. sulle comunicazioni sociali nel
20° Anniversario della «Communio et
progressio» Aetatis novae
(22 febbraio 1992): AAS 84
(1992), 447-468; Id.,
La Chiesa e internet
(22 febbraio 2002): Ench. Vat.
21, n. 66-95; Id.,
Etica in internet (22 febbraio
2002): Ench. Vat. 21, n. 96-127.
[361] Cfr Messaggio
finale, IV,11; Benedetto XVI,
Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali (24
gennaio 2009): Insegnamenti V, 1
(2009), 123-127.
[362] Cfr Propositio
44.
[363] Giovanni Paolo II,
Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali (24
gennaio 2002), 6: Insegnamenti, XXV,
1 (2002), 94-95.
[364] Cfr Esort. ap.
Evangelii nuntiandi (8 dicembre
1975), 20: AAS 68 (1976), 18-19.
[365] Cfr Benedetto XVI,
Esort. ap. postsinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio
2007), 78: AAS 99 (2007), 165.
[366] Cfr Propositio
48.
[367] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
(15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat.
13, n. 3112.
[368] Cfr Conc. Ecum. Vat.
II, Decr. sull’attività missionaria della
Chiesa
Ad gentes, 22; Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa,
(15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat.
13, n. 3111-3117.
[369] Giovanni Paolo II,
Discorso ai Vescovi del Kenia (7
maggio 1980), 6: AAS 72 (1980),
497.
[370] Cfr
Instrumentum laboris 56.
[371] Pontificia
Commissione Biblica,
L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa,
(15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat.
13, n. 3113.
[372] Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione
Dei Verbum, 22.
[373] Cfr Propositio
42.
[374] Cfr Propositio
43.
[375] Benedetto XVI,
Omelia durante l’Ora Terza all’inizio
della I Congregazione Generale dei Sinodo
dei Vescovi (6 ottobre 2008): AAS
100 (2008), 760.
[376] Fra i numerosi
interventi di diverso genere si ricordi:
Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Dominum et vivificantem (18 maggio
1986): AAS 78 (1986), 809-900; Id.,
Lett. enc.
Redemptoris missio (7 dicembre
1990): AAS 83 (1991), 249-340; Id.,
Discorsi ed Omelie ad Assisi in occasione
della Giornata di preghiera per la pace il
27 ottobre 1986: Insegnamenti IX, 2,
(1986), 1249-1273; Giornata di Preghiera per
la Pace nel Mondo (24 gennaio 2002):
Insegnamenti XXV, 1 (2002), 97-108;
Congregazione per la Dottrina della Fede,
Dichiarazione Dominus Iesus
sull’unicità e l’universalità salvifica di
Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto
2000): AAS 92 (2000), 742-765.
[377] Cfr. Conc. Ecum.
Vat. II, Dich. sulle relazioni della Chiesa
con le religioni non cristiane
Nostra aetate, 3.
[378] Cfr Benedetto XVI,
Discorso ad Ambasciatori dei Paesi a
maggioranza musulmana accreditati presso la
Santa Sede (25 settembre 2006):
AAS 98 (2006), 704-706.
[379] Cfr Propositio
53.
[380] Cfr Propositio
50.
[381] Ibidem.
[382] Giovanni Paolo II,
Discorso nell’incontro con i giovani
musulmani a Casablanca in Marocco (19
agosto 1985), 5: AAS 78 (1986),
99.
Fonti: Vaticano
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