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Ordine
Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo
Gran Priorato
d'Italia |
Concilio
Vaticano
II°
PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
COSTITUZIONE
PASTORALE
SULLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO (1)
GAUDIUM
ET SPES
PROEMIO
1. Intima unione della
Chiesa con l'intera famiglia umana.
Le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei
poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di
genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
La loro comunità, infatti, è
composta di uomini i quali, riuniti insieme nel
Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro
pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno
ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a
tutti.
Perciò la comunità dei cristiani
si sente realmente e intimamente solidale con il
genere umano e con la sua storia.
2. A chi si rivolge il
Concilio.
Per questo il Concilio Vaticano II,
avendo penetrato più a fondo il mistero della
Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non
più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che
invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A
tutti vuol esporre come esso intende la presenza e
l'azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il
mondo che esso ha presente è perciò quello degli
uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto
di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il
mondo che è teatro della storia del genere umano, e
reca i segni degli sforzi dell'uomo, delle sue
sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i
cristiani credono creato e conservato in esistenza
dall'amore del Creatore: esso è caduto, certo, sotto
la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce
e la risurrezione ha spezzato il potere del Maligno
e l'ha liberato e destinato, secondo il proposito
divino, a trasformarsi e a giungere al suo
compimento.
3. A servizio dell'uomo.
Ai nostri giorni l'umanità, presa
d'ammirazione per le proprie scoperte e la propria
potenza, agita però spesso ansiose questioni
sull'attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul
compito dell'uomo nell'universo, sul senso dei
propri sforzi individuali e collettivi, e infine sul
destino ultimo delle cose e degli uomini. Per questo
il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di
tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo,
non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di
solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera
famiglia umana, dentro la quale è inserito, che
instaurando con questa un dialogo sui vari problemi
sopra accennati, arrecando la luce che viene dal
Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le
energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida
dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si
tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare
l'umana società.
È l'uomo dunque, l'uomo
considerato nella sua unità e nella sua totalità,
corpo e anima, l'uomo cuore e coscienza, pensiero e
volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra
esposizione.
Pertanto il santo Concilio,
proclamando la grandezza somma della vocazione
dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino,
offre all'umanità la cooperazione sincera della
Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità
universale che corrisponda a tale vocazione.
Nessuna ambizione terrena spinge
la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare,
sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera
stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a
rendere testimonianza alla verità (2), a salvare e
non a condannare, a servire e non ad essere servito
(3) .
LA CONDIZIONE DELL'UOMO
NEL MONDO CONTEMPORANEO
4. Speranze e angosce.
Per svolgere questo compito, è
dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni
dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo,
così che, in modo adatto a ciascuna generazione,
possa rispondere ai perenni interrogativi degli
uomini sul senso della vita presente e futura e
sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti
conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le
sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere
spesso drammatico. Ecco come si possono delineare le
caratteristiche più rilevanti del mondo
contemporaneo. L'umanità vive oggi un periodo nuovo
della sua storia, caratterizzato da profondi e
rapidi mutamenti che progressivamente si estendono
all'insieme del globo. Provocati dall'intelligenza e
dall'attività creativa dell'uomo, si ripercuotono
sull'uomo stesso, sui suoi giudizi e sui desideri
individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e
d'agire, sia nei confronti delle cose che degli
uomini. Possiamo così parlare di una vera
trasformazione sociale e culturale, i cui riflessi
si ripercuotono anche sulla vita religiosa.
Come accade in ogni crisi di
crescenza, questa trasformazione reca con sé non
lievi difficoltà.
Così, mentre l'uomo tanto
largamente estende la sua potenza, non sempre riesce
però a porla a suo servizio. Si sforza di penetrare
nel più intimo del suo essere, ma spesso appare più
incerto di se stesso. Scopre man mano più
chiaramente le leggi della vita sociale, ma resta
poi esitante sulla direzione da imprimervi. Mai il
genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze,
possibilità e potenza economica; e tuttavia una
grande parte degli abitanti del globo è ancora
tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere
moltitudini non sanno né leggere né scrivere.
Mai come oggi gli uomini hanno
avuto un senso così acuto della libertà, e intanto
sorgono nuove forme di schiavitù sociale e psichica.
E mentre il mondo avverte così
lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza
dei singoli in una necessaria solidarietà,
violentemente viene spinto in direzioni opposte da
forze che si combattono; infatti, permangono ancora
gravi contrasti politici, sociali, economici,
razziali e ideologici, né è venuto meno il pericolo
di una guerra capace di annientare ogni cosa.
Aumenta lo scambio delle idee; ma
le stesse parole con cui si esprimono i più
importanti concetti, assumono nelle differenti
ideologie significati assai diversi.
Infine, con ogni sforzo si vuol
costruire un'organizzazione temporale più perfetta,
senza che cammini di pari passo il progresso
spirituale.
Immersi in così contrastanti
condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono
in grado di identificare realmente i valori perenni
e di armonizzarli dovutamente con le scoperte
recenti.
Per questo sentono il peso della
inquietudine, tormentati tra la speranza e
l'angoscia, mentre si interrogano sull'attuale
andamento del mondo.
Questo sfida l'uomo, anzi lo
costringe a darsi una risposta.
5. Profonde mutazioni.
Il presente turbamento degli
spiriti e la trasformazione delle condizioni di vita
si collegano con un più radicale modificazione, che
tende al predominio, nella formazione dello spirito,
delle scienze matematiche, naturali e umane, mentre
sul piano dell'azione Si affida alla tecnica,
originata da quelle scienze. Questa mentalità
scientifica modella in modo diverso da prima la
cultura e il modo di pensare. La tecnica poi è tanto
progredita, da trasformare la faccia della terra e
da perseguire ormai la conquista dello spazio
ultraterrestre. Anche sul tempo l'intelligenza umana
accresce in certo senso il suo dominio: sul passato
mediante l'indagine storica, sul futuro con la
prospettiva e la pianificazione. Non solo il
progresso delle scienze biologiche, psicologiche e
sociali dà all'uomo la possibilità di una migliore
conoscenza di sé, ma lo mette anche in condizioni di
influire direttamente sulla vita delle società,
mediante l'uso di tecniche appropriate.
Parimenti l'umanità sempre più si
preoccupa di prevedere e controllare il proprio
incremento demografico. Il movimento stesso della
storia diventa così rapido, da poter difficilmente
esser seguito dai singoli uomini. Unico diventa il
destino della umana società o senza diversificarsi
più in tante storie separate. Così il genere umano
passa da una concezione piuttosto statica
dell'ordine delle cose, a una concezione più
dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di
un formidabile complesso di nuovi problemi, che
stimola ad analisi e a sintesi nuove.
6. Mutamenti nell'ordine
sociale.
In seguito a tutto questo,
mutamenti sempre più profondi si verificano nelle
comunità locali tradizionali famiglie patriarcali,
clan, tribù, villaggi, nei differenti gruppi e nei
rapporti della vita sociale. Si diffonde
gradatamente il tipo di società industriale, che
favorisce in alcune nazioni una economia
dell'opulenza, e trasforma radicalmente concezioni e
condizioni secolari di vita sociale. Parimenti la
civilizzazione urbana e l'attrazione che essa
provoca s'intensificano, sia per il moltiplicarsi
delle città e dei loro abitanti, sia per la
diffusione tra i rurali dei modelli di vita
cittadina. Nuovi e migliori mezzi di comunicazione
sociale favoriscono nel modo più largo e più rapido
la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione
delle idee e dei sentimenti, suscitando così
numerose reazioni a catena. Né va sottovalutato che
moltissima gente, spinta per varie ragioni ad
emigrare, cambia il suo modo di vivere. In tal modo,
senza arresto si moltiplicano i rapporti dell'uomo
coi suoi simili, mentre a sua volta questa «
socializzazione » crea nuovi legami, senza tuttavia
favorire sempre una corrispondente maturazione delle
persone e rapporti veramente personali, cioè la «
personalizzazione ». Un'evoluzione siffatta appare
più manifesta nelle nazioni che già godono del
progresso economico e tecnico; ma essa mette in
movimento anche quei popoli ancora in via di
sviluppo, che aspirano ad ottenere per i loro paesi
i benefici della industrializzazione e
dell'urbanizzazione.
Questi popoli, specialmente se
vincolati da più antiche tradizioni, sentono allo
stesso tempo il bisogno di esercitare la loro
libertà in modo più adulto e più personale.
7. Mutamenti psicologici,
morali e religiosi.
Il cambiamento di mentalità e di
strutture spesso mette in causa i valori
tradizionali, soprattutto tra i giovani:
frequentemente impazienti, essi diventano ribelli
per l'inquietudine; consci della loro importanza
nella vita sociale, desiderano assumere al più
presto le loro responsabilità.
Spesso genitori ed educatori si
trovano per questo ogni giorno in maggiori
difficoltà nell'adempimento del loro compito.
Le istituzioni, le leggi, i modi
di pensare e di sentire ereditati dal passata non
sempre si adattano bene alla situazione attuale; di
qui un profondo disagio nel comportamento e nelle
stesse norme di condotta. Anche la vita religiosa,
infine, è sotto l'influsso delle nuove situazioni.
Da un lato, un più acuto senso critico la purifica
da ogni concezione magica nel mondo e dalle
sopravvivenze superstiziose ed esige un adesione
sempre più personale e attiva alla fede; numerosi
sono perciò coloro che giungono a un più vivo senso
di Dio. D'altro canto però, moltitudini crescenti
praticamente si staccano dalla religione. A
differenza dei tempi passati, negare Dio o la
religione o farne praticamente a meno, non è più un
fatto insolito e individuale.
Oggi infatti non raramente un tale
comportamento viene presentato come esigenza del
progresso scientifico o di un nuovo tipo di
umanesimo.
Tutto questo in molti paesi non si
manifesta solo a livello filosofico, ma invade in
misura notevolissima il campo delle lettere, delle
arti, dell' interpretazione delle scienze umane e
della storia, anzi la stessa legislazione: di qui il
disorientamento di molti.
8. Squilibri nel mondo
contemporaneo.
Una così rapida evoluzione, spesso
disordinatamente realizzata, e la stessa presa di
coscienza sempre più acuta delle discrepanze
esistenti nel mondo, generano o aumentano
contraddizioni e squilibri. Anzitutto a livello
della persona si nota molto spesso lo squilibrio tra
una moderna intelligenza pratica e il modo di
pensare speculativo, che non riesce a dominare né a
ordinare in sintesi soddisfacenti l'insieme delle
sue conoscenze.
Uno squilibrio si genera anche tra
la preoccupazione dell'efficienza pratica e le
esigenze della coscienza morale, nonché molte volte
tra le condizioni della vita collettiva e le
esigenze di un pensiero personale e della stessa
contemplazione.
Di qui ne deriva infine lo
squilibrio tra le specializzazioni dell'attività
umana e una visione universale della realtà. Nella
famiglia poi le tensioni nascono sia dalla
pesantezza delle condizioni demografiche, economiche
e sociali, sia dal conflitto tra le generazioni che
si susseguono, sia dal nuovo tipo di rapporti
sociali tra uomo e donna. Grandi contrasti sorgono
anche tra le razze e le diverse categorie sociali;
tra nazioni ricche e meno dotate e povere; infine
tra le istituzioni internazionali nate
dall'aspirazione dei popoli alla pace e l'ambizione
di imporre la propria ideologia, nonché gli egoismi
collettivi esistenti negli Stati o in altri gruppi.
Di qui derivano diffidenze e
inimicizie, conflitti ed amarezze di cui l'uomo è a
un tempo causa e vittima.
9. Le aspirazioni sempre più
universali dell'umanità.
Cresce frattanto la convinzione
che l'umanità non solo può e deve sempre più
rafforzare il suo dominio sul creato, ma che le
compete inoltre instaurare un ordine politico,
sociale ed economico che sempre più e meglio serva
l'uomo e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare e
sviluppare la propria dignità. Donde le aspre
rivendicazioni di tanti che, prendendo nettamente
coscienza, reputano di essere stati privati di quei
beni per ingiustizia o per una non equa
distribuzione.
I paesi in via di sviluppo o
appena giunti all'indipendenza desiderano
partecipare ai benefici della civiltà moderna non
solo sul piano politico ma anche economico, e
liberamente compiere la loro parte nel mondo; invece
cresce ogni giorno la loro distanza e spesso la
dipendenza anche economica dalle altre nazioni più
ricche, che progrediscono più rapidamente.
I popoli attanagliati dalla fame
chiamano in causa i popoli più ricchi.
Le donne rivendicano, là dove
ancora non l'hanno raggiunta, la parità con gli
uomini, non solo di diritto, ma anche di fatto.
Operai e contadini non vogliono solo guadagnarsi il
necessario per vivere, ma sviluppare la loro
personalità col lavoro, anzi partecipare
all'organizzazione della vita economica, sociale,
politica e culturale. Per la prima volta nella
storia umana, i popoli sono oggi persuasi che i
benefici della civiltà possono e debbono realmente
estendersi a tutti.
Sotto tutte queste rivendicazioni
si cela un'aspirazione più profonda e universale.
I singoli e i gruppi organizzati
anelano infatti a una vita piena e libera, degna
dell'uomo, che metta al proprio servizio tutto
quanto il mondo oggi offre loro così
abbondantemente.
Anche le nazioni si sforzano
sempre più di raggiungere una certa comunità
universale.
Stando così le cose, il mondo si
presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di
operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre
dinanzi la strada della libertà o della schiavitù,
del progresso o del regresso, della fraternità o
dell'odio. Inoltre l'uomo prende coscienza che
dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso
suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli.
Per questo si pone degli
interrogativi.
10. Gli interrogativi più
profondi del genere umano.
In verità gli squilibri di cui
soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel
più profondo squilibrio che è radicato nel cuore
dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti
elementi si combattono a vicenda. Da una parte
infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i
suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza
confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita
superiore. Sollecitato da molte attrattive, è
costretto sempre a sceglierne qualcuna e a
rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore,
non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa
quello che vorrebbe (4).
Per cui soffre in se stesso una
divisione, dalla quale provengono anche tante e così
gravi discordie nella società. Molti, è vero, la cui
vita è impregnata di materialismo pratico, sono
lungi dall'avere una chiara percezione di questo
dramma; oppure, oppressi dalla miseria, non hanno
modo di rifletterci. Altri, in gran numero, credono
di trovare la loro tranquillità nelle diverse
spiegazioni del mondo che sono loro proposte. Alcuni
poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena
liberazione dell'umanità, e sono persuasi che il
futuro regno dell'uomo sulla terra appagherà tutti i
desideri del suo cuore. Né manca chi, disperando di
dare uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti,
stimando l'esistenza umana vuota in se stessa di
significato, si sforzano di darne una spiegazione
completa mediante la loro sola ispirazione.
Con tutto ciò, di fronte
all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre
più numerosi quelli che si pongono o sentono con
nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali:
cos'è l'uomo?
Qual è il significato del dolore,
del male, della morte, che continuano a sussistere
malgrado ogni progresso?
Cosa valgono quelle conquiste
pagate a così caro prezzo?
Che apporta l'uomo alla società, e
cosa può attendersi da essa?
Cosa ci sarà dopo questa vita?
Ecco: la Chiesa crede che Cristo,
per tutti morto e risorto (5), dà sempre all'uomo,
mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere
alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un
altro Nome agli uomini, mediante il quale possono
essere salvati (6). Essa crede anche di trovare nel
suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine
di tutta la storia umana.
Inoltre la Chiesa afferma che al
di là di tutto ciò che muta stanno realtà
immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento
in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei
secoli (7).
Così nella luce di Cristo,
immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le
creature (8) il Concilio intende rivolgersi a tutti
per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare
nella ricerca di una soluzione ai principali
problemi del nostro tempo.
PARTE I
LA CHIESA E LA VOCAZIONE DELL'UOMO
11. Rispondere agli impulsi dello Spirito.
Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede
di essere condotto dallo Spirito del Signore che
riempie l'universo, cerca di discernere negli
avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni,
cui prende parte insieme con gli altri uomini del
nostro tempo, quali siano i veri segni della
presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto
rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni
di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo,
orientando così lo spirito verso soluzioni
pienamente umane.
In questa luce, il Concilio si propone
innanzitutto di esprimere un giudizio su quei valori
che oggi sono più stimati e di ricondurli alla loro
divina sorgente.
Questi valori infatti, in quanto procedono
dall'ingegno umano che all'uomo è stato dato da Dio,
sono in sé ottimi ma per effetto della corruzione
del cuore umano non raramente vengono distorti
dall'ordine richiesto, per cui hanno bisogno di
essere purificati.
Che pensa la Chiesa dell'uomo?
Quali orientamenti sembra debbano essere proposti
per la edificazione della società attuale?
Qual è il significato ultimo della attività umana
nell'universo?
Queste domande reclamano una riposta. In seguito,
risulterà ancora più chiaramente che il popolo di
Dio e l'umanità, entro la quale esso è inserito, si
rendono reciproco servizio, così che la missione
della Chiesa si mostra di natura religiosa e per ciò
stesso profondamente umana.
CAPITOLO ILA DIGNITÀ DELLA
PERSONA UMANA
12. L'uomo ad immagine di Dio.
Credenti e non credenti sono generalmente
d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla
terra deve essere riferito all'uomo, come a suo
centro e a suo vertice.
Ma che cos'è l'uomo?
Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul
proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie,
secondo le quali spesso o si esalta così da fare di
sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla
disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e
nell'angoscia.
Queste difficoltà la Chiesa le sente
profondamente e ad esse può dare una risposta che le
viene dall'insegnamento della divina Rivelazione,
risposta che descrive la vera condizione dell'uomo,
dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono
al tempo stesso essere giustamente riconosciute la
sua dignità e vocazione.
La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato
creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e
di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui
sopra tutte le creature terrene (9) quale signore di
esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio
(10).
« Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o
il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui?
L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai
coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito
sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto
ai suoi piedi » (Sal8,5).
Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da
principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la
loro unione costituisce la prima forma di comunione
di persone.
L'uomo, infatti, per sua intima natura è un
essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non
può vivere né esplicare le sue doti.
Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia,
vide « tutte quante le cose che aveva fatte, ed
erano buone assai» (Gen1,31).
13. Il peccato.
Costituito da Dio in uno stato di giustizia,
l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi
della storia abusò della libertà, erigendosi contro
Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori
di lui.
Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli
hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il
loro cuore insipiente »... e preferirono servire la
creatura piuttosto che il Creatore (11).
Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione
divina concorda con la stessa esperienza.
Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si
scopre inclinato anche al male e immerso in tante
miserie, che non possono certo derivare dal
Creatore, che è buono.
Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo
principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in
rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta
l'armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in
rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione.
Così l'uomo si trova diviso in se stesso.
Per questo tutta la vita umana, sia individuale
che collettiva, presenta i caratteri di una lotta
drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le
tenebre.
Anzi l'uomo si trova incapace di superare
efficacemente da sé medesimo gli assalti del male,
così che ognuno si sente come incatenato.
Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e
a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e
scacciando fuori « il principe di questo mondo »
(Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato (12).
Il peccato è, del resto, una diminuzione per
l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire
la propria pienezza. Nella luce di questa
Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima
sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria,
di cui gli uomini fanno l'esperienza.
14. Costituzione dell'uomo.
Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in
sé, per la stessa sua condizione corporale, gli
elementi del mondo materiale, così che questi
attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono
voce per lodare in libertà il Creatore (13). Non è
lecito dunque disprezzare la vita corporale
dell'uomo.
Al contrario, questi è tenuto a considerare buono
e degno di onore il proprio corpo, appunto perché
creato da Dio e destinato alla risurrezione
nell'ultimo giorno.
E tuttavia, ferito dal peccato, l'uomo sperimenta
le ribellioni del corpo.
Perciò è la dignità stessa dell'uomo che postula
che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (14) e che
non permetta che esso si renda schiavo delle
perverse inclinazioni del cuore.
L'uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi
superiore alle cose corporali e a considerarsi più
che soltanto una particella della natura o un
elemento anonimo della città umana.
Infatti, nella sua interiorità, egli trascende
l'universo delle cose: in quelle profondità egli
torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo
aspetta quel Dio che scruta i cuori (15) là dove
sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino.
Perciò, riconoscendo di avere un'anima spirituale e
immortale, non si lascia illudere da una creazione
immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante
le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a
toccare in profondo la verità stessa delle cose.
15. Dignità dell'intelligenza, verità e
saggezza.
L'uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutto
l'universo delle cose, a motivo della sua
intelligenza, con cui partecipa della luce della
mente di Dio.
Con l'esercizio appassionato dell'ingegno lungo i
secoli egli ha fatto certamente dei progressi nelle
scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline
liberali Nell'epoca nostra, poi, ha conseguito
successi notevoli particolarmente nella
investigazione e nel dominio del mondo materiale.
E tuttavia egli ha sempre cercato e trovato una
verità più profonda.
L'intelligenza, infatti, non si restringe
all'ambito dei soli fenomeni, ma può conquistare con
vera certezza la realtà intelligibile, anche se, per
conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata
e debilitata. Infine, la natura intelligente della
persona umana può e deve raggiungere la perfezione.
Questa mediante la sapienza attrae con dolcezza la
mente a cercare e ad amare il vero e il bene; l'uomo
che se ne nutre è condotto attraverso il visibile
all'invisibile.
L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati,
ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte
le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il
futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati
uomini più saggi. Inoltre va notato come molte
nazioni, economicamente più povere rispetto ad
altre, ma più ricche di saggezza, potranno aiutare
potentemente le altre.
Col dono, poi, dello Spirito Santo, l'uomo può
arrivare nella fede a contemplare e a gustare il
mistero del piano divino (16).
16. Dignità della coscienza morale.
Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una
legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece
deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad
amare, a fare il bene e a fuggire il male, al
momento opportuno risuona nell'intimità del cuore:
fa questo, evita quest'altro.
L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio
dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa
dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato
(17). La coscienza è il nucleo più segreto e il
sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui
voce risuona nell'intimità (18).
Tramite la coscienza si fa conoscere in modo
mirabile quella legge che trova il suo compimento
nell'amore di Dio e del prossimo (19). Nella fedeltà
alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri
uomini per cercare la verità e per risolvere secondo
verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto
nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto
più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più
le persone e i gruppi si allontanano dal cieco
arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme
oggettive della moralità. Tuttavia succede non di
rado che la coscienza sia erronea per ignoranza
invincibile, senza che per questo essa perda la sua
dignità.
Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura
di cercare la verità e il bene, e quando la
coscienza diventa quasi cieca in seguito
all'abitudine del peccato.
17. Grandezza della libertà.
Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella
libertà.
I nostri contemporanei stimano grandemente e
perseguono con ardore tale libertà, e a ragione.
Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia
lecito tutto quel che piace, compreso il male.
La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno
privilegiato dell'immagine divina.
Dio volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al
suo consiglio » (20) che cerchi spontaneamente il
suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui,
alla piena e beata perfezione.
Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli
agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso
cioè e determinato da convinzioni personali, e non
per un cieco impulso istintivo o per mera coazione
esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando,
liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al
suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne
procura con la sua diligente iniziativa i mezzi
convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la
libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non
può renderla effettiva in pieno se non mediante
l'aiuto della grazia divina.
Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della
propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto
quel che avrà fatto di bene e di male (21).
18. Il mistero della morte.
In faccia alla morte l'enigma della condizione
umana raggiunge il culmine.
L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e
dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed
anzi, più ancora, dal timore di una distruzione
definitiva.
Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare
rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di
una totale rovina e di un annientamento definitivo
della sua persona.
Il germe dell'eternità che porta in sé,
irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro
la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per
quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà
dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la
biologia non può soddisfare quel desiderio di vita
ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore.
Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla
morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione
divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per
un fine di felicità oltre i confini delle miserie
terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la
morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato
esentato se non avesse peccato (22), sarà vinta un
giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del
Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta
per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama
l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in
una comunione perpetua con la incorruttibile vita
divina. Questa vittoria l'ha conquistata il Cristo
risorgendo alla vita, liberando l'uomo dalla morte
mediante la sua morte (23).
Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti
a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle
sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso
dà la possibilità di una comunione nel Cristo con i
propri cari già strappati dalla morte, dandoci la
speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita
presso Dio.
19. Forme e radici dell'ateismo.
L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo
consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio.
Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con
Dio.
Se l'uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha
creato per amore e, per amore, non cessa di dargli
l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo
verità se non riconosce liberamente quell'amore e se
non si abbandona al suo Creatore. Molti nostri
contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o
esplicitamente rigettano questo intimo e vitale
legame con Dio: a tal punto che l'ateismo va
annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo
e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il
termine « ateismo » vengono designati fenomeni assai
diversi tra loro.
Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio;
altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di
lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi
a Dio con un metodo tale che questi sembrano non
aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i
confini delle scienze positive, o pretendono di
spiegare tutto solo da questo punto di vista
scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai
più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano
l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi
snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad
affermare l'uomo più che a negare Dio.
Altri si creano una tale rappresentazione di Dio
che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è
affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono
il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna
inquietudine religiosa, né riescono a capire perché
dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo
inoltre ha origine sovente, o dalla protesta
violenta contro il male nel mondo, o dall'aver
attribuito indebitamente i caratteri propri
dell'assoluto a qualche valore umano, così che
questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà
moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo
irretita nella realtà terrena, può rendere spesso
più difficile l'accesso a Dio.
Senza dubbio coloro che volontariamente cercano
di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare
i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo
della loro coscienza, non sono esenti da colpa;
tuttavia in questo campo anche i credenti spesso
hanno una certa responsabilità.
Infatti l'ateismo, considerato nel suo insieme,
non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause
diverse, e tra queste va annoverata anche una
reazione critica contro le religioni, anzi in alcune
regioni, specialmente contro la religione cristiana.
Per questo nella genesi dell'ateismo possono
contribuire non poco i credenti, nella misura in
cui, per aver trascurato di educare la propria fede,
o per una presentazione ingannevole della dottrina,
od anche per i difetti della propria vita religiosa,
morale e sociale, si deve dire piuttosto che
nascondono e non che manifestano il genuino volto di
Dio e della religione.
20. L'ateismo sistematico.
L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una
forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre
cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene
spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque
dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale
ateismo sostengono che la libertà consista nel fatto
che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e
demiurgo della propria storia; cosa che non può
comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento
di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che
almeno rende semplicemente superflua tale
affermazione.
Una tale dottrina può essere favorita da quel
senso di potenza che l'odierno progresso tecnico
ispira all uomo. Tra le forme dell'ateismo moderno
non va trascurata quella che si aspetta la
liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua
liberazione economica e sociale La religione sarebbe
di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in
quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il
miraggio di una vita futura, la distoglierebbe
dall'edificazione della città terrena.
Perciò i fautori di tale dottrina, là dove
accedono al potere, combattono con violenza la
religione e diffondono l'ateismo anche ricorrendo
agli strumenti di pressione di cui dispone il potere
pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei
giovani.
21. Atteggiamento della Chiesa di fronte
all'ateismo.
La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e
verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare,
come ha fatto in passato (24), con tutta fermezza e
con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste
che contrastano con la ragione e con l'esperienza
comune degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua
innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le
ragioni della negazione di Dio che si nascondono
nella mente degli atei e, consapevole della gravità
delle questioni suscitate dall'ateismo, mossa dal
suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse
debbano meritare un esame più serio e più profondo.
La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si
oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato
che questa dignità trova proprio in Dio il suo
fondamento e la sua perfezione. L'uomo infatti
riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di
libertà ed è costituito nella società; ma
soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso
in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa
felicità. Inoltre la Chiesa insegna che la speranza
escatologica non diminuisce l'importanza degli
impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno
dell'attuazione di essi.
Al contrario, invece, se manca la base religiosa
e la speranza della vita eterna, la dignità umana
viene lesa in maniera assai grave, come si constata
spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e
della morte, della colpa e del dolore rimangono
senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini
sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun
uomo rimane ai suoi propri occhi un problema
insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti,
in certe ore e particolarmente in occasione dei
grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente
quel tipo di interrogativi sopra ricordato.
A questi problemi soltanto Dio dà una risposta
piena e certa, lui che chiama l'uomo a una
riflessione più profonda e a una ricerca più umile.
Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere
sia dall'esposizione adeguata della dottrina della
Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei
suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di
rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il
Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e
purificandosi senza posa sotto la guida dello
Spirito Santo (25).
Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di
una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente
formata a riconoscere in maniera lucida le
difficoltà e capace di superarle.
Di una fede simile han dato e danno testimonianza
sublime moltissimi martiri.
Questa fede deve manifestare la sua fecondità,
col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa
la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia
e all'amore, specialmente verso i bisognosi.
Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare
la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli
che unanimi nello spirito lavorano insieme per la
fede del Vangelo (26) e si presentano quale segno di
unità. La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera
assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente
che tutti gli uomini, credenti e non credenti,
devono contribuire alla giusta costruzione di questo
mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme:
ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e
prudente dialogo. Essa pertanto deplora la
discriminazione tra credenti e non credenti che
alcune autorità civili ingiustamente introducono, a
danno dei diritti fondamentali della persona umana.
Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva
libertà, perché sia loro consentito di edificare in
questo mondo anche il tempio di Dio. Quanto agli
atei, essa li invita cortesemente a volere prendere
in considerazione il Vangelo di Cristo con animo
aperto.
La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è
in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore
umano quando essa difende la dignità della vocazione
umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non
osano più credere alla grandezza del loro destino.
Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo,
infonde invece luce, vita e libertà per il suo
progresso, e all'infuori di esso, niente può
soddisfare il cuore dell'uomo: « Ci hai fatto per te
», o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché
non riposa in te» (27).
22. Cristo, l'uomo nuovo.
In realtà solamente nel mistero del Verbo
incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.
Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di
quello futuro (28) (Rm5,14) e cioè di Cristo
Signore.
Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando
il mistero del Padre e del suo amore svela anche
pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua
altissima vocazione.
Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità
su esposte in lui trovino la loro sorgente e
tocchino il loro vertice. Egli è « l'immagine
dell'invisibile Iddio » (Col1,15) (29) è l'uomo
perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la
somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli
inizi a causa del peccato.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta,
senza per questo venire annientata (30) per ciò
stesso essa è stata anche in noi innalzata a una
dignità sublime.
Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo ad ogni uomo.
Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con
intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo
(31) ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria
vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in
tutto simile a noi fuorché il peccato (32). Agnello
innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha
meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con
se stesso e tra noi (33) e ci ha strappati dalla
schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno
di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio «
mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me»
(Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato
semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme
(34) ma ci ha anche aperta la strada: se la
seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e
acquistano nuovo significato.
Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del
Figlio che è il primogenito tra molti fratelli
riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) (35) per
cui diventa capace di adempiere la legge nuova
dell'amore (36).
In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della
eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente
rinnovato, nell'attesa della « redenzione del corpo
» (Rm 8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui
che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato
Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi
mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi»
(Rm8,11) (37).
Il cristiano certamente è assillato dalla
necessità e dal dovere di combattere contro il male
attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte;
ma, associato al mistero pasquale, diventando
conforme al Cristo nella morte, così anche andrà
incontro alla risurrezione fortificato dalla
speranza (38).
E ciò vale non solamente per i cristiani, ma
anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui
cuore lavora invisibilmente la grazia (39). Cristo,
infatti, è morto per tutti (40) e la vocazione
ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella
divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito
Santo dia a tutti la possibilità di venire
associati, nel modo che Dio conosce, al mistero
pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo
mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare
agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo
riceve luce quell'enigma del dolore e della morte,
che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la
sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua
risurrezione ci ha fatto dono della vita (41),
perché anche noi, diventando figli col Figlio,
possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba,
Padre! (42).
CAPITOLO IILA COMUNITÀ DEGLI
UOMINI
23. Che cosa intende il Concilio.
Il moltiplicarsi delle relazioni tra gli uomini
costituisce uno degli aspetti più importanti del
mondo di oggi, al cui sviluppo molto contribuisce il
progresso tecnico contemporaneo.
Tuttavia il fraterno dialogo tra gli uomini non
trova il suo compimento in tale progresso, ma più
profondamente nella comunità delle persone, e questa
esige un reciproco rispetto della loro piena dignità
spirituale. La Rivelazione cristiana dà grande aiuto
alla promozione di questa comunione tra persone;
nello stesso tempo ci guida ad un approfondimento
delle leggi che regolano la vita sociale, scritte
dal Creatore nella natura spirituale e morale
dell'uomo.
Siccome documenti recenti del magistero della
Chiesa hanno esposto diffusamente la dottrina
cristiana circa l'umana società (43), il Concilio
ricorda solo alcune verità più importanti e ne
espone i fondamenti alla luce della Rivelazione.
Insiste poi su certe conseguenze che sono
particolarmente importanti per il nostro tempo.
24. L'indole comunitaria dell'umana
vocazione nel piano di Dio.
Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto
che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e
si trattassero tra loro come fratelli. Tutti,
infatti, creati ad immagine di Dio « che da un solo
uomo ha prodotto l'intero genere umano affinché
popolasse tutta la terra » (At17,26), sono chiamati
al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l'amor di
Dio e del prossimo è il primo e più grande
comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua,
insegna che l'amor di Dio non può essere disgiunto
dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri precetti
sono compendiati in questa frase: amerai il prossimo
tuo come te stesso. La pienezza perciò della legge è
l'amore » (Rm13,9); (1Gv4,20).
È evidente che ciò è di grande importanza per
degli uomini sempre più dipendenti gli uni dagli
altri e per un mondo che va sempre più verso
l'unificazione.
Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre
perché « tutti siano una cosa sola, come io e tu
siamo una cosa sola » (Gv17,21), aprendoci
prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha
suggerito una certa similitudine tra l'unione delle
Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella
verità e nell'amore.
Questa similitudine manifesta che l'uomo, il
quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia
voluto per se stesso, non possa ritrovarsi
pienamente se non attraverso un dono sincero di sé
(44).
25. Interdipendenza della persona e della
umana società.
Dal carattere sociale dell'uomo appare evidente
come il perfezionamento della persona umana e lo
sviluppo della stessa società siano tra loro
interdipendenti.
Infatti, la persona umana, che di natura sua ha
assolutamente bisogno d'una vita sociale, è e deve
essere principio, soggetto e fine di tutte le
istituzioni sociali (45).
Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno
all'uomo, l'uomo cresce in tutte le sue capacità e
può rispondere alla sua vocazione attraverso i
rapporti con gli altri, la reciprocità dei servizi e
il dialogo con i fratelli. Tra i vincoli sociali che
sono necessari al perfezionamento dell'uomo, alcuni,
come la famiglia e la comunità politica, sono più
immediatamente rispondenti alla sua natura intima;
altri procedono piuttosto dalla sua libera volontà.
In questo nostro tempo, per varie cause, si
moltiplicano rapporti e interdipendenze, dalle quali
nascono associazioni e istituzioni diverse di
diritto pubblico o privato.
Questo fatto, che viene chiamato socializzazione,
sebbene non manchi di pericoli, tuttavia reca in sé
molti vantaggi nel rafforzamento e accrescimento
delle qualità della persona umana e nella tutela dei
suoi diritti (46). Ma se le persone umane ricevono
molto da tale vita sociale per assolvere alla
propria vocazione, anche religiosa, non si può
tuttavia negare che gli uomini dal contesto sociale
nel quale vivono e sono immersi fin dalla infanzia,
spesso sono sviati dal bene e spinti al male.
È certo che i perturbamenti, così frequenti
nell'ordine sociale, provengono in parte dalla
tensione che esiste in seno alle strutture
economiche, politiche e sociali.
Ma, più radicalmente, nascono dalla superbia e
dall'egoismo umano, che pervertono anche l'ambiente
sociale. Là dove l'ordine delle cose è turbato dalle
conseguenze del peccato, l'uomo già dalla nascita
incline al male, trova nuovi incitamenti al peccato,
che non possono esser vinti senza grandi sforzi e
senza l'aiuto della grazia.
26. Promuovere il bene comune.
Dall'interdipendenza sempre più stretta e piano
piano estesa al mondo intero deriva che il bene
comune - cioè l'insieme di quelle condizioni della
vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto
ai singoli membri di raggiungere la propria
perfezione più pienamente e più speditamente - oggi
vieppiù diventa universale, investendo diritti e
doveri che riguardano l'intero genere umano.
Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni
e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi,
anzi del bene comune dell'intera famiglia umana
(47). Contemporaneamente cresce la coscienza
dell'eminente dignità della persona umana, superiore
a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono
universali e inviolabili. Occorre perciò che sia
reso accessibile all'uomo tutto ciò di cui ha
bisogno per condurre una vita veramente umana, come
il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a
scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare
una famiglia, il diritto all'educazione, al lavoro,
alla reputazione, al rispetto, alla necessaria
informazione, alla possibilità di agire secondo il
retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia
della vita privata e alla giusta libertà anche in
campo religioso.
L'ordine sociale pertanto e il suo progresso
debbono sempre lasciar prevalere il bene delle
persone, poiché l'ordine delle cose deve essere
subordinato all'ordine delle persone e non
l'inverso, secondo quanto suggerisce il Signore
stesso quando dice che il sabato è fatto per l'uomo
e non l'uomo per il sabato (48). Quell'ordine è da
sviluppare sempre più, deve avere per base la
verità, realizzarsi nella giustizia, essere
vivificato dall'amore, deve trovare un equilibrio
sempre più umano nella libertà (49).
Per raggiungere tale scopo bisogna lavorare al
rinnovamento della mentalità e intraprendere
profondi mutamenti della società. Lo Spirito di Dio,
che con mirabile provvidenza dirige il corso dei
tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a
questa evoluzione.
Il fermento evangelico suscitò e suscita nel
cuore dell'uomo questa irrefrenabile esigenza di
dignità.
27. Rispetto della persona umana.
Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore
urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso
l'uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno
eccettuato, come un altro « se stesso », tenendo
conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per
viverla degnamente (50), per non imitare quel ricco
che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro (51).
Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo
prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i
fatti a colui che ci passa accanto: vecchio
abbandonato da tutti, o lavoratore straniero
ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo
nato da un'unione illegittima, che patisce
immeritatamente per un peccato da lui non commesso,
o affamato che richiama la nostra coscienza,
rievocando la voce del Signore: « Quanto avete fatto
ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto
a me» (Mt25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la
vita stessa, come ogni specie di omicidio, il
genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso
suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità
della persona umana, come le mutilazioni, le torture
inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni
psicologiche; tutto ciò che offende la dignità
umana, come le condizioni di vita subumana, le
incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la
schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne
e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di
lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come
semplici strumenti di guadagno, e non come persone
libere e responsabili: tutte queste cose, e altre
simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano
la civiltà umana, disonorano coloro che così si
comportano più ancora che quelli che le subiscono e
ledono grandemente l'onore del Creatore.
28. Il rispetto e l'amore per gli
avversari.
Il rispetto e l'amore deve estendersi pure a
coloro che pensano od operano diversamente da noi
nelle cose sociali, politiche e persino religiose,
poiché con quanta maggiore umanità e amore
penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più
facilmente potremo con loro iniziare un dialogo.
Certamente tale amore e amabilità non devono in
alcun modo renderci indifferenti verso la verità e
il bene. Anzi è l'amore stesso che spinge i
discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini
la verità che salva. Ma occorre distinguere tra
errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che
conserva sempre la dignità di persona, anche quando
è macchiato da false o insufficienti nozioni
religiose (52).
Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò
ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di
chiunque (53). La dottrina del Cristo esige che noi
perdoniamo anche le ingiurie (54) e il precetto
dell'amore si estende a tutti i nemici; questo è il
comandamento della nuova legge: «Udiste che fu
detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e fate
del bene a coloro che vi odiano e pregate per i
vostri persecutori e calunniatori » (Mt5,43).
29. La fondamentale uguaglianza di tutti
gli uomini e la giustizia sociale.
Tutti gli uomini, dotati di un'anima razionale e
creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura e
la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono
della stessa vocazione e del medesimo destino
divino: è necessario perciò riconoscere ognor più la
fondamentale uguaglianza fra tutti.
Sicuramente, non tutti gli uomini sono uguali per
la varia capacità fisica e per la diversità delle
forze intellettuali e morali. Ma ogni genere di
discriminazione circa i diritti fondamentali della
persona, sia in campo sociale che culturale, in
ragione del sesso, della razza, del colore, della
condizione sociale, della lingua o religione, deve
essere superato ed eliminato, come contrario al
disegno di Dio.
Invero è doloroso constatare che quei diritti
fondamentali della persona non sono ancora e
dappertutto garantiti pienamente. Avviene così
quando si nega alla donna la facoltà di scegliere
liberamente il marito e di abbracciare un
determinato stato di vita, oppure di accedere a
un'educazione e a una cultura pari a quelle che si
ammettono per l'uomo.
In più, benché tra gli uomini vi siano giuste
diversità, la uguale dignità delle persone richiede
che si giunga a condizioni di vita più umane e
giuste.
Infatti le disuguaglianze economiche e sociali
eccessive tra membri e tra popoli dell'unica
famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie
alla giustizia sociale, all'equità, alla dignità
della persona umana, nonché alla pace sociale e
internazionale.
Le umane istituzioni, sia private che pubbliche,
si sforzino di mettersi al servizio della dignità e
del fine dell'uomo. Nello stesso tempo combattano
strenuamente contro ogni forma di servitù sociale e
politica, e garantiscano i fondamentali diritti
degli uomini sotto qualsiasi regime politico.
Anzi, queste istituzioni si debbono a poco a poco
accordare con le realtà spirituali, le più alte di
tutte, anche se talora occorra un tempo piuttosto
lungo per giungere al fine desiderato.
30. Occorre superare l'etica
individualistica.
La profonda e rapida trasformazione delle cose
esige, con più urgenza, che non vi sia alcuno che,
non prestando attenzione al corso delle cose e
intorpidito dall'inerzia, si contenti di un'etica
puramente individualistica. Il dovere della
giustizia e dell'amore viene sempre più assolto per
il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune
secondo le proprie capacità e le necessità degli
altri, promuove e aiuta anche le istituzioni
pubbliche e private che servono a migliorare le
condizioni di vita degli uomini. Vi sono di quelli
che, pur professando opinioni larghe e generose,
tuttavia continuano a vivere in pratica come se non
avessero alcuna cura delle necessità della società.
Anzi molti, in certi paesi, tengono in poco conto
le leggi e le prescrizioni sociali.
Non pochi non si vergognano di evadere, con vari
sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri
obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della
vita sociale, ad esempio ciò che concerne la
salvaguardia della salute, o le norme stabilite per
la guida dei veicoli, non rendendosi conto di metter
in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e
quella degli altri. Che tutti prendano sommamente a
cuore di annoverare le solidarietà sociali tra i
principali doveri dell'uomo d'oggi, e di
rispettarle.
Infatti quanto più il mondo si unifica, tanto più
apertamente gli obblighi degli uomini superano i
gruppi particolari e si estendono a poco a poco al
mondo intero.
E ciò non può avvenire se i singoli uomini e i
gruppi non coltivano le virtù morali e sociali e le
diffondono nella società, cosicché sorgano uomini
nuovi, artefici di una umanità nuova, con il
necessario aiuto della grazia divina.
31. Responsabilità e partecipazione.
Affinché i singoli uomini assolvano con maggiore
cura il proprio dovere di coscienza verso se stessi
e verso i vari gruppi di cui sono membri, occorre
educarli con diligenza ad acquisire una più ampia
cultura spirituale, utilizzando gli enormi mezzi che
oggi sono a disposizione del genere umano.
Innanzitutto l'educazione dei giovani, di qualsiasi
origine sociale, deve essere impostata in modo da
suscitare uomini e donne, non tanto raffinati
intellettualmente, ma di forte personalità, come è
richiesto fortemente dal nostro tempo. Ma a tale
senso di responsabilità l'uomo giunge con difficoltà
se le condizioni della vita non gli permettono di
prender coscienza della propria dignità e di
rispondere alla sua vocazione, prodigandosi per Dio
e per gli altri.
Invero la libertà umana spesso si indebolisce
qualora l'uomo cada in estrema indigenza, come si
degrada quando egli stesso, lasciandosi andare a una
vita troppo facile, si chiude in una specie di aurea
solitudine. Al contrario, essa si fortifica quando
l'uomo accetta le inevitabili difficoltà della vita
sociale, assume le molteplici esigenze dell'umana
convivenza e si impegna al servizio della comunità
umana. Perciò bisogna stimolare la volontà di tutti
ad assumersi la propria parte nelle comuni imprese.
È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni
nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta
partecipe degli affari pubblici, in una autentica
libertà.
Si deve tuttavia tener conto delle condizioni
concrete di ciascun popolo e della necessaria
solidità dei pubblici poteri. Affinché poi tutti i
cittadini siano spinti a partecipare alla vita dei
vari gruppi di cui si compone il corpo sociale, è
necessario che trovino in essi dei valori capaci di
attirarli e di disporli al servizio degli altri. Si
può pensare legittimamente che il futuro
dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che
sono capaci di trasmettere alle generazioni di
domani ragioni di vita e di speranza.
32. Il Verbo incarnato e la solidarietà
umana.
Come Dio creò gli uomini non perché vivessero
individualisticamente, ma perché si unissero in
società, così a lui anche «... piacque santificare e
salvare gli uomini non a uno a uno, fuori di ogni
mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo
conoscesse nella verità e santamente lo servisse »
(55). Sin dall'inizio della storia della salvezza,
egli stesso ha scelto degli uomini, non soltanto
come individui ma come membri di una certa comunità
Infatti questi eletti Dio, manifestando il suo
disegno, chiamò a suo popolo» (Es3,7). Con questo
popolo poi strinse il patto sul Sinai (56).
Tale carattere comunitario è perfezionato e
compiuto dall'opera di Cristo Gesù.
Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe
della solidarietà umana.
Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa
di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori.
Ha rivelato l'amore del Padre e la magnifica
vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più
ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio
e immagini della vita d'ogni giorno.
Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle
familiari, dalle quali trae origine la vita sociale.
Si sottomise volontariamente alle leggi della sua
patria. Volle condurre la vita di un artigiano del
suo tempo e della sua regione. Nella sua
predicazione ha chiaramente affermato che i figli di
Dio hanno l'obbligo di trattarsi vicendevolmente
come fratelli.
Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi
discepoli fossero una « cosa sola ».
Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla
morte, lui il redentore di tutti. « Nessuno ha
maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i
suoi amici » (Gv15,13).
Comandò inoltre agli apostoli di annunciare il
messaggio evangelico a tutte le genti, perché il
genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella
quale la pienezza della legge fosse l'amore.
Primogenito tra molti fratelli, dopo la sua morte e
risurrezione ha istituito attraverso il dono del suo
Spirito una nuova comunione fraterna fra tutti
coloro che l'accolgono con la fede e la carità: essa
si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa.
In questo corpo tutti, membri tra di loro, si
debbono prestare servizi reciproci, secondo i doni
diversi loro concessi. Questa solidarietà dovrà
sempre essere accresciuta, fino a quel giorno in cui
sarà consumata; in quel giorno gli uomini, salvati
dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come
famiglia amata da Dio e da Cristo, loro fratello.
CAPITOLO IIIL'ATTIVITÀ UMANA
NELL'UNIVERSO
33. Il problema.
Col suo lavoro e col suo ingegno l'uomo ha
cercato sempre di sviluppare la propria vita; ma
oggi, specialmente con l'aiuto della scienza e della
tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo
dominio su quasi tutta la natura e, grazie
soprattutto alla moltiplicazione di mezzi di scambio
tra le nazioni, la famiglia umana a poco a poco è
venuta a riconoscersi e a costituirsi come una
comunità unitaria nel mondo intero. Ne deriva che
molti beni, che un tempo l'uomo si aspettava dalle
forze superiori, oggi se li procura con la sua
iniziativa e con le sue forze.
Di fronte a questo immenso sforzo, che orrnai
pervade tutto il genere umano, molti interrogativi
sorgono tra gli uomini: qual è il senso e il valore
della attività umana?
Come vanno usate queste realtà? A quale scopo
tendono gli sforzi sia individuali che collettivi?
La Chiesa, custode del deposito della parola di
Dio, da cui vengono attinti i principi per l'ordine
morale e religioso, anche se non ha sempre pronta la
soluzione per ogni singola questione, desidera unire
la luce della Rivelazione alla competenza di tutti
allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è
messa da poco l'umanità.
34. Il valore dell'attività umana.
Per i credenti una cosa è certa: considerata in
se stessa, l'attività umana individuale e
collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli
uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le
proprie condizioni di vita, corrisponde alle
intenzioni di Dio.
L'uomo infatti, creato ad immagine di Dio, ha
ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra
con tutto quanto essa contiene (57), e di governare
il mondo nella giustizia e nella santità, e cosi
pure di riferire a Dio il proprio essere e
l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore
di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione
di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome
di Dio su tutta la terra (58). Ciò vale anche per
gli ordinari lavori quotidiani.
Gli uomini e le donne, infatti, che per
procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia
esercitano il proprio lavoro in modo tale da
prestare anche conveniente servizio alla società,
possono a buon diritto ritenere che con il loro
lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si
rendono utili ai propri fratelli e donano un
contributo personale alla realizzazione del piano
provvidenziale di Dio nella storia (59). I
cristiani, dunque, non si sognano nemmeno di
contrapporre i prodotti dell'ingegno e del coraggio
dell'uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura
razionale sia rivale del Creatore; al contrario,
sono persuasi piuttosto che le vittorie dell'umanità
sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo
ineffabile disegno. Ma quanto più cresce la potenza
degli uomini, tanto più si estende e si allarga la
loro responsabilità, sia individuale che collettiva.
Da ciò si vede come il messaggio cristiano, lungi
dal distogliere gli uomini dal compito di edificare
il mondo o dall'incitarli a disinteressarsi del bene
dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò
con un obbligo ancora più pressante (60).
35. Norme dell'attività umana.
L'attività umana come deriva dall'uomo così è
ordinata all'uomo.
L'uomo, infatti, quando lavora, non trasforma
soltanto le cose e la società, ma perfeziona se
stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue
facoltà, esce da sé e si supera.
Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle
ricchezze esteriori che si possono accumulare.
L'uomo vale più per quello che « è » che per quello
che «ha» (61).
Parimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo
scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più
estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti
sociali, ha più valore dei progressi in campo
tecnico. Questi, infatti, possono fornire, per così
dire, la base materiale della promozione umana, ma
da soli non valgono in nessun modo a realizzarla.
Pertanto questa è la norma dell'attività umana:
che secondo il disegno di Dio e la sua volontà essa
corrisponda al vero bene dell'umanità, e che
permetta all'uomo, considerato come individuo o come
membro della società, di coltivare e di attuare la
sua integrale vocazione.
36. La legittima autonomia delle realtà
terrene.
Molti nostri contemporanei, però, sembrano temere
che, se si fanno troppo stretti i legami tra
attività umana e religione, venga impedita
l'autonomia degli uomini, delle società, delle
scienze.
Se per autonomia delle realtà terrene si vuol
dire che le cose create e le stesse società hanno
leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve
scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una
esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è
rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è
anche conforme al volere del Creatore.
Infatti è dalla stessa loro condizione di
creature che le cose tutte ricevono la loro propria
consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e
il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a
rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo
proprie di ogni singola scienza o tecnica.
Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se
procede in maniera veramente scientifica e secondo
le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con
la fede, perché le realtà profane e le realtà della
fede hanno origine dal medesimo Dio (62).
Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza
di scandagliare i segreti della realtà, anche senza
prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano
di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le
cose, fa che siano quello che sono.
A questo proposito ci sia concesso di deplorare
certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono
mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non
avere sufficientemente percepito la legittima
autonomia della scienza, suscitando contese e
controversie, essi trascinarono molti spiriti fino
al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano
tra loro (63).
Se invece con l'espressione « autonomia delle
realtà temporali » si intende dire che le cose
create non dipendono da Dio e che l'uomo può
adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a
nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano
tali opinioni.
La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce.
Del resto tutti coloro che credono, a qualunque
religione appartengano, hanno sempre inteso la voce
e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle
creature.
Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura
stessa.
37. L'attività umana corrotta dal peccato.
La sacra Scrittura, però, con cui si accorda
l'esperienza dei secoli, insegna agli uomini che il
progresso umano, che pure è un grande bene
dell'uomo, porta con sé una seria tentazione.
Infatti, sconvolto l'ordine dei valori e
mescolando il male col bene, gli individui e i
gruppi guardano solamente agli interessi propri e
non a quelli degli altri; cosi il mondo cessa di
essere il campo di una genuina fraternità, mentre
invece l'aumento della potenza umana minaccia di
distruggere ormai lo stesso genere umano.
Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da
una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre;
lotta cominciata fin dall'origine del mondo,
destinata a durare, come dice il Signore, fino
all'ultimo giorno (64).
Inserito in questa battaglia, l'uomo deve
combattere senza soste per poter restare unito al
bene, né può conseguire la sua interiore unità se
non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della
grazia di Dio. Per questo la Chiesa di Cristo,
fiduciosa nel piano provvidenziale del Creatore,
mentre riconosce che il progresso umano può servire
alla vera felicità degli uomini, non può tuttavia
fare a meno di far risuonare il detto dell'Apostolo:
« Non vogliate adattarvi allo stile di questo mondo
» (Rm12,2) e cioè a quello spirito di vanità e di
malizia che stravolge in strumento di peccato
l'operosità umana, ordinata al servizio di Dio e
dell'uomo.
Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale
miserevole situazione, i cristiani per risposta
affermano che tutte le attività umane, che son messe
in pericolo quotidianamente dalla superbia e
dall'amore disordinato di se stessi, devono venir
purificate e rese perfette per mezzo della croce e
della risurrezione di Cristo.
Redento da Cristo e diventato nuova creatura
nello Spirito Santo, l'uomo, infatti, può e deve
amare anche le cose che Dio ha creato.
Da Dio le riceve: le vede come uscire dalle sue
mani e le rispetta.
Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando
e godendo delle creature in spirito di povertà e di
libertà, viene introdotto nel vero possesso del
mondo, come qualcuno che non ha niente e che
possiede tutto (65): «Tutto, infatti, è vostro: ma
voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio »
(1Cor3,22).
38. L'attività umana elevata a perfezione
nel mistero pasquale.
Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è
stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad
abitare sulla terra degli uomini (66), entrò nella
storia del mondo come uomo perfetto, assumendo
questa e ricapitolandola in sé (67). Egli ci rivela
« che Dio è carità » (1Gv4,8) e insieme ci insegna
che la legge fondamentale della umana perfezione, e
perciò anche della trasformazione del mondo, è il
nuovo comandamento dell'amore.
Coloro pertanto che credono alla carità divina,
sono da lui resi certi che la strada della carità è
aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a
realizzare la fraternità universale non sono vani.
Così pure egli ammonisce a non camminare sulla
strada della carità solamente nelle grandi cose,
bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie
della vita.
Accettando di morire per noi tutti peccatori
(68), egli ci insegna con il suo esempio che è
necessario anche portare quella croce che dalla
carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti
cercano la pace e la giustizia. Con la sua
risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui
è stato dato ogni potere in cielo e in terra (69),
agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del
suo Spirito; non solo suscita il desiderio del mondo
futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e
fortifica quei generosi propositi con i quali la
famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la
propria vita e di sottomettere a questo fine tutta
la terra.
Ma i doni dello Spirito sono vari: alcuni li
chiama a dare testimonianza manifesta al desiderio
della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo
vivo nell'umanità; altri li chiama a consacrarsi al
servizio terreno degli uomini, così da
preparare-attraverso tale loro ministero quasi la
materia per il regno dei cieli. Di tutti, però, fa
degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento
dell'egoismo e convogliando tutte le forze terrene
verso la vita umana, essi si proiettano nel futuro,
quando l'umanità stessa diventerà offerta accetta a
Dio (70).
Un pegno di questa speranza e un alimento per il
cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel
sacramento della fede nel quale degli elementi
naturali coltivati dall'uomo vengono trasmutati nel
Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto
di comunione fraterna che è pregustazione del
convito del cielo.
39. Terra nuova e cielo nuovo.
Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e
l'umanità (71) e non sappiamo in che modo sarà
trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto
di questo mondo, deformato dal peccato (72).
Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una
nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la
giustizia (73), e la cui felicità sazierà
sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che
salgono nel cuore degli uomini (74).
Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno
risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in
infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilità
(75); resterà la carità coi suoi frutti (76), e sarà
liberata dalla schiavitù della vanità (77) tutta
quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo.
Certo, siamo avvertiti che niente giova all'uomo
se guadagna il mondo intero ma perde se stesso (78).
Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve
indebolire, bensì piuttosto stimolare la
sollecitudine nel lavoro relativo alla terra
presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova
che già riesce ad offrire una certa prefigurazione,
che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si debba accuratamente
distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del
regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella
misura in cui può contribuire a meglio ordinare
l'umana società, è di grande importanza per il regno
di Dio (79). Ed infatti quei valori, quali la
dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la
libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e
della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi
sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il
suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma
purificati da ogni macchia, illuminati e
trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al
Padre « il regno eterno ed universale: che è regno
di verità e di vita, regno di santità e di grazia,
regno di giustizia, di amore e di pace » (80).
Qui sulla terra il regno è già presente, in
mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a
perfezione.
CAPITOLO IVLA MISSIONE DELLA
CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO
40. Mutua relazione tra Chiesa e mondo.
Tutto quello che abbiamo detto a proposito della
dignità della persona umana, della comunità degli
uomini, del significato profondo della attività
umana, costituisce il fondamento del rapporto tra
Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra
loro (81).
In questo capitolo, pertanto, presupponendo tutto
ciò che il Concilio ha già insegnato circa il
mistero della Chiesa, si viene a prendere in
considerazione la medesima Chiesa in quanto si trova
nel mondo e insieme con esso vive ed agisce.
La Chiesa, procedendo dall'amore dell'eterno
Padre (82), fondata nel tempo dal Cristo redentore,
radunata nello Spirito Santo (83), ha una finalità
salvifica ed escatologica che non può essere
raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Ma
essa è già presente qui sulla terra, ed è composta
da uomini, i quali appunto sono membri della città
terrena chiamati a formare già nella storia
dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve
crescere costantemente fino all'avvento del Signore.
Unita in vista dei beni celesti e da essi
arricchita, tale famiglia fu da Cristo « costituita
e ordinata come società in questo mondo » (84) e
fornita di « mezzi capaci di assicurare la sua
unione visibile e sociale » (85). Perciò la Chiesa,
che è insieme « società visibile e comunità
spirituale » (86) cammina insieme con l'umanità
tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima
sorte terrena; essa è come il fermento e quasi
l'anima della società umana (87), destinata a
rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di
Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città
celeste non può certo essere percepita se non con la
fede; resta, anzi, il mistero della storia umana,
che è turbata dal peccato fino alla piena
manifestazione dello splendore dei figli di Dio.
Ma la Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di
salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina;
essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il
mondo la luce che questa vita divina irradia, e lo
fa specialmente per il fatto che risana ed eleva la
dignità della persona umana, consolida la compagine
della umana società e conferisce al lavoro
quotidiano degli uomini un più profondo senso e
significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi
membri e con tutta intera la sua comunità, crede di
poter contribuire molto a umanizzare di più la
famiglia degli uomini e la sua storia.
Inoltre la Chiesa cattolica volentieri tiene in
gran conto il contributo che, per realizzare il
medesimo compito, han dato e danno, cooperando
insieme, le altre Chiese o comunità ecclesiali.
Al tempo stesso essa è persuasa che, per
preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle
in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità
e l'attività dei singoli o delle società che lo
compongono. Allo scopo di promuovere debitamente
tale mutuo scambio ed aiuto, nei campi che in
qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo,
vengono qui esposti alcuni principi generali.
41. L'aiuto che la Chiesa intende offrire
agli individui.
L'uomo d'oggi procede sulla strada di un più
pieno sviluppo della sua personalità e di una
progressiva scoperta e affermazione dei propri
diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di
manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine
ultimo dell'uomo, essa al tempo stesso svela
all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale
a dire la verità profonda sull'uomo.
Essa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è
dedita, dà risposta ai più profondi desideri del
cuore umano, che mai può essere pienamente saziato
dagli elementi terreni.
Sa ancora che l'uomo, sollecitato incessantemente
dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto
indifferente davanti al problema religioso, come
dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati,
ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri.
L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere,
almeno confusamente, quale sia il significato della
sua vita, della sua attività e della sua morte. E la
Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli
richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto
Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha
redento dal peccato, può offrire a tali problemi una
risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per
mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio
suo, che si è fatto uomo.
Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa
anch'egli più uomo.
Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre
la dignità della natura umana al fluttuare di tutte
le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il
corpo umano, oppure lo esaltano troppo.
Nessuna legge umana è in grado di assicurare la
dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il
Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.
Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la
libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù
che deriva in ultima analisi dal peccato (88) onora
come sacra la dignità della coscienza e la sua
libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare
tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il
bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla
carità di tutti (89).
Ciò corrisponde alla legge fondamentale della
economia cristiana.
Benché, infatti, i1 Dio Salvatore e il Dio
Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si
identifichino il Signore della storia umana e il
Signore della storia della salvezza, tuttavia in
questo stesso ordine divino la giusta autonomia
della creatura, specialmente dell'uomo, lungi
dall'essere soppressa, viene piuttosto restituita
alla sua dignità e in essa consolidata.
Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo
affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e
apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri
tali diritti vengono promossi ovunque.
Questo movimento tuttavia deve essere impregnato
dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto
contro ogni specie di falsa autonomia.
Siamo, infatti, esposti alla tentazione di
pensare che i nostri diritti personali sono
pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni
norma di legge divina.
Ma per questa strada la dignità della persona
umana non si salva e va piuttosto perduta.
42. L'aiuto che la Chiesa intende dare alla
società umana.
L'unione della famiglia umana viene molto
rafforzata e completata dall'unità della famiglia
dei figli di Dio, fondata sul Cristo (90). Certo, la
missione propria che Cristo ha affidato alla sua
Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale:
il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine
religioso (91).
Eppure proprio da questa missione religiosa
scaturiscono compiti, luce e forze, che possono
contribuire a costruire e a consolidare la comunità
degli uomini secondo la legge divina.
Così pure, dove fosse necessario, a seconda delle
circostanze di tempo e di luogo, anch'essa può, anzi
deve suscitare opere destinate al servizio di tutti,
ma specialmente dei bisognosi, come, per esempio,
opere di misericordia e altre simili.
La Chiesa, inoltre, riconosce tutto ciò che di
buono si trova nel dinamismo sociale odierno,
soprattutto il movimento verso l'unità, il progresso
di una sana socializzazione e della solidarietà
civile ed economica. Promuovere l'unità corrisponde
infatti alla intima missione della Chiesa, la quale
è appunto « in Cristo quasi un sacramento, ossia
segno e strumento di intima unione con Dio e
dell'unità di tutto il genere umano» (92). Così essa
mostra al mondo che una vera unione sociale
esteriore discende dalla unione delle menti e dei
cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con
cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata
nello Spirito Santo.
Infatti, la forza che la Chiesa riesce a
immettere nella società umana contemporanea consiste
in quella fede e carità effettivamente vissute, e
non in una qualche sovranità esteriore esercitata
con mezzi puramente umani. Inoltre, siccome in forza
della sua missione e della sua natura non è legata
ad alcuna particolare forma di cultura umana o
sistema politico, economico, o sociale, la Chiesa
per questa sua universalità può costituire un legame
strettissimo tra le diverse comunità umane e
nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le
riconoscano di fatto una vera libertà per il
compimento della sua missione. Per questo motivo la
Chiesa esorta i suoi figli, come pure tutti gli
uomini, a superare, in questo spirito di famiglia
proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni
e razze, e a consolidare interiormente le legittime
associazioni umane. Il Concilio, dunque, considera
con grande rispetto tutto ciò che di vero, di buono
e di giusto si trova nelle istituzioni, pur così
diverse, che la umanità si è creata e continua a
crearsi. Dichiara inoltre che la Chiesa vuole
aiutare e promuovere tutte queste istituzioni, per
quanto ciò dipende da lei ed è compatibile con la
sua missione.
Niente le sta più a cuore che di servire al bene
di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto
qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali
della persona e della famiglia e riconosca le
esigenze del bene comune.
43. L'aiuto che la Chiesa intende dare
all'attività umana per mezzo dei cristiani.
Il Concilio esorta i cristiani, cittadini
dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di
compiere fedelmente i propri doveri terreni,
facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.
Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non
abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo
quella futura (93), pensano che per questo possono
trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono
che invece proprio la fede li obbliga ancora di più
a compierli, secondo la vocazione di ciascuno (94).
A loro volta non sono meno in errore coloro che
pensano di potersi immergere talmente nelle attività
terrene, come se queste fossero del tutto estranee
alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo
loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni
doveri morali.
La dissociazione, che si costata in molti, tra la
fede che professano e la loro vita quotidiana, va
annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.
Contro questo scandalo (95) già nell'Antico
Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri
i profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel
Nuovo Testamento, minacciava gravi castighi (96).
Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra
le attività professionali e sociali da una parte, e
la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che
trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi
doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e
mette in pericolo la propria salvezza eterna.
Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo
l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter
esplicare tutte le loro attività terrene unificando
gli sforzi umani, domestici, professionali,
scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale
insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima
direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio. Ai
laici spettano propriamente, anche se non
esclusivamente, gli impegni e le attività temporali.
Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del
mondo, sia individualmente sia associati, non solo
rispetteranno le leggi proprie di ciascuna
disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera
perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro
cooperazione a quanti mirano a identiche finalità.
Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni
della sua forza, escogitino senza tregua nuove
iniziative, ove occorra, e ne assicurino la
realizzazione.
Spetta alla loro coscienza, già convenientemente
formata, di inscrivere la legge divina nella vita
della città terrena. Dai sacerdoti i laici si
aspettino luce e forza spirituale.
Non pensino però che i loro pastori siano sempre
esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che
sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere
pronta una soluzione concreta, o che proprio a
questo li chiami la loro missione; assumano invece
essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla
luce della sapienza cristiana e facendo attenzione
rispettosa alla dottrina del Magistero (97).
Per lo più sarà la stessa visione cristiana della
realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una
determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli
altrettanto sinceramente potranno esprimere un
giudizio diverso sulla medesima questione, come
succede abbastanza spesso e legittimamente.
Ché se le soluzioni proposte da un lato o
dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti,
vengono facilmente da molti collegate con il
messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi
che nessuno ha il diritto di rivendicare
esclusivamente in favore della propria opinione
l'autorità della Chiesa.
Invece cerchino sempre di illuminarsi
vicendevolmente attraverso un dialogo sincero,
mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in
primo luogo del bene comune.
I laici, che hanno responsabilità attive dentro
tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a
procurare l'animazione del mondo con lo spirito
cristiano, ma sono chiamati anche ad essere
testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in
mezzo alla comunità umana.
I vescovi, poi, cui è affidato l'incarico di
reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i loro
preti predicare il messaggio di Cristo in modo tale
che tutte le attività terrene dei fedeli siano
pervase dalla luce del Vangelo.
Inoltre i pastori tutti ricordino che essi con la
loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine
(98) mostrano al mondo un volto della Chiesa, in
base al quale gli uomini si fanno un giudizio sulla
efficacia e sulla verità del messaggio cristiano.
Con la vita e con la parola, uniti ai religiosi e ai
loro fedeli, dimostrino che la Chiesa, già con la
sola sua presenza, con tutti i doni che contiene, è
sorgente inesauribile di quelle forze di cui ha
assoluto bisogno il mondo moderno.
Con lo studio assiduo si rendano capaci di
assumere la propria responsabilità nel dialogo col
mondo e con gli uomini di qualsiasi opinione.
Soprattutto però abbiano in mente le parole di
questo Concilio: « Siccome oggi l'umanità va sempre
più organizzandosi in unità civile, economica e
sociale, è tanto più necessario che i sacerdoti,
unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei vescovi e
del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di
dispersione, affinché tutto il genere umano sia
ricondotto all'unità della famiglia di Dio » (99).
Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito
Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e
non abbia mai cessato di essere segno di salvezza
nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra
i suoi membri sia chierici che laici (100), nel
corso della sua lunga storia, non sono mancati di
quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio.
E anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto
distanti siano tra loro il messaggio ch'essa reca e
l'umana debolezza di coloro cui è affidato il
Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia dà
di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e
combatterli con forza, perché non ne abbia danno la
diffusione del Vangelo. Così pure la Chiesa sa bene
quanto essa debba continuamente maturare imparando
dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i
suoi rapporti col mondo.
Guidata dallo Spirito Santo, la madre Chiesa non
si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi
e a rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda
ancor più chiaramente sul volto della Chiesa» (101).
44. L'aiuto che la Chiesa riceve dal mondo
contemporaneo.
Come è importante per il mondo che esso riconosca
la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo
fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa
abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del
genere umano. L'esperienza dei secoli passati, il
progresso della scienza, i tesori nascosti nelle
varie forme di cultura umana, attraverso cui si
svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si
aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di
vantaggio anche per la Chiesa.
Essa, infatti, fin dagli inizi della sua storia,
imparò ad esprimere il messaggio di Cristo
ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi
popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la
sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare
il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla
comprensione di tutti, sia alle esigenze dei
sapienti. E tale adattamento della predicazione
della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni
evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata
in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il
modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo
stesso viene promosso uno scambio vitale tra la
Chiesa e le diverse culture dei popoli (102). Allo
scopo di accrescere tale scambio, oggi soprattutto,
che i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i
modi di pensare, la Chiesa ha bisogno particolare
dell'apporto di coloro che, vivendo nel mondo, ne
conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne
capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di
non credenti.
È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto
dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito
Santo, ascoltare attentamente, discernere e
interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e
saperli giudicare alla luce della parola di Dio,
perché la verità rivelata sia capita sempre più a
fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata
in forma più adatta.
La Chiesa, avendo una struttura sociale visibile,
che è appunto segno della sua unità in Cristo, può
essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo
sviluppo della vita sociale umana non perché manchi
qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per
conoscere questa più profondamente, per meglio
esprimerla e per adattarla con più successo ai
nostri tempi.
Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua
comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari
aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione.
Chiunque promuove la comunità umana nell'ordine
della famiglia, della cultura, della vita economica
e sociale, come pure della politica, sia nazionale
che internazionale, porta anche non poco aiuto,
secondo il disegno di Dio, alla comunità della
Chiesa, nella misura in cui questa dipende da
fattori esterni.
Anzi, la Chiesa confessa che molto giovamento le
è venuto e le può venire perfino dall'opposizione di
quanti la avversano o la perseguitano (103).
45. Cristo, l'alfa e l'omega.
La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel
ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che
venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza
dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo
di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del
suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che
la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza»
(104) che svela e insieme realizza il mistero
dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di
Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è
fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo
perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione
universale. Il Signore è il fine della storia umana,
« il punto focale dei desideri della storia e della
civiltà », il centro del genere umano, la gioia
d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni
(105). Egli è colui che il Padre ha risuscitato da
morte, ha esaltato e collocato alla sua destra,
costituendolo giudice dei vivi e dei morti.
Vivificati e radunati nel suo Spirito, come
pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione
della storia umana, che corrisponde in pieno al
disegno del suo amore: « Ricapitolare tutte le cose
in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra
» (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: « Ecco, io
vengo presto, e porto con me il premio, per
retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono
l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio
e il fine» (Ap 22,12-13).
PARTE II
ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI
46. Proemio
Dopo aver esposto di quale dignità
è insignita la persona dell'uomo e quale compito,
individuale e sociale, egli è chiamato ad adempiere
sulla terra, il Concilio, alla luce del Vangelo e
dell'esperienza umana, attira ora l'attenzione di
tutti su alcuni problemi contemporanei
particolarmente urgenti, che toccano in modo
specialissimo il genere umano. Tra le numerose
questioni che oggi destano l'interesse generale,
queste meritano particolare menzione: il matrimonio
e la famiglia, la cultura umana, la vita
economico-sociale, la vita politica, la solidarietà
tra le nazioni e la pace. Sopra ciascuna di esse
risplendano i principi e la luce che provengono da
Cristo; così i cristiani avranno una guida e tutti
gli uomini potranno essere illuminati nella ricerca
delle soluzioni di problemi tanto numerosi e
complessi.
CAPITOLO I
DIGNITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA
FAMIGLIA E SUA VALORIZZAZIONE
47. Matrimonio e famiglia
nel mondo d'oggi
Il bene della persona e della
società umana e cristiana è strettamente connesso
con una felice situazione della comunità coniugale e
familiare. Perciò i cristiani, assieme con quanti
hanno alta stima di questa comunità, si rallegrano
sinceramente dei vari sussidi, con i quali gli
uomini favoriscono oggi la formazione di questa
comunità di amore e la stima ed il rispetto della
vita: sussidi che sono di aiuto a coniugi e genitori
della loro eminente missione; da essi i cristiani
attendono sempre migliori vantaggi e si sforzano di
promuoverli.
Però la dignità di questa
istituzione non brilla dappertutto con identica
chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla
piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da
altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è
molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e
da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre le
odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e
civili portano turbamenti non lievi nella vita
familiare. E per ultimo in determinate parti del
mondo si avvertono non senza preoccupazioni i
problemi posti dall'incremento demografico. Da tutto
ciò sorgono difficoltà che angustiano la coscienza.
Tuttavia il valore e la solidità dell'istituto
matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto
che le profonde mutazioni dell'odierna società,
nonostante le difficoltà che ne scaturiscono, molto
spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera
natura di questa istituzione.
Perciò il Concilio, mettendo in
chiara luce alcuni punti capitali della dottrina
della Chiesa, si propone di illuminare e
incoraggiare i cristiani e tutti gli uomini che si
sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità
naturale e l'altissimo valore sacro dello stato
matrimoniale.
48. Santità del matrimonio e
della famiglia
L'intima comunità di vita e
d'amore coniugale, fondata dal Creatore e
strutturata con leggi proprie, è stabilita
dall'alleanza dei coniugi, vale a dire
dall'irrevocabile consenso personale. E così, è
dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si
danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla
società, l'istituzione del matrimonio, che ha
stabilità per ordinamento divino. In vista del bene
dei coniugi, della prole e anche della società,
questo legame sacro non dipende dall'arbitrio
dell'uomo . Perché è Dio stesso l'autore del
matrimonio, dotato di molteplici valori e fini
(106): tutto ciò è di somma importanza per la
continuità del genere umano, il progresso personale
e la sorte eterna di ciascuno dei membri della
famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la
prosperità della stessa famiglia e di tutta la
società umana.
Per la sua stessa natura
l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono
ordinati alla procreazione e alla educazione della
prole e in queste trovano il loro coronamento. E
così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale
« non sono più due, ma una sola carne » (Mt 19,6),
prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima
unione delle persone e delle attività, esperimentano
il senso della propria unità e sempre più pienamente
la conseguono.
Questa intima unione, in quanto
mutua donazione di due persone, come pure il bene
dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne
reclamano l'indissolubile unità (107).
Cristo Signore ha effuso
l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore
dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della
divina carità e strutturato sul modello della sua
unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha
preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà
(108) con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli
uomini e sposo della Chiesa (109) viene incontro ai
coniugi cristiani attraverso il sacramento del
matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come
egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa
(110) così anche i coniugi possano amarsi l'un
l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione.
L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore
divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza
redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della
Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano
condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello
svolgimento della sublime missione di padre e madre
(111). Per questo motivo i coniugi cristiani sono
fortificati e quasi consacrati da uno speciale
sacramento (112) per i doveri e la dignità del loro
stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale
sacramento il loro dovere coniugale e familiare,
penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del
quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza
e carità, tendono a raggiungere sempre più la
propria perfezione e la mutua santificazione, ed
assieme rendono gloria a Dio.
Prevenuti dall'esempio e dalla
preghiera comune dei genitori, i figli, anzi tutti
quelli che vivono insieme nell'ambito familiare,
troveranno più facilmente la strada di una
formazione veramente umana, della salvezza e della
santità.
Quanto agli sposi, insigniti della
dignità e responsabilità di padre e madre,
adempiranno diligentemente il dovere
dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta
loro prima che a chiunque altro.
I figli, come membra vive della
famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla
santificazione dei genitori. Risponderanno, infatti,
ai benefici ricevuti dai genitori con affetto
riconoscente, con pietà filiale e fiducia; e li
assisteranno, come si conviene a figli, nelle
avversità della vita e nella solitudine della
vecchiaia. La vedovanza, accettata con coraggio come
continuazione della vocazione coniugale sia onorata
da tutti (113). La famiglia metterà con generosità
in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze
spirituali. Allora la famiglia cristiana che nasce
dal matrimonio, come immagine e partecipazione
dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa
(114) renderà manifesta a tutti la viva presenza del
Salvatore nel mondo e la genuina natura della
Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa,
l'unità e la fedeltà degli sposi, che con
l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri.
49. L'amore coniugale
I fidanzati sono ripetutamente
invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare
il loro fidanzamento con un amore casto, e gli sposi
la loro unione matrimoniale con un affetto senza
incrinature (115). Anche molti nostri contemporanei
annettono un grande valore al vero amore tra marito
e moglie, che si manifesta in espressioni diverse a
seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi.
Proprio perché atto eminentemente umano, essendo
diretto da persona a persona con un sentimento che
nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene
di tutta la persona; perciò ha la possibilità di
arricchire di particolare dignità le espressioni del
corpo e della vita psichica e di nobilitarle come
elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale.
Il Signore si è degnato di sanare,
perfezionare ed elevare questo amore con uno
speciale dono di grazia e carità. Un tale amore,
unendo assieme valori umani e divini, conduce gli
sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si
esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e
pervade tutta quanta la vita dei coniugi (116) anzi,
diventa più perfetto e cresce proprio mediante il
generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò,
alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente
coltivata, presto e miseramente svanisce.
Questo amore è espresso e
sviluppato in maniera tutta particolare
dall'esercizio degli atti che sono propri del
matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i
coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e
degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono
la mutua donazione che essi significano ed
arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella
gratitudine gli sposi stessi. Quest'amore,
ratificato da un impegno mutuo e soprattutto
consacrato da un sacramento di Cristo, resta
indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva
sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di
conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio.
L'unità del matrimonio, confermata dal Signore,
appare in maniera lampante anche dalla uguale
dignità personale che bisogna riconoscere sia
all'uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.
Per tener fede costantemente agli
impegni di questa vocazione cristiana si richiede
una virtù fuori del comune; è per questo che i
coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa,
coltiveranno assiduamente la fermezza dell'amore, la
grandezza d'animo, lo spirito di sacrificio e li
domanderanno nella loro preghiera. Ma l'autentico
amore coniugale godrà più alta stima e si formerà al
riguardo una sana opinione pubblica, se i coniugi
cristiani danno testimonianza di fedeltà e di
armonia nell'amore come anche di sollecitudine
nell'educazione dei figli, e se assumono la loro
responsabilità nel necessario rinnovamento
culturale, psicologico e sociale a favore del
matrimonio e della famiglia.
I giovani siano adeguatamente
istruiti, molto meglio se in seno alla propria
famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla
sua funzione e le sue espressioni; così che, formati
nella stima della castità, possano ad età
conveniente passare da un onesto fidanzamento alle
nozze.
50. La fecondità del
matrimonio
Il matrimonio e l'amore coniugale
sono ordinati per loro natura alla procreazione ed
educazione della prole. I figli infatti sono il dono
più eccellente del matrimonio e contribuiscono
grandemente al bene dei genitori stessi. Dio che
disse: « non è bene che l'uomo sia solo» (Gn 2,18) e
«che creò all'inizio l'uomo maschio e femmina » (Mt
19,4), volendo comunicare all'uomo una speciale
partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse
l'uomo e la donna, dicendo loro: «crescete e
moltiplicatevi» (Gn 1,28). Di conseguenza un amore
coniugale vero e ben compreso e tutta la struttura
familiare che ne nasce tendono, senza trascurare gli
altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi
disponibili a cooperare coraggiosamente con l'amore
del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro
continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.
I coniugi sappiano di essere
cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi
interpreti nel compito di trasmettere la vita umana
e di educarla; ciò deve essere considerato come
missione loro propria.
E perciò adempiranno il loro
dovere con umana e cristiana responsabilità e, con
docile riverenza verso Dio, di comune accordo e con
sforzo comune, si formeranno un retto giudizio:
tenendo conto sia del proprio bene personale che di
quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli
che si prevede nasceranno; valutando le condizioni
sia materiali che spirituali della loro epoca e del
loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del
bene della comunità familiare, della società
temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in
ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio,
gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta
i coniugi cristiani siano consapevoli che non
possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre
essere retti da una coscienza che sia con forme alla
legge divina stessa; e siano docili al magistero
della Chiesa, che interpreta in modo autentico
quella legge alla luce del Vangelo.
Tale legge divina manifesta il
significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge
e lo conduce verso la sua perfezione veramente
umana.
Così quando gli sposi cristiani,
fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo
spirito di sacrificio (117), svolgono il loro ruolo
procreatore e si assumono generosamente le loro
responsabilità umane e cristiane, glorificano il
Creatore e tendono alla perfezione cristiana.
Tra i coniugi che in tal modo
adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da
ricordare in modo particolare quelli che, con
decisione prudente e di comune accordo, accettano
con grande animo anche un più grande numero di figli
da educare convenientemente (118).
Il matrimonio tuttavia non è stato
istituito soltanto per la procreazione; il carattere
stesso di alleanza indissolubile tra persone e il
bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei
coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si
sviluppi e arrivi a maturità. E perciò anche se la
prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non
c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione
di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua
indissolubilità.
51. Accordo dell'amore
coniugale col rispetto della vita
Il Concilio sa che spesso i
coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la
loro vita coniugale, sono ostacolati da alcune
condizioni della vita di oggi, e possono trovare
circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno
per un certo tempo, il numero dei figli; non senza
difficoltà allora si può conservare la pratica di un
amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove,
infatti, è interrotta l'intimità della vita
coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in
pericolo e possa venir compromesso il bene dei
figli: allora corrono pericolo anche l'educazione
dei figli e il coraggio di accettarne altri.
C'è chi presume portare a questi
problemi soluzioni non oneste, anzi non rifugge
neppure dall'uccisione delle nuove vite. La Chiesa
ricorda, invece, che non può esserci vera
contraddizione tra le leggi divine, che reggono la
trasmissione della vita, e quelle che favoriscono
l'autentico amore coniugale.
Infatti Dio, padrone della vita,
ha affidato agli uomini l'altissima missione di
proteggere la vita: missione che deve essere
adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita,
una volta concepita, deve essere protetta con la
massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti
abominevoli. La sessualità propria dell'uomo e la
facoltà umana di generare sono meravigliosamente
superiori a quanto avviene negli stadi inferiori
della vita; perciò anche gli atti specifici della
vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità
umana, devono essere rispettati con grande stima.
Perciò, quando si tratta di mettere d'accordo
l'amore coniugale con la trasmissione responsabile
della vita, il carattere morale del comportamento
non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla
valutazione dei motivi, ma va determinato secondo
criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento
nella dignità stessa della persona umana e dei suoi
atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero
amore, il significato totale della mutua donazione e
della procreazione umana; cosa che risulterà
impossibile se non viene coltivata con sincero animo
la virtù della castità coniugale. I figli della
Chiesa, fondati su questi principi, nel regolare la
procreazione, non potranno seguire strade che sono
condannate dal Magistero nella spiegazione della
legge divina (119). Del resto, tutti sappiamo che la
vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono
limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi
trovano né la loro piena dimensione, né il loro
pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli
uomini.
52. L'impegno di tutti per
il bene del matrimonio e della famiglia
La famiglia è una scuola di
arricchimento umano. Perché però possa attingere la
pienezza della sua vita e del suo compimento, è
necessaria una amorevole apertura vicendevole di
animo tra i coniugi, e la consultazione reciproca e
una continua collaborazione tra i genitori nella
educazione dei figli. La presenza attiva del padre
giova moltissimo alla loro formazione; ma bisogna
anche permettere alla madre, di cui abbisognano
specialmente i figli più piccoli, di prendersi cura
del proprio focolare pur senza trascurare la
legittima promozione sociale della donna. I figli
poi, mediante l'educazione devono venire formati in
modo che, giunti alla maturità, possano seguire con
pieno senso di responsabilità la loro vocazione,
compresa quella sacra; e se sceglieranno lo stato di
vita coniugale, possano formare una propria famiglia
in condizioni morali, sociali ed economiche
favorevoli. È compito poi dei genitori o dei tutori
guidare i più giovani nella formazione di una nuova
famiglia con il consiglio prudente, presentato in
modo che questi lo ascoltino volentieri; dovranno
tuttavia evitare di esercitare forme di coercizione
diretta o indiretta su di essi per spingerli al
matrimonio o alla scelta di una determinata persona
come coniuge.
In questo modo la famiglia, nella
quale le diverse generazioni si incontrano e si
aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza
umana più completa e ad armonizzare i diritti della
persona con le altre esigenze della vita sociale, è
veramente il fondamento della società. Tutti coloro
che hanno influenza sulla società e sulle sue
diverse categorie, quindi, devono collaborare
efficacemente alla promozione del matrimonio e della
famiglia; e le autorità civili dovranno considerare
come un sacro dovere conoscere la loro vera natura,
proteggerli e farli progredire, difendere la
moralità pubblica e favorire la prosperità
domestica. In particolare dovrà essere difeso il
diritto dei genitori di generare la prole e di
educarla in seno alla famiglia. Una provvida
legislazione ed iniziative varie dovranno pure
proteggere ed aiutare opportunamente coloro che sono
purtroppo privi di una propria famiglia.
I cristiani, bene utilizzando il
tempo presente (120) e distinguendo le realtà
permanenti dalle forme mutevoli, si adoperino per
sviluppare diligentemente i valori del matrimonio e
della famiglia; lo faranno tanto con la
testimonianza della propria vita, quanto con
un'azione concorde con gli uomini di buona volontà.
Così, superando le difficoltà presenti, essi
provvederanno ai bisogni e agli interessi della
famiglia, in accordo con i tempi nuovi. A questo
fine sono di grande aiuto il senso cristiano dei
fedeli, la retta coscienza morale degli uomini, come
pure la saggezza e la competenza di chi è versato
nelle discipline sacre.
Gli esperti nelle scienze,
soprattutto biologiche, mediche, sociali e
psicologiche, possono portare un grande contributo
al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace
delle coscienze se, con l'apporto convergente dei
loro studi, cercheranno di chiarire sempre più a
fondo le diverse condizioni che favoriscono
un'ordinata e onesta procreazione umana.
È compito dei sacerdoti,
provvedendosi una necessaria competenza sui problemi
della vita familiare, aiutare amorosamente la
vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e
familiare con i vari mezzi della pastorale, con la
predicazione della parola di Dio, con il culto
liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con
bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli
con carità, perché si formino famiglie veramente
serene.
Le varie opere di apostolato,
specialmente i movimenti familiari, si adopereranno
a sostenere con la dottrina e con l'azione i giovani
e gli stessi sposi, particolarmente le nuove
famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale
ed apostolica.
Infine i coniugi stessi, creati ad
immagine del Dio vivente e muniti di un'autentica
dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo
affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune
santità (121),
cosi che, seguendo Cristo principio di vita (122)
nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione,
attraverso il loro amore fedele possano diventare
testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha
rivelato al mondo con la sua morte e la sua
risurrezione (123).
CAPITOLO II
LA
PROMOZIONE DELLA CULTURA
53.
Introduzione
È proprio
della persona umana il non poter raggiungere un
livello di vita veramente e pienamente umano se non
mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i
valori della natura. Perciò, ogniqualvolta si tratta
della vita umana, natura e cultura sono quanto mai
strettamente connesse.
Con il
termine generico di « cultura » si vogliono indicare
tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e
sviluppa le molteplici capacità della sua anima e
del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il
cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende
più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in
tutta la società civile, mediante il progresso del
costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del
tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere
le grandi esperienze e aspirazioni spirituali,
affinché possano servire al progresso di molti, anzi
di tutto il genere umano.
Di
conseguenza la cultura presenta necessariamente un
aspetto storico e sociale e la voce « cultura »
assume spesso un significato sociologico ed
etnologico. In questo senso si parla di pluralità
delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso
delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare
la religione e di formare i costumi, di fare le
leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare
le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno
origine i diversi stili di vita e le diverse scale
di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma
il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così
pure si costituisce l'ambiente storicamente definito
in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si
inserisce, e da cui attinge i beni che gli
consentono di promuovere la civiltà.
Sezione
1: La situazione della cultura nel mondo odierno
54.
Nuovi stili di vita
Le
condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto
l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente
cambiate, così che è lecito parlare di una nuova
epoca della storia umana (124). Di qui si aprono
nuove vie per perfezionare e diffondere più
largamente la cultura. Esse sono state preparate da
un grandioso sviluppo delle scienze naturali e
umane, anche sociali, dal progresso delle tecniche,
dallo sviluppo e dall'organizzazione degli strumenti
di comunicazione sociale. Perciò la cultura odierna
è caratterizzata da alcune note distintive: le
scienze dette «esatte» affinano al massimo il senso
critico; i più recenti studi di psicologia spiegano
in profondità l'attività umana; le scienze storiche
spingono fortemente a considerare le cose sotto
l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i
modi di vivere ed i costumi diventano sempre più
uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e le
altre cause che favoriscono la vita collettiva
creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da
cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, di
impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti
fra le varie nazioni e le classi sociali rivela più
ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori delle
diverse forme di cultura, e così poco a poco si
prepara una forma di cultura umana più universale,
la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del
genere umano, quanto meglio rispetta le
particolarità delle diverse culture.
55.
L'uomo artefice della cultura
Cresce
sempre più il numero degli uomini e delle donne di
ogni gruppo o nazione che prendono coscienza di
essere artefici e promotori della cultura della
propria comunità. In tutto il mondo si sviluppa
sempre più il senso dell'autonomia e della
responsabilità, cosa che è di somma importanza per
la maturità spirituale e morale dell'umanità. Ciò
appare ancor più chiaramente se teniamo presente
l'unificazione del mondo e il compito che ci si
impone di costruire un mondo migliore nella verità e
nella giustizia. In tal modo siamo testimoni della
nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si
definisce anzitutto per la sua responsabilità verso
i suoi fratelli e verso la storia.
56.
Difficoltà e compiti
In queste
condizioni non stupisce che l'uomo sentendosi
responsabile del progresso della cultura, nutra
grandi speranze, ma consideri pure con ansietà le
molteplici antinomie esistenti ch'egli deve
risolvere. Che cosa si deve fare affinché gli
intensificati rapporti culturali, che dovrebbero
condurre ad un vero e fruttuoso dialogo tra classi e
nazioni diverse, non turbino la vita delle comunità,
né sovvertano la sapienza dei padri, né mettano in
pericolo il carattere proprio di ciascun popolo?
In qual
modo promuovere il dinamismo e l'espansione della
nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al
patrimonio della tradizione? Questo problema si pone
con particolare urgenza là dove la cultura, che
nasce dal grande sviluppo scientifico e tecnico, si
deve armonizzare con la cultura che, secondo le
varie tradizioni, viene alimentata dagli studi
classici.
In qual
maniera conciliare una così rapida e crescente
diversificazione delle scienze specializzate, con la
necessità di farne la sintesi e di mantenere
nell'uomo le facoltà della contemplazione e
dell'ammirazione che conducono alla sapienza?
Che cosa
fare affinché le moltitudini siano rese partecipi
dei beni della cultura, proprio quando la cultura
degli specialisti diviene sempre più alta e
complessa?
Come,
infine, riconoscere come legittima l'autonomia che
la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a
un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla
religione?
In mezzo a
queste antinomie, la cultura umana va oggi
sviluppata in modo da perfezionare con giusto ordine
la persona umana nella sua integrità e da aiutare
gli uomini nell'esplicazione di quei compiti, al cui
adempimento tutti, ma specialmente i cristiani
fraternamente uniti in seno all'unica famiglia
umana, sono chiamati.
Sezione
2: Alcuni principi riguardanti la retta promozione
della cultura
57.
Fede e cultura
I
cristiani, in cammino verso la città celeste, devono
ricercare e gustare le cose di lassù (125) questo
tuttavia non diminuisce, anzi aumenta l'importanza
del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini
per la costruzione di un mondo più umano. E in
verità il mistero della fede cristiana offre loro
eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con
maggiore impegno questo compito e specialmente per
scoprire il pieno significato di quest'attività,
mediante la quale la cultura umana acquista un posto
importante nella vocazione integrale dell'uomo.
L'uomo
infatti, quando coltiva la terra col lavoro delle
sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché
essa produca frutto e diventi una dimora degna di
tutta la famiglia umana, e quando partecipa
consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua
il disegno di Dio, manifestato all'inizio dei tempi,
di assoggettare la terra (126) e di perfezionare la
creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo
mette in pratica il grande comandamento di Cristo di
prodigarsi al servizio dei fratelli.
L'uomo
inoltre, applicandosi allo studio delle varie
discipline, quali la filosofia, la storia, la
matematica, le scienze naturali, e coltivando
l'arte, può contribuire moltissimo ad elevare
l'umana famiglia a più alti concetti del vero, del
bene e del bello e a una visione delle cose di
universale valore; in tal modo essa sarà più
vivamente illuminata da quella mirabile Sapienza,
che dall'eternità era con Dio, disponendo con lui
ogni cosa, giocando sull'orbe terrestre e trovando
le sue delizie nello stare con i figli degli uomini
(127).
Per ciò
stesso lo spirito umano, più libero dalla schiavitù
delle cose, può innalzarsi con maggiore speditezza
al culto ed alla contemplazione del Creatore. Anzi,
sotto l'impulso della grazia si dispone a
riconoscere il Verbo di Dio che, prima di farsi
carne per tutto salvare e ricapitolare in se stesso,
già era « nel mondo » come « luce vera che illumina
ogni uomo » (Gv 1,9) (128).
Certo,
l'odierno progresso delle scienze e della tecnica,
che in forza del loro metodo non possono penetrare
nelle intime ragioni delle cose, può favorire un
certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo
di investigazione di cui fanno uso queste scienze
viene a torto innalzato a norma suprema di ricerca
della verità totale. Anzi, vi è il pericolo che
l'uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte,
pensi di bastare a se stesso e non cerchi più valori
superiori.
Questi
fatti deplorevoli però non scaturiscono
necessariamente dalla odierna cultura, né debbono
indurci nella tentazione di non riconoscere i suoi
valori positivi. Fra questi si annoverano: il gusto
per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella
indagine scientifica, la necessità di collaborare
con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il
senso della solidarietà internazionale, la coscienza
sempre più viva della responsabilità degli esperti
nell'aiutare e proteggere gli uomini, la volontà di
rendere più felici le condizioni di vita per tutti,
specialmente per coloro che soffrono per la
privazione della responsabilità personale o per la
povertà culturale. Tutti questi valori possono
essere in qualche modo una preparazione a ricevere
l'annunzio del Vangelo; preparazione che potrà
essere portata a compimento dalla divina carità di
colui che è venuto a salvare il mondo.
58. I
molteplici rapporti fra il Vangelo di Cristo e la
cultura
Fra il
messaggio della salvezza e la cultura esistono
molteplici rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo
popolo fino alla piena manifestazione di sé nel
Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di
cultura proprio delle diverse epoche storiche.
Parimenti
la Chiesa, che ha conosciuto nel corso dei secoli
condizioni d'esistenza diverse, si è servita delle
differenti culture per diffondere e spiegare nella
sua predicazione il messaggio di Cristo a tutte le
genti, per studiarlo ed approfondirlo, per meglio
esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della
multiforme comunità dei fedeli.
Ma nello
stesso tempo, inviata a tutti i popoli di qualsiasi
tempo e di qualsiasi luogo (129), non è legata in
modo esclusivo e indissolubile a nessuna razza o
nazione, a nessun particolare modo di vivere, a
nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla
propria tradizione e nello stesso tempo cosciente
dell'universalità della sua missione (130), può
entrare in comunione con le diverse forme di
cultura; tale comunione arricchisce tanto la Chiesa
stessa quanto le varie culture.
Il Vangelo
di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura
dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e
i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione
del peccato. Continuamente purifica ed eleva la
moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale
feconda dall'interno, fortifica, completa e restaura
in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun
popolo. In tal modo la Chiesa, compiendo la sua
missione già con questo stesso fatto stimola e dà il
suo contributo alla cultura umana e civile e,
mediante la sua azione, anche liturgica, educa
l'uomo alla libertà interiore.
59.
Armonizzazione dei diversi aspetti della cultura
Per i
motivi suddetti la Chiesa ricorda a tutti che la
cultura deve mirare alla perfezione integrale della
persona umana, al bene della comunità e di tutta la
società umana. Perciò è necessario coltivare lo
spirito in modo che si sviluppino le facoltà
dell'ammirazione, dell'intuizione, della
contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un
giudizio personale e di coltivare il senso
religioso, morale e sociale.
Infatti la
cultura, scaturendo direttamente dalla natura
ragionevole e sociale dell'uomo, ha un incessante
bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si
deve riconoscere la legittima possibilità di
esercizio autonomo secondo i propri principi. A
ragione dunque essa esige rispetto e gode di una
certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti
della persona e della comunità, sia particolare sia
universale, entro i limiti del bene comune.
Il sacro
Concilio, richiamando ciò che insegnò il Concilio
Vaticano I, dichiara che « esistono due ordini di
conoscenza » distinti, cioè quello della fede e
quello della ragione, e che la Chiesa non vieta che
«le arti e le discipline umane (...) si servano,
nell'ambito proprio a ciascuna, di propri principi e
di un proprio metodo »; perciò, « riconoscendo
questa giusta libertà », la Chiesa afferma la
legittima autonomia della cultura e specialmente
delle scienze (131).
Tutto
questo esige pure che l'uomo, nel rispetto
dell'ordine morale e della comune utilità, possa
liberamente cercare la verità, manifestare e
diffondere le sue opinioni, e coltivare qualsiasi
arte; esige, infine, che sia informato secondo
verità degli eventi della vita pubblica (132).
È compito
dei pubblici poteri, non determinare il carattere
proprio delle forme di cultura, ma assicurare le
condizioni e i sussidi atti a promuovere la vita
culturale fra tutti, anche fra le minoranze di una
nazione (133). Perciò bisogna innanzi tutto esigere
che la cultura, stornata dal proprio fine, non sia
costretta a servire il potere politico o il potere
economico.
Sezione
3: Alcuni doveri più urgenti per i cristiani circa
la cultura
60.
Il riconoscimento del diritto di ciascuno alla
cultura e sua attuazione
Poiché si
offre ora la possibilità di liberare moltissimi
uomini dal flagello dell'ignoranza, è compito
sommamente confacente al nostro tempo, in specie per
i cristiani, lavorare indefessamente perché tanto in
campo economico quanto in campo politico, tanto sul
piano nazionale quanto sul piano internazionale,
siano prese le decisioni fondamentali, mediante le
quali sia riconosciuto e attuato dovunque il diritto
di tutti a una cultura umana conforme alla dignità
della persona, senza distinzione di razza, di sesso,
di nazione, di religione o di condizione sociale.
Perciò è necessario procurare a tutti una quantità
sufficiente di beni culturali, specialmente di
quelli che costituiscono la cosiddetta cultura di
base, affinché moltissimi non siano impediti, a
causa dell'analfabetismo e della privazione di
un'attività responsabile, di dare una collaborazione
veramente umana al bene comune.
Occorre
perciò fare ogni sforzo affinché quelli che ne sono
capaci possano accedere agli studi superiori; ma in
tale maniera che, per quanto è possibile, essi
possano occuparsi nell'umana società di quelle
funzioni, compiti e servizi che corrispondono alle
loro attitudini naturali e alle competenze acquisite
(134). Così ognuno e i gruppi sociali di ciascun
popolo potranno raggiungere il pieno sviluppo della
loro vita culturale, in conformità con le doti e
tradizioni loro proprie.
Bisogna
inoltre fare di tutto perché ciascuno prenda
coscienza tanto del diritto alla cultura, quanto del
dovere di coltivarsi e di aiutare gli altri. Vi sono
talora condizioni di vita e di lavoro che
impediscono lo sforzo culturale e perciò distruggono
l'interesse per la cultura. Questo vale in modo
speciale per gli agricoltori e gli operai, ai quali
bisogna assicurare condizioni di lavoro tali che non
impediscano, ma promuovano la loro vita culturale.
Le donne lavorano già in quasi tutti i settori della
vita; conviene però che esse possano svolgere
pienamente i loro compiti secondo le attitudini loro
proprie. Sarà dovere di tutti far si che la
partecipazione propria e necessaria delle donne
nella vita culturale sia riconosciuta e promossa.
61.
L'educazione ad una cultura integrale
Oggi vi è
più difficoltà di un tempo di ridurre a sintesi le
varie discipline e arti del sapere. Mentre infatti
aumenta il volume e la diversità degli elementi che
costituiscono la cultura, diminuisce nello stesso
tempo la capacità per i singoli uomini di percepirli
e di armonizzarli organicamente, cosicché l'immagine
dell'«uomo universale» diviene sempre più
evanescente. Tuttavia ogni uomo ha il dovere di
tener fermo il concetto della persona umana
integrale, in cui eccellono i valori della
intelligenza, della volontà, della coscienza e della
fraternità, che sono fondati tutti in Dio Creatore e
sono stati mirabilmente sanati ed elevati in Cristo.
La famiglia
anzitutto è come la madre e la nutrice di questa
educazione; in essa i figli, vivendo in una
atmosfera d'amore, apprendono più facilmente la
gerarchia dei valori, mentre collaudate forme
culturali vengono quasi naturalmente trasfuse
nell'animo dell'adolescente, man mano che si
sviluppa.
Per la
medesima educazione nella società odierna vi sono
opportunità derivanti specialmente dall'accresciuta
diffusione del libro e dai nuovi strumenti di
comunicazione culturale e sociale, che possono
favorire la cultura universale. La diminuzione più o
meno generalizzata del tempo dedicato al lavoro fa
aumentare di giorno in giorno per molti uomini le
possibilità di coltivarsi. Il tempo libero sia
impiegato per distendere lo spirito, per fortificare
la salute dell'anima e del corpo; mediante attività
e studi di libera scelta; mediante viaggi in altri
paesi (turismo), con i quali si affina lo spirito
dell'uomo, e gli uomini si arricchiscono con la
reciproca conoscenza; anche mediante esercizi e
manifestazioni sportive, che giovano a mantenere
l'equilibrio dello spirito, ed offrono un aiuto per
stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte
le condizioni, di nazioni o di razze diverse. I
cristiani collaborino dunque affinché le
manifestazioni e le attività culturali collettive,
proprie della nostra epoca, siano impregnate di
spirito umano e cristiano.
Tuttavia
tutte queste facilitazioni non possono assicurare la
piena ed integrale formazione culturale dell'uomo,
se nello stesso tempo trascuriamo di interrogarci
profondamente sul significato della cultura e della
scienza per la persona umana.
62.
Accordo fra cultura umana e insegnamento cristiano
Sebbene la
Chiesa abbia grandemente contribuito al progresso
della cultura, l'esperienza dimostra tuttavia che,
per ragioni contingenti, l'accordo fra la cultura e
la formazione cristiana non si realizza sempre senza
difficoltà.
Queste
difficoltà non necessariamente sono di danno alla
fede; possono, anzi, stimolare lo spirito ad
acquisirne una più accurata e profonda intelligenza.
Infatti gli studi recenti e le nuove scoperte delle
scienze, come pure quelle della storia e della
filosofia, suscitano nuovi problemi che comportano
conseguenze anche per la vita pratica ed esigono
nuove indagini anche da parte dei teologi. Questi
sono inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e
delle esigenze proprie della scienza teologica, a
ricercare modi sempre più adatti di comunicare la
dottrina cristiana agli uomini della loro epoca:
altro è, infatti, il deposito o le verità della
fede, altro è il modo con cui vengono espresse, a
condizione tuttavia di salvaguardarne il significato
e il senso profondo (135). Nella cura pastorale si
conoscano sufficientemente e si faccia uso non
soltanto dei principi della teologia, ma anche delle
scoperte delle scienze profane, in primo luogo della
psicologia e della sociologia, cosicché anche i
fedeli siano condotti a una più pura e più matura
vita di fede.
A modo
loro, anche la letteratura e le arti sono di grande
importanza per la vita della Chiesa. Esse cercano
infatti di esprimere la natura propria dell'uomo, i
suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di
conoscere e perfezionare se stesso e il mondo;
cercano di scoprire la sua situazione nella storia e
nell'universo, di illustrare le sue miserie e le sue
gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di
prospettare una sua migliore condizione. Così
possono elevare la vita umana, che esprimono in
molteplici forme, secondo i tempi e i luoghi.
Bisogna
perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano
compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo
di un'ordinata libertà, stabiliscano più facili
rapporti con la comunità cristiana. Siano
riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze
artistiche adatte ai nostri tempi secondo l'indole
delle diverse nazioni e regioni. Siano ammesse negli
edifici del culto, quando, con modi d'espressione
adatti e conformi alle esigenze liturgiche,
innalzano lo spirito a Dio (136).
Così la
conoscenza di Dio viene meglio manifestata e la
predicazione evangelica si rende più trasparente
all'intelligenza degli uomini e appare come
connaturata con le loro condizioni d'esistenza.
I fedeli
dunque vivano in strettissima unione con gli uomini
del loro tempo, e si sforzino di penetrare
perfettamente il loro modo di pensare e di sentire,
quali si esprimono mediante la cultura. Sappiano
armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle
nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la
morale e il pensiero cristiano, affinché il senso
religioso e la rettitudine morale procedano in essi
di pari passo con la conoscenza scientifica e con il
continuo progresso della tecnica; potranno così
giudicare e interpretare tutte le cose con senso
autenticamente cristiano.
Coloro che
si applicano alle scienze teologiche nei seminari e
nelle università si studino di collaborare con gli
uomini che eccellono nelle altre scienze, mettendo
in comune le loro forze e opinioni. La ricerca
teologica, mentre persegue la conoscenza profonda
della verità rivelata, non trascuri il contatto con
il proprio tempo, per poter aiutare gli uomini
competenti nelle varie branche del sapere ad
acquistare una più piena conoscenza della fede.
Questa collaborazione gioverà grandemente alla
formazione dei sacri ministri, che potranno
presentare ai nostri contemporanei la dottrina della
Chiesa intorno a Dio, all'uomo e al mondo in maniera
più adatta, così da farla anche da essi più
volentieri accettare (137). È anzi desiderabile che
molti laici acquistino una conveniente formazione
nelle scienze sacre e che non pochi tra loro si
diano di proposito a questi studi e li
approfondiscano con mezzi scientifici adeguati. Ma
affinché possano esercitare il loro compito, sia
riconosciuta ai fedeli, tanto ecclesiastici che
laici, una giusta libertà di ricercare, di pensare e
di manifestare con umiltà e coraggio la propria
opinione nel campo in cui sono competenti (138).
CAPITOLO III
VITA
ECONOMICO-SOCIALE
63.
La vita economica e alcuni aspetti caratteristici
contemporanei
Anche nella
vita economico-sociale sono da tenere in massimo
rilievo e da promuovere la dignità della persona
umana, la sua vocazione integrale e il bene
dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il
centro e il fine di tutta la vita economico-sociale.
L'economia
contemporanea, come ogni altro campo della vita
sociale, è caratterizzata da un dominio crescente
dell'uomo sulla natura, dalla moltiplicazione e
dalla intensificazione dei rapporti e dalla
interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli, come
pure da un più intenso intervento dei pubblici
poteri. Nello stesso tempo, il progresso nella
efficienza produttiva e nella migliore
organizzazione degli scambi e servizi hanno reso
l'economia strumento adatto a meglio soddisfare i
bisogni accresciuti della famiglia umana.
Tuttavia
non mancano motivi di preoccupazione. Molti uomini,
soprattutto nelle regioni economicamente sviluppate,
appaiono quasi unicamente retti dalle esigenze
dell'economia, cosicché quasi tutta la loro vita
personale e sociale viene permeata da una mentalità
economicistica, e ciò si diffonde sia nei paesi ad
economia collettivistica che negli altri. In un
tempo in cui lo sviluppo della vita economica,
orientata e coordinata in una maniera razionale e
umana, potrebbe permettere una attenuazione delle
disparità sociali, troppo spesso essa si tramuta in
una causa del loro aggravamento o, in alcuni luoghi,
perfino nel regresso delle condizioni sociali dei
deboli e nel disprezzo dei poveri. Mentre folle
immense mancano dello stretto necessario, alcuni,
anche nei paesi meno sviluppati, vivono
nell'opulenza o dissipano i beni. Il lusso si
accompagna alla miseria. E, mentre pochi uomini
dispongono di un assai ampio potere di decisione,
molti mancano quasi totalmente della possibilità di
agire di propria iniziativa o sotto la propria
responsabilità, spesso permanendo in condizioni di
vita e di lavoro indegne di una persona umana.
Simili
squilibri economici e sociali si avvertono tra
l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi,
come pure tra le diverse regioni di uno stesso
paese. Una contrapposizione, che può mettere in
pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno
più grave tra le nazioni economicamente più
progredite e le altre.
Gli uomini
del nostro tempo reagiscono con coscienza sempre più
sensibile di fronte a tali disparità: essi sono
profondamente convinti che le più ampie possibilità
tecniche ed economiche, proprie del mondo
contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere
questo funesto stato di cose. Ma per questo si
richiedono molte riforme nelle strutture della vita
economico-sociale; è necessario anche da parte di
tutti un mutamento di mentalità e di abitudini di
vita. In vista di ciò la Chiesa, lungo lo svolgersi
della storia, ha formulato nella luce del Vangelo e,
soprattutto in questi ultimi tempi, ha largamente
insegnato i principi di giustizia e di equità
richiesti dalla retta ragione umana e validi sia per
la vita individuale o sociale che per la vita
internazionale. Il sacro Concilio, tenuto conto
delle caratteristiche del tempo presente, intende
riconfermare tali principi e formulare alcuni
orientamenti, con particolare riguardo alle esigenze
dello sviluppo economico (139).
Sezione
1: Sviluppo economico
64.
Lo sviluppo economico a servizio dell'uomo
Oggi più
che mai, per far fronte all'aumento della
popolazione e per rispondere alle crescenti
aspirazioni del genere umano, giustamente si tende
ad incrementare la produzione di beni
nell'agricoltura e nell'industria e la prestazione
dei servizi. Perciò sono da favorire il progresso
tecnico, lo spirito di innovazione, la creazione di
nuove imprese e il loro ampliamento, l'adattamento
nei metodi dell'attività produttiva e dello sforzo
sostenuto da tutti quelli che partecipano alla
produzione, in una parola tutto ciò che possa
contribuire a questo sviluppo (140). Ma il fine
ultimo e fondamentale di tale sviluppo non consiste
nel solo aumento dei beni prodotti, né nella sola
ricerca del profitto o del predominio economico,
bensì nel servizio dell'uomo: dell'uomo
integralmente considerato, tenendo cioè conto della
gerarchia dei suoi bisogni materiali e delle
esigenze della sua vita intellettuale, morale,
spirituale e religiosa; di ogni uomo, diciamo, e di
ogni gruppo umano, di qualsiasi razza o continente.
Pertanto l'attività economica deve essere condotta
secondo le leggi e i metodi propri dell'economia, ma
nell'ambito dell'ordine morale (141),
in modo che così risponda al disegno di Dio
sull'uomo (142).
65.
Lo sviluppo economico sotto il controllo dell'uomo
Lo sviluppo
economico deve rimanere sotto il controllo
dell'uomo. Non deve essere abbandonato all'arbitrio
di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un
eccessivo potere economico, né della sola comunità
politica, né di alcune nazioni più potenti.
Conviene, al contrario, che il maggior numero
possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si
tratta dei rapporti internazionali, tutte le nazioni
possano partecipare attivamente al suo orientamento.
È necessario egualmente che le iniziative spontanee
dei singoli e delle loro libere associazioni siano
coordinate e armonizzate in modo conveniente ed
organico con la molteplice azione delle pubbliche
autorità.
Lo sviluppo
economico non può essere abbandonato né al solo
gioco quasi meccanico della attività economica dei
singoli, né alla sola decisione della pubblica
autorità. Per questo, bisogna denunciare gli errori
tanto delle dottrine che, in nome di un falso
concetto di libertà, si oppongono alle riforme
necessarie, quanto delle dottrine che sacrificano i
diritti fondamentali delle singole persone e dei
gruppi all'organizzazione collettiva della
produzione (143).
Si
ricordino, d'altra parte, tutti i cittadini che essi
hanno il diritto e il dovere - e il potere civile lo
deve riconoscere loro - di contribuire secondo le
loro capacità al progresso della loro propria
comunità. Specialmente nelle regioni economicamente
meno progredite, dove si impone d'urgenza l'impiego
di tutte le risorse ivi esistenti, danneggiano
gravemente il bene comune coloro che tengono
inutilizzate le proprie ricchezze o coloro che -
salvo il diritto personale di migrazione - privano
la propria comunità dei mezzi materiali e spirituali
di cui essa ha bisogno.
66.
Ingenti disparità economico-sociali da far
scomparire
Per
rispondere alle esigenze della giustizia e
dell'equità, occorre impegnarsi con ogni sforzo
affinché, nel rispetto dei diritti personali e
dell'indole propria di ciascun popolo, siano rimosse
il più rapidamente possibile le ingenti disparità
economiche che portano con sé discriminazioni nei
diritti individuali e nelle condizioni sociali quali
oggi si verificano e spesso si aggravano.
Similmente, in molte zone, tenendo presenti le
particolari difficoltà del settore agricolo quanto
alla produzione e alla commercializzazione dei beni,
gli addetti all'agricoltura vanno sostenuti per
aumentare la produzione e garantirne la vendita,
nonché per la realizzazione delle trasformazioni e
innovazioni necessarie, come pure per raggiungere un
livello equo di reddito; altrimenti rimarranno, come
spesso avviene, in condizioni sociali di
inferiorità. Da parte loro gli agricoltori,
soprattutto i giovani, si impegnino con amore a
migliorare la loro competenza professionale, senza
la quale non si dà sviluppo dell'agricoltura (144).
La
giustizia e l'equità richiedono similmente che la
mobilità, assolutamente necessaria in una economia
di sviluppo, sia regolata in modo da evitare che la
vita dei singoli e delle loro famiglie si faccia
incerta e precaria. Per quanto riguarda i lavoratori
che, provenendo da altre nazioni o regioni,
concorrono con il loro lavoro allo sviluppo
economico di un popolo o di una zona, è da eliminare
accuratamente ogni discriminazione nelle condizioni
di rimunerazione o di lavoro. Inoltre tutti e in
primo luogo i poteri pubblici, devono trattarli come
persone, e non semplicemente come puri strumenti di
produzione; devono aiutarli perché possano
accogliere presso di sé le loro famiglie e
procurarsi un alloggio decoroso, nonché favorire la
loro integrazione nella vita sociale del popolo o
della regione che li accoglie. Si creino tuttavia
nella misura del possibile, posti di lavoro nelle
regioni stesse d'origine.
Nelle
economie attualmente in fase di ulteriore
trasformazione, come nelle nuove forme della società
industriale nelle quali, per esempio, si va
largamente applicando l'automazione, si richiedono
misure per assicurare a ciascuno un impiego
sufficiente e adatto, insieme alla possibilità di
una formazione tecnica e professionale adeguata;
inoltre bisogna garantire la sussistenza e la
dignità umana di coloro che, soprattutto per motivi
di salute e di età, si trovano in particolari
difficoltà.
Sezione
2: Alcuni principi relativi all'insieme della vita
economico-sociale
67.
Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero
Il lavoro
umano, con cui si producono e si scambiano beni o si
prestano servizi economici, è di valore superiore
agli altri elementi della vita economica, poiché
questi hanno solo valore di strumento.
Tale
lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente
sia per contratto con un imprenditore, procede
direttamente dalla persona, la quale imprime nella
natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua
volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente
al sostentamento proprio e dei suoi familiari,
comunica con gli altri, rende un servizio agli
uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità
e collaborare attivamente al completamento della
divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede che
l'uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa
all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha
conferito al lavoro una elevatissima dignità,
lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui
discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare
fedelmente, come pure il diritto al lavoro.
Corrispondentemente è compito della società, in
rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare
da parte sua i cittadini a trovare sufficiente
occupazione. Infine il lavoro va rimunerato in modo
tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere
al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su
un piano materiale, sociale, culturale e spirituale,
tenuto conto del tipo di attività e grado di
rendimento economico di ciascuno, nonché delle
condizioni dell'impresa e del bene comune (145).
Poiché
l'attività economica è per lo più realizzata in
gruppi produttivi in cui si uniscono molti uomini, è
ingiusto ed inumano organizzarla con strutture ed
ordinamenti che siano a danno di chi vi operi.
Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri
giorni, che i lavoratori siano in un certo senso
asserviti alle proprie opere. Ciò non trova
assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi
economiche. Occorre dunque adattare tutto il
processo produttivo alle esigenze della persona e
alle sue forme di vita, innanzitutto della sua vita
domestica, particolarmente in relazione alle madri
di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e
dell'età di ciascuno. Ai lavoratori va assicurata
inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità
e di esprimere la loro personalità nell'esercizio
stesso del lavoro. Pur applicando a tale attività
lavorativa, con doverosa responsabilità, tempo ed
energie, tutti i lavoratori debbono però godere di
sufficiente riposo e tempo libero, che permetta loro
di curare la vita familiare, culturale, sociale e
religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di
dedicarsi ad attività libere che sviluppino quelle
energie e capacità, che non hanno forse modo di
coltivare nel loro lavoro professionale.
68.
Partecipazione nell'impresa e nell'indirizzo
economico generale; conflitti di lavoro
Nelle
imprese economiche si uniscono delle persone, cioè
uomini liberi ed autonomi, creati ad immagine di
Dio. Perciò, prendendo in considerazione le funzioni
di ciascuno - sia proprietari, sia imprenditori, sia
dirigenti, sia operai - e salva la necessaria unità
di direzione dell'impresa, va promossa, in forme da
determinarsi in modo adeguato, la attiva
partecipazione di tutti alla gestione dell'impresa
(146). Poiché, tuttavia, in molti casi non è più a
livello dell'impresa, ma a livello superiore in
istituzioni di ordine più elevato, che si prendono
le decisioni economiche e sociali da cui dipende
l'avvenire dei lavoratori e dei loro figli, bisogna
che essi siano parte attiva anche in tali decisioni,
direttamente o per mezzo di rappresentanti
liberamente eletti.
Tra i
diritti fondamentali della persona umana bisogna
annoverare il diritto dei lavoratori di fondare
liberamente proprie associazioni, che possano
veramente rappresentarli e contribuire ad
organizzare rettamente la vita economica, nonché il
diritto di partecipare liberamente alle attività di
tali associazioni senza incorrere nel rischio di
rappresaglie. Grazie a tale partecipazione
organizzata, congiunta con una formazione economica
e sociale crescente, andrà sempre più aumentando in
tutti la coscienza della propria funzione e
responsabilità: essi saranno così portati a sentirsi
parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di
ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico
e sociale e della realizzazione del bene comune
universale.
In caso di
conflitti economico-sociali, si deve fare ogni
sforzo per giungere a una soluzione pacifica. Benché
sempre si debba ricorrere innanzitutto a un dialogo
sincero tra le parti, lo sciopero può tuttavia
rimanere anche nelle circostanze odierne un mezzo
necessario, benché estremo, per la difesa dei propri
diritti e la soddisfazione delle giuste aspirazioni
dei lavoratori. Bisogna però cercare quanto prima le
vie atte a riprendere il dialogo per le trattative e
la conciliazione.
69. I
beni della terra e loro destinazione a tutti gli
uomini
Dio ha
destinato la terra e tutto quello che essa contiene
all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e
pertanto i beni creati debbono essere partecipati
equamente a tutti, secondo la regola della
giustizia, inseparabile dalla carità (147).
Pertanto, quali che siano le forme della proprietà,
adattate alle legittime istituzioni dei popoli
secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve
sempre tener conto di questa destinazione universale
dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve
considerare le cose esteriori che legittimamente
possiede non solo come proprie, ma anche come
comuni, nel senso che possano giovare non unicamente
a lui ma anche agli altri (148). Del resto, a tutti
gli uomini spetta il diritto di avere una parte di
beni sufficienti a sé e alla propria famiglia.
Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della
Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno
l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il
loro superfluo (149). Colui che si trova in estrema
necessità, ha diritto di procurarsi il necessario
dalle ricchezze altrui (150). Considerando il fatto
del numero assai elevato di coloro che nel mondo
intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio
richiama urgentemente tutti, sia singoli che
autorità pubbliche, affinché - memori della sentenza
dei Padri: « Dà da mangiare a colui che è moribondo
per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare,
lo avrai ucciso » (151) realmente mettano a
disposizione ed impieghino utilmente i propri beni,
ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente
fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi
possano provvedere a se stessi e svilupparsi.
Nelle
società economicamente meno sviluppate,
frequentemente la destinazione comune dei beni è in
parte attuata mediante un insieme di consuetudini e
di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun
membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare
che alcune consuetudini vengano considerate come
assolutamente immutabili, se esse non rispondono più
alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra
parte però, non si deve agire imprudentemente contro
quelle oneste consuetudini che non cessano di essere
assai utili, purché vengano opportunamente adattate
alle odierne circostanze. Similmente, nelle nazioni
economicamente molto sviluppate, una rete di
istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza
sociale può in parte contribuire a tradurre in atto
la destinazione comune dei beni. Inoltre, è
importante sviluppare ulteriormente i servizi
familiari e sociali, specialmente quelli che
provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma
nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna
vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad
assumere di fronte alla società un atteggiamento di
passività o di irresponsabilità nei compiti assunti
o di rifiuto di servizio.
70.
Investimenti e moneta
Gli
investimenti, da parte loro, devono contribuire ad
assicurare possibilità di lavoro e reddito
sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi,
quanto a quella futura. Tutti i responsabili di tali
investimenti e della organizzazione della vita
economica globale - sia singoli che gruppi o
pubbliche autorità - devono aver presenti questi
fini e mostrarsi consapevoli del loro grave obbligo:
da una parte di vigilare affinché si provveda ai
beni necessari richiesti per una vita decorosa sia
dei singoli che di tutta la comunità; d'altra parte
di prevedere le situazioni future e di assicurare il
giusto equilibrio tra i bisogni attuali di consumo,
sia individuale che collettivo, e le esigenze di
investimenti per la generazione successiva. Si
abbiano ugualmente sempre presenti le urgenti
necessità delle nazioni o regioni economicamente
meno sviluppate.
In campo
monetario ci si guardi dal danneggiare il bene della
propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre
affinché coloro che sono economicamente deboli non
siano ingiustamente danneggiati dai mutamenti di
valore della moneta.
71. Accesso
alla proprietà e dominio privato dei beni; problemi
dei latifondi Poiché la proprietà e le altre forme
di potere privato sui beni esteriori contribuiscono
alla espressione della persona e danno occasione
all'uomo di esercitare il suo responsabile apporto
nella società e nella economia, è di grande
interesse favorire l'accesso degli individui o dei
gruppi ad un certo potere sui beni esterni.
La
proprietà privata o un qualche potere sui beni
esterni assicurano a ciascuno una zona
indispensabile di autonomia personale e familiare e
bisogna considerarli come un prolungamento della
libertà umana. Infine, stimolando l'esercizio della
responsabilità, essi costituiscono una delle
condizioni delle libertà civili (152).
Le forme di
tale potere o di tale proprietà sono oggi varie e
vanno modificandosi sempre di più di giorno in
giorno. Nonostante i fondi sociali, i diritti e i
servizi garantiti dalla società, le forme di tale
potere o di tale proprietà restano tuttavia una
fonte non trascurabile di sicurezza. Tutto ciò non
va riferito soltanto alla proprietà dei beni
materiali, ma altresì dei beni immateriali, come
sono ad esempio le capacità professionali.
La
legittimità della proprietà privata non è in
contrasto con quella delle varie forme di proprietà
pubblica. Però i1 trasferimento dei beni in pubblica
proprietà non può essere fatto che dalla autorità
competente, secondo le esigenze ed entro i limiti
del bene comune e con un equo indennizzo. Spetta
inoltre alla pubblica autorità impedire che si abusi
della proprietà privata agendo contro il bene comune
(153).
Ogni
proprietà privata ha per sua natura anche un
carattere sociale, che si fonda sulla comune
destinazione dei beni (154). Se si trascura questo
carattere sociale, la proprietà può diventare in
molti modi occasione di cupidigia e di gravi
disordini, così da offrire facile pretesto a quelli
che contestano il diritto stesso di proprietà.
In molti
paesi economicamente meno sviluppati esistono
proprietà agricole estese od anche immense,
scarsamente o anche per nulla coltivate per motivi
di speculazione; mentre la maggioranza della
popolazione è sprovvista di terreni da lavorare o
fruisce soltanto di poderi troppo limitati, e
d'altra parte, l'accrescimento della produzione
agricola presenta un carattere di evidente urgenza.
Non è raro che coloro che sono assunti come
lavoratori dipendenti dai proprietari di tali vasti
possedimenti, ovvero coloro che ne coltivano una
parte a titolo di locazione, ricevono un salario o
altre forme di remunerazione indegne di un uomo, non
dispongono di una abitazione decorosa o sono
sfruttati da intermediari. Mancando così ogni
sicurezza, vivono in tale stato di dipendenza
personale, che viene loro interdetta quasi ogni
possibilità di iniziativa e di responsabilità e
viene loro impedita ogni promozione culturale ed
ogni partecipazione attiva nella vita sociale e
politica. Si impongono pertanto, secondo le varie
situazioni, delle riforme intese ad accrescere i
redditi, a migliorare le condizioni di lavoro, ad
aumentare la sicurezza dell'impiego e a favorire
l'iniziativa personale; ed anche riforme che diano
modo di distribuire le proprietà non
sufficientemente coltivate a beneficio di coloro che
siano capaci di farle fruttificare. In questo caso,
devono essere loro assicurate le risorse e gli
strumenti indispensabili, in particolare i mezzi di
educazione e le possibilità di una giusta
organizzazione cooperativa. Ogni volta che il bene
comune esige l'espropriazione della proprietà,
l'indennizzo va calcolato secondo equità, tenendo
conto di tutte le circostanze.
72.
L'attività economico-sociale e il regno di Cristo
I cristiani
che partecipano attivamente allo sviluppo
economico-sociale contemporaneo e alla lotta per la
giustizia e la carità siano convinti di poter
contribuire molto alla prosperità del genere umano e
alla pace del mondo. In tali attività, sia che
agiscano come singoli, sia come associati, brillino
per il loro esempio. A tal fine è di grande
importanza che, acquisite la competenza e
l'esperienza assolutamente indispensabili, mentre
svolgono le attività terrestri conservino una giusta
gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al
suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita,
individuale e sociale, sia compenetrata dello
spirito delle beatitudini, specialmente dello
spirito di povertà. Chi segue fedelmente Cristo
cerca anzitutto il regno di Dio e vi trova un più
valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e
per realizzare, con l'ispirazione della carità, le
opere della giustizia (155).
CAPITOLO IV
LA VITA
DELLA COMUNITÀ POLITICA
73.
La vita pubblica contemporanea
Ai nostri
giorni si notano profonde trasformazioni anche nelle
strutture e nelle istituzioni dei popoli; tali
trasformazioni sono conseguenza della evoluzione
culturale, economica e sociale dei popoli. Esse
esercitano una grande influenza, soprattutto nel
campo che riguarda i diritti e i doveri di tutti
nell'esercizio della libertà civile e nel
conseguimento del bene comune, come pure in ciò che
si riferisce alla regolazione dei rapporti dei
cittadini tra di loro e con i pubblici poteri.
Da una
coscienza più viva della dignità umana sorge, in
diverse regioni del mondo, lo sforzo di instaurare
un ordine politico-giuridico nel quale siano meglio
tutelati nella vita pubblica i diritti della
persona: ad esempio, il diritto di liberamente
riunirsi, associarsi, esprimere le proprie opinioni
e professare la religione in privato e in pubblico.
La tutela, infatti dei diritti della persona è
condizione necessaria perché i cittadini,
individualmente o in gruppo, possano partecipare
attivamente alla vita e al governo della cosa
pubblica.
Assieme al
progresso culturale, economico e sociale, si
rafforza in molti il desiderio di assumere maggiori
responsabilità nell'organizzare la vita della
comunità politica.
Nella
coscienza di molti aumenta la preoccupazione di
salvaguardare i diritti delle minoranze di una
nazione, senza che queste dimentichino il loro
dovere verso la comunità politica. Cresce inoltre il
rispetto verso le persone che hanno altre opinioni o
professano religioni diverse. Contemporaneamente si
instaura una più larga collaborazione, tesa a
garantire a tutti i cittadini, e non solo a pochi
privilegiati, l'effettivo godimento dei diritti
personali.
Vengono
condannate tutte quelle forme di regime politico,
vigenti in alcune regioni, che impediscono la
libertà civile o religiosa, moltiplicano le vittime
delle passioni e dei crimini politici e distorcono
l'esercizio dell'autorità dal bene comune per farlo
servire all'interesse di una fazione o degli stessi
governanti.
Per
instaurare una vita politica veramente umana non c'è
niente di meglio che coltivare il senso interiore
della giustizia, dell'amore e del servizio al bene
comune e rafforzare le convinzioni fondamentali
sulla vera natura della comunità politica e sul
fine, sul buon esercizio e sui limiti di competenza
dell'autorità pubblica.
74.
Natura e fine della comunità politica
Gli uomini,
le famiglie e i diversi gruppi che formano la
comunità civile sono consapevoli di non essere in
grado, da soli, di costruire una vita capace di
rispondere pienamente alle esigenze della natura
umana e avvertono la necessità di una comunità più
ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il
contributo delle proprie capacità, allo scopo di
raggiungere sempre meglio il bene comune (156).
Per questo
essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali,
una comunità politica.
La comunità
politica esiste dunque in funzione di quel bene
comune, nel quale essa trova significato e piena
giustificazione e che costituisce la base originaria
del suo diritto all'esistenza.
Il bene
comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni
di vita sociale che consentono e facilitano agli
esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il
conseguimento più pieno della loro perfezione (157).
Ma nella
comunità politica si riuniscono insieme uomini
numerosi e differenti, che legittimamente possono
indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la
comunità politica non venga rovinata dal divergere
di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria
un'autorità capace di dirigere le energie di tutti i
cittadini verso il bene comune, non in forma
meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza
morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di
responsabilità.
È dunque
evidente che la comunità politica e l'autorità
pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana
e perciò appartengono all'ordine fissato da Dio,
anche se la determinazione dei regimi politici e la
designazione dei governanti sono lasciate alla
libera decisione dei cittadini (158).
Ne segue
parimenti che l'esercizio dell'autorità politica,
sia da parte della comunità come tale, sia da parte
degli organismi che rappresentano lo Stato, deve
sempre svolgersi nell'ambito dell'ordine morale, per
il conseguimento del bene comune (ma concepito in
forma dinamica), secondo le norme di un ordine
giuridico già definito o da definire. Allora i
cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire
(159). Da ciò risulta chiaramente la responsabilità,
la dignità e 1 importanza del ruolo di coloro che
governano.
Dove i
cittadini sono oppressi da un'autorità pubblica che
va al di là delle sue competenze, essi non rifiutino
ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune;
sia però lecito difendere i diritti propri e dei
concittadini contro gli abusi dell'autorità, nel
rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale e
dal Vangelo.
Le modalità
concrete con le quali la comunità politica organizza
le proprie strutture e l'equilibrio dei pubblici
poteri possono variare, secondo l'indole dei diversi
popoli e il cammino della storia; ma sempre devono
mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico
e benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la
famiglia umana.
75.
Collaborazione di tutti alla vita pubblica
È
pienamente conforme alla natura umana che si trovino
strutture giuridico-politiche che sempre meglio
offrano a tutti i cittadini, senza alcuna
discriminazione, la possibilità effettiva di
partecipare liberamente e attivamente sia alla
elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità
politica, sia al governo degli affari pubblici, sia
alla determinazione del campo d'azione e dei limiti
dei differenti organismi, sia alla elezione dei
governanti (160).
Si
ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, che
è anche dovere, di usare del proprio libero voto per
la promozione del bene comune (161).
La Chiesa
stima degna di lode e di considerazione l'opera di
coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al
bene della cosa pubblica e assumono il peso delle
relative responsabilità.
Affinché la
collaborazione di cittadini responsabili possa
ottenere felici risultati nella vita politica
quotidiana, si richiede un ordinamento giuridico
positivo, che organizzi una opportuna ripartizione
delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad
una protezione efficace dei diritti, indipendente da
chiunque.
I diritti
delle persone, delle famiglie e dei gruppi e il loro
esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e
promossi non meno dei doveri ai quali ogni cittadino
è tenuto. Tra questi ultimi non sarà inutile
ricordare il dovere di apportare allo Stato i
servizi, materiali e personali, richiesti dal bene
comune.
Si guardino
i governanti dall'ostacolare i gruppi familiari,
sociali o culturali, i corpi o istituti intermedi,
né li privino delle loro legittime ed efficaci
attività, che al contrario devono volentieri e
ordinatamente favorire.
Quanto ai
cittadini, individualmente o in gruppo, evitino di
attribuire un potere eccessivo all'autorità
pubblica, né chiedano inopportunamente ad essa
troppi servizi e troppi vantaggi, col rischio di
diminuire così la responsabilità delle persone,
delle famiglie e dei gruppi sociali.
Ai tempi
nostri, la complessità dei problemi obbliga i
pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in
materia sociale, economica e culturale, per
determinare le condizioni più favorevoli che
permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire
più efficacemente, nella libertà, il bene completo
dell'uomo. Il rapporto tra la socializzazione (162)
l'autonomia e lo sviluppo della persona può essere
concepito in modo differente nelle diverse regioni
del mondo e in base alla evoluzione dei popoli. Ma
dove l'esercizio dei diritti viene temporaneamente
limitato in vista del bene comune, si ripristini al
più presto possibile la libertà quando le
circostanze sono cambiate. È in ogni caso inumano
che l'autorità politica assuma forme totalitarie,
oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della
persona o dei gruppi sociali.
I cittadini
coltivino con magnanimità e lealtà l'amore verso la
patria, ma senza grettezza di spirito, cioè in modo
tale da prendere anche contemporaneamente in
considerazione il bene di tutta la famiglia umana,
di tutte le razze, popoli e nazioni, che sono unite
da innumerevoli legami.
Tutti i
cristiani devono prendere coscienza della propria
speciale vocazione nella comunità politica; essi
devono essere d'esempio, sviluppando in se stessi il
senso della responsabilità e la dedizione al bene
comune, così da mostrare con i fatti come possano
armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa
personale e la solidarietà di tutto il corpo
sociale, la opportuna unità e la proficua diversità.
In ciò che concerne l'organizzazione delle cose
terrene, devono ammettere la legittima molteplicità
e diversità delle opzioni temporali e rispettare i
cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera
onesta il loro punto di vista.
I partiti
devono promuovere ciò che, a loro parere, è
richiesto dal bene comune; mai però è lecito
anteporre il proprio interesse a tale bene.
Bisogna
curare assiduamente la educazione civica e politica,
oggi particolarmente necessaria, sia per l'insieme
del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché
tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo
nella vita della comunità politica. Coloro che sono
o possono diventare idonei per l'esercizio dell'arte
politica, così difficile, ma insieme così nobile
(163). Vi si preparino e si preoccupino di
esercitarla senza badare al proprio interesse e a
vantaggi materiali. Agiscono con integrità e
saggezza contro l'ingiustizia e l'oppressione,
l'assolutismo e l'intolleranza d'un solo uomo e d'un
solo partito politico; si prodighino con sincerità
ed equità al servizio di tutti, anzi con l'amore e
la fortezza richiesti dalla vita politica.
76.
La comunità politica e la Chiesa
È di grande
importanza, soprattutto in una società pluralista,
che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la
comunità politica e la Chiesa e che si faccia una
chiara distinzione tra le azioni che i fedeli,
individualmente o in gruppo, compiono in proprio
nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza
cristiana, e le azioni che essi compiono in nome
della Chiesa in comunione con i loro pastori.
La Chiesa
che, in ragione del suo ufficio e della sua
competenza, in nessuna maniera si confonde con la
comunità politica e non è legata ad alcun sistema
politico, è insieme il segno e la salvaguardia del
carattere trascendente della persona umana.
La comunità
politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome
l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due,
anche se a titolo diverso, sono a servizio della
vocazione personale e sociale degli stessi uomini.
Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di
tutti in maniera tanto più efficace, quanto più
coltiveranno una sana collaborazione tra di loro,
secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e
di tempo. L'uomo infatti non è limitato al solo
orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana,
conserva integralmente la sua vocazione eterna.
Quanto alla
Chiesa, fondata nell'amore del Redentore, essa
contribuisce ad estendere il raggio d'azione della
giustizia e dell'amore all'interno di ciascuna
nazione e tra le nazioni. Predicando la verità
evangelica e illuminando tutti i settori
dell'attività umana con la sua dottrina e con la
testimonianza resa dai cristiani, rispetta e
promuove anche la libertà politica e la
responsabilità dei cittadini.
Gli
apostoli e i loro successori con i propri
collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli
uomini il Cristo Salvatore del mondo, nell'esercizio
del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di
Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo
nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti
quelli che si dedicano al ministero della parola di
Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo,
i quali differiscono in molti punti dai mezzi propri
della città terrestre.
Certo, le
cose terrene e quelle che, nella condizione umana,
superano questo mondo, sono strettamente unite, e la
Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella
misura in cui la propria missione lo richiede.
Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi
offertigli dall'autorità civile. Anzi, essa
rinunzierà all'esercizio di certi diritti
legittimamente acquisiti, ove constatasse che il
loro uso può far dubitare della sincerità della sua
testimonianza o nuove circostanze esigessero altre
disposizioni.
Ma sempre e
dovunque, e con vera libertà, è suo diritto
predicare la fede e insegnare la propria dottrina
sociale, esercitare senza ostacoli la propria
missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio
morale, anche su cose che riguardano l'ordine
politico, quando ciò sia richiesto dai diritti
fondamentali della persona e dalla salvezza delle
anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei
mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col
bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e
delle situazioni.
Nella
fedeltà del Vangelo e nello svolgimento della sua
missione nel mondo, la Chiesa, che ha come compito
di promuovere ed elevare tutto quello che di vero,
buono e bello si trova nella comunità umana (164)
rafforza la pace tra gli uomini a gloria di Dio
(165).
CAPITOLO V
LA
PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI
77.
Introduzione
In questi
nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime
tra gli uomini le afflizioni e le angustie derivanti
da guerre ora imperversanti, ora incombenti,
l'intera società umana è giunta ad un momento
sommamente decisivo nel processo della sua
maturazione. Mentre a poco a poco l'umanità va
unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più
consapevole della propria unità, non potrà tuttavia
portare a compimento l'opera che l'attende, di
costruire cioè un mondo più umano per tutti gli
uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si
volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace.
Per questo motivo il messaggio evangelico, in
armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati
del genere umano, risplende in questi nostri tempi
di rinnovato fulgore quando proclama beati i
promotori della pace, «perché saranno chiamati figli
di Dio» (Mt 5,9).
Illustrando
pertanto la vera e nobilissima concezione della
pace, il Concilio, condannata l'inumanità della
guerra, intende rivolgere un ardente appello ai
cristiani, affinché con l'aiuto di Cristo, autore
della pace, collaborino con tutti per stabilire tra
gli uomini una pace fondata sulla giustizia e
sull'amore e per apprestare i mezzi necessari per il
suo raggiungimento.
78.
La natura della pace
La pace non
è la semplice assenza della guerra, né può ridursi
unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle
forze avverse; essa non è effetto di una dispotica
dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a
opera della giustizia » (Is 32,7). È il frutto
dell'ordine impresso nella società umana dal suo
divino Fondatore e che deve essere attuato dagli
uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia
sempre più perfetta. Infatti il bene comune del
genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza,
dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è
soggetto a continue variazioni lungo il corso del
tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di
raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da
costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà
umana è labile e ferita per di più dal peccato,
l'acquisto della pace esige da ognuno il costante
dominio delle passioni e la vigilanza della
legittima autorità.
Tuttavia
questo non basta. Tale pace non si può ottenere
sulla terra se non è tutelato il bene delle persone
e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e
liberamente le ricchezze del loro animo e del loro
ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri
uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e
l'assidua pratica della fratellanza umana sono
assolutamente necessarie per la costruzione della
pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore,
il quale va oltre quanto può apportare la semplice
giustizia.
La pace
terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa
stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che
promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti,
principe della pace, per mezzo della sua croce ha
riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo
l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo
corpo, ha ucciso nella sua carne (166) l'odio e,
nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo
Spirito di amore nel cuore degli uomini.
Pertanto
tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a
praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi
a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace
per implorarla dal cielo e per attuarla.
Mossi dal
medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro
che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione
dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa
che sono, del resto, alla portata anche dei più
deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio
dei diritti e dei doveri degli altri o della
comunità.
Gli uomini,
in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la
minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma
in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1
peccato essi vincono anche la violenza, fino alla
realizzazione di quella parola divina « Con le loro
spade costruiranno aratri e falci con le loro lance;
nessun popolo prenderà più le armi contro un altro
popolo, né si eserciteranno più per la guerra» (Is
2,4).
Sezione
1: Necessità di evitare la guerra
79.
Il dovere di mitigare l'inumanità della guerra
Sebbene le
recenti guerre abbiano portato al nostro mondo
gravissimi danni sia materiali che morali, ancora
ogni giorno in qualche punto della terra la guerra
continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal
momento che in essa si fa uso di armi scientifiche
di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre
i combattenti ad una barbarie di gran lunga
superiore a quella dei tempi passati. La complessità
inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete
delle relazioni internazionali fanno sì che vengano
portate in lungo, con nuovi metodi insidiosi e
sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi
il ricorso ai sistemi del terrorismo è considerato
anch'esso una nuova forma di guerra.
Davanti a
questo stato di degradazione dell'umanità, il
Concilio intende innanzi tutto richiamare alla mente
il valore immutabile del diritto naturale delle
genti e dei suoi principi universali. La stessa
coscienza del genere umano proclama quei principi
con sempre maggiore fermezza e vigore. Le azioni
pertanto che deliberatamente si oppongono a quei
principi e gli ordini che comandano tali azioni sono
crimini, né l'ubbidienza cieca può scusare coloro
che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi
tutto annoverati i metodi sistematici di sterminio
di un intero popolo, di una nazione o di una
minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato
con estremo rigore. Deve invece essere sostenuto il
coraggio di coloro che non temono di opporsi
apertamente a quelli che ordinano tali misfatti.
Esistono,
in materia di guerra, varie convenzioni
internazionali, che un gran numero di nazioni ha
sottoscritto per rendere meno inumane le azioni
militari e le loro conseguenze. Tali sono le
convenzioni relative alla sorte dei militari feriti
o prigionieri e molti impegni del genere. Tutte
queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi
le pubbliche autorità e gli esperti in materia
dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro
possibile, affinché siano perfezionate, in modo da
renderle capaci di porre un freno più adatto ed
efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre
conforme ad equità che le leggi provvedano
umanamente al caso di coloro che, per motivi di
coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre
tuttavia accettano qualche altra forma di servizio
della comunità umana.
La guerra
non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E
fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non
ci sarà un'autorità internazionale competente,
munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte
le possibilità di un pacifico accomodamento, non si
potrà negare ai governi il diritto di una legittima
difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la
responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il
dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono
stati loro affidati, trattando con grave senso di
responsabilità cose di così grande importanza. Ma
una cosa è servirsi delle armi per difendere i
giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler
imporre il proprio dominio su altre nazioni. La
potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso
militare o politico. Né per il fatto che una guerra
è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per
questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.
Coloro poi
che al servizio della patria esercitano la loro
professione nelle file dell'esercito, si considerino
anch'essi come servitori della sicurezza e della
libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il
loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla
stabilità della pace.
80.
La guerra totale
Il
progresso delle armi scientifiche ha enormemente
accresciuto l'orrore e l'atrocità della guerra. Le
azioni militari, infatti, se condotte con questi
mezzi, possono produrre distruzioni immani e
indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga
i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di
tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali
delle grandi potenze, venissero pienamente
utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché
totale distruzione delle parti contendenti, senza
considerare le molte devastazioni che ne
deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti
letali che sono la conseguenza dell'uso di queste
armi.
Tutte
queste cose ci obbligano a considerare l'argomento
della guerra con mentalità completamente nuova
(167). Sappiano gli uomini di questa età che
dovranno rendere severo conto dei loro atti di
guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà
in gran parte dalle loro decisioni di oggi.
Avendo ben
considerato tutte queste cose, questo sacro
Concilio, facendo proprie le condanne della guerra
totale già pronunciate dai recenti sommi Pontefici
dichiara (168):
Ogni atto
di guerra, che mira indiscriminatamente alla
distruzione di intere città o di vaste regioni e dei
loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la
stessa umanità e va condannato con fermezza e senza
esitazione.
Il rischio
caratteristico della guerra moderna consiste nel
fatto che essa offre quasi l'occasione a coloro che
posseggono le più moderne armi scientifiche di
compiere tali delitti e, per una certa inesorabile
concatenazione, può sospingere le volontà degli
uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque
non debba mai più accadere questo in futuro, i
vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano
tutti, in modo particolare i governanti e i supremi
comandanti militari a voler continuamente
considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità
intera, l'enorme peso della loro responsabilità.
81.
La corsa agli armamenti
Le armi
scientifiche, è vero, non vengono accumulate con
l'unica intenzione di poterle usare in tempo di
guerra. Poiché infatti si ritiene che la solidità
della difesa di ciascuna parte dipenda dalla
possibilità fulminea di rappresaglie, questo
ammassamento di armi, che va aumentando di anno in
anno, serve, in maniera certo paradossale, a
dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di
guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più
efficace per assicurare oggi una certa pace tra le
nazioni.
Qualunque
cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo,
si convincano gli uomini che la corsa agli
armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni,
non è una via sicura per conservare saldamente la
pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può
essere considerato pace vera e stabile. Le cause di
guerra, anziché venire eliminate da tale corsa,
minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E
mentre si spendono enormi ricchezze per la
preparazione di armi sempre nuove, diventa poi
impossibile arrecare sufficiente rimedio alle
miserie così grandi del mondo presente. Anziché
guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i
popoli, si finisce per contagiare anche altre parti
del mondo. Nuove strade converrà cercare partendo
dalla riforma degli spiriti, perché possa essere
rimosso questo scandalo e al mondo, liberato
dall'ansietà che l'opprime, possa essere restituita
una pace vera.
È
necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la
corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi
dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i
poveri; e c'è molto da temere che, se tale corsa
continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi,
delle quali va già preparando i mezzi.
Ammoniti
dalle calamità che il genere umano ha rese
possibili, cerchiamo di approfittare della tregua di
cui ora godiamo e che è stata a noi concessa
dall'alto, per prendere maggiormente coscienza della
nostra responsabilità e trovare delle vie per
comporre in maniera più degna dell'uomo le nostre
controversie. La Provvidenza divina esige da noi con
insistenza che liberiamo noi stessi dall'antica
schiavitù della guerra.
Se poi
rifiuteremo di compiere tale sforzo non sappiamo
dove ci condurrà la strada perversa per la quale ci
siamo incamminati.
82.
La condanna assoluta della guerra e l'azione
internazionale per evitarla
È chiaro
pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per
preparare quel tempo nel quale, mediante l'accordo
delle nazioni, si potrà interdire del tutto
qualsiasi ricorso alla guerra. Questo naturalmente
esige che venga istituita un'autorità pubblica
universale, da tutti riconosciuta, la quale sia
dotata di efficace potere per garantire a tutti i
popoli sicurezza, osservanza della giustizia e
rispetto dei diritti. Ma prima che questa
auspicabile autorità possa essere costituita, è
necessario che le attuali supreme istanze
internazionali si dedichino con tutto l'impegno alla
ricerca dei mezzi più idonei a procurare la
sicurezza comune. La pace deve sgorgare spontanea
dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che
essere imposta ai popoli dal terrore delle armi.
Pertanto tutti debbono impegnarsi con alacrità per
far cessare finalmente la corsa agli armamenti.
Perché la riduzione degli armamenti incominci
realmente, non deve certo essere fatta in modo
unilaterale, ma con uguale ritmo da una parte e
dall'altra, in base ad accordi comuni e con
l'adozione di efficaci garanzie (169).
Non sono
frattanto da sottovalutare gli sforzi già fatti e
che si vanno tuttora facendo per allontanare il
pericolo della guerra. Va piuttosto incoraggiata la
buona volontà di tanti che pur gravati dalle ingenti
preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi
dalla gravissima responsabilità da cui si sentono
vincolati, si danno da fare in ogni modo per
eliminare la guerra, di cui hanno orrore pur non
potendo prescindere dalla complessa realtà delle
situazioni. Bisogna rivolgere incessanti preghiere a
Dio affinché dia loro la forza di intraprendere con
perseveranza e condurre a termine con coraggio
quest'opera del più grande amore per gli uomini, per
mezzo della quale si costruisce virilmente
l'edificio della pace. Tale opera esige oggi
certamente che essi dilatino la loro mente e il loro
cuore al di là dei confini della propria nazione,
deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione
di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un
profondo rispetto verso tutta l'umanità, avviata
ormai così faticosamente verso una maggiore unità.
Per ciò che
riguarda i problemi della pace e del disarmo,
bisogna tener conto degli studi approfonditi, già
coraggiosamente e instancabilmente condotti e dei
consessi internazionali che trattarono questi
argomenti e considerarli come i primi passi verso la
soluzione di problemi così gravi; con maggiore
insistenza ed energia dovranno quindi essere
promossi in avvenire, al fine di ottenere risultati
concreti. Stiano tuttavia bene attenti gli uomini a
non affidarsi esclusivamente agli sforzi di alcuni,
senza preoccuparsi minimamente dei loro propri
sentimenti. I capi di Stato, infatti, i quali sono
mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e
fautori insieme del bene della umanità intera,
dipendono in massima parte dalle opinioni e dai
sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che
essi si adoperino con tenacia a costruire la pace,
finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di
diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie
dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli
altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una
rinnovata educazione degli animi e di un nuovo
orientamento nell'opinione pubblica. Coloro che si
dedicano a un'opera di educazione, specie della
gioventù, e coloro che contribuiscono alla
formazione della pubblica opinione, considerino loro
dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti
sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di
noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo
gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose
che gli uomini possono compiere insieme per condurre
l'umanità verso un migliore destino.
Né ci
inganni una falsa speranza. Se non verranno in
futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace
universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia,
L'umanità che, pur avendo compiuto mirabili
conquiste nel campo scientifico, si trova già in
grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a
quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra pace
che la pace terribile della morte.
La Chiesa
di Cristo nel momento in cui, posta in mezzo alle
angosce del tempo presente, pronuncia tali parole,
non cessa tuttavia di nutrire la più ferma speranza.
Agli uomini della nostra età essa intende presentare
con insistenza, sia che l'accolgano favorevolmente,
o la respingano come importuna, il messaggio degli
apostoli: a Ecco ora il tempo favorevole » per
trasformare i cuori, «ecco ora i giorni della
salvezza» (170).
Sezione
2: La costruzione della comunità internazionale
83.
Le cause di discordia e i loro rimedi
L'edificazione della pace esige prima di tutto che,
a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le
cause di discordia che fomentano le guerre. Molte
occasioni provengono dalle eccessive disparità
economiche e dal ritardo con cui vi si porta il
necessario rimedio. Altre nascono dallo spirito di
dominio, dal disprezzo delle persone e, per
accennare ai motivi più reconditi, dall'invidia,
dalla diffidenza, dall'orgoglio e da altre passioni
egoistiche. Poiché gli uomini non possono tollerare
tanti disordini avviene che il mondo, anche quando
non conosce le atrocità della guerra, resta tuttavia
continuamente in balia di lotte e di violenze. I
medesimi mali si riscontrano inoltre nei rapporti
tra le nazioni. Quindi per vincere e per prevenire
questi mali, per reprimere lo scatenamento della
violenza, è assolutamente necessario che le
istituzioni internazionali sviluppino e consolidino
la loro cooperazione e la loro coordinazione e che,
senza stancarsi, si stimoli la creazione di
organismi idonei a promuovere la pace.
84.
La comunità delle nazioni e le istituzioni
internazionali
Dati i
crescenti e stretti legami di mutua dipendenza
esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i popoli
della terra, la ricerca adeguata e il raggiungimento
efficace del bene comune richiedono che la comunità
delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi
compiti attuali, tenendo particolarmente conto di
quelle numerose regioni che ancor oggi si trovano in
uno stato di intollerabile miseria.
Per
conseguire questi fini, le istituzioni
internazionali devono, ciascuna per la loro parte,
provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto
nel campo della vita sociale (cui appartengono
l'alimentazione, la salute, la educazione, il
lavoro), quanto in alcune circostanze particolari
che sorgono qua e là: per esempio, la necessità di
aiutare la crescita generale delle nazioni in via di
sviluppo, o ancora il sollievo alle necessità dei
profughi in ogni parte del mondo, o degli emigrati e
delle loro famiglie.
Le
istituzioni internazionali, tanto universali che
regionali già esistenti, si sono rese certamente
benemerite del genere umano. Esse rappresentano i
primi sforzi per gettare le fondamenta
internazionali di tutta la comunità umana al fine di
risolvere le più gravi questioni del nostro tempo:
promuovere il progresso in ogni luogo della terra e
prevenire la guerra sotto qualsiasi forma. In tutti
questi campi, la Chiesa si rallegra dello spirito di
vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non
cristiani, e dello sforzo d'intensificare i
tentativi intesi a sollevare l'immane miseria.
85.
La cooperazione internazionale sul piano economico
La
solidarietà attuale del genere umano impone anche
che si stabilisca una maggiore cooperazione
internazionale in campo economico. Se infatti quasi
tutti i popoli hanno acquisito l'indipendenza
politica, si è tuttavia ancora lontani dal potere
affermare che essi siano liberati da eccessive
ineguaglianze e da ogni forma di dipendenza abusiva,
e che sfuggano al pericolo di gravi difficoltà
interne.
Lo sviluppo
d'un paese dipende dalle sue risorse in uomini e in
denaro. Bisogna preparare i cittadini di ogni
nazione, attraverso l'educazione e la formazione
professionale, ad assumere i diversi incarichi della
vita economica e sociale. A tal fine si richiede
l'opera di esperti stranieri, i quali nel prestare
la loro azione, si comportino non come padroni, ma
come assistenti e cooperatori. Senza profonde
modifiche nei metodi attuali del commercio mondiale,
le nazioni in via di sviluppo non potranno ricevere
i sussidi materiali di cui hanno bisogno. Inoltre,
altre risorse devono essere loro date dalle nazioni
progredite, sotto forma di dono, di prestiti e
d'investimenti finanziari: ciò si faccia con
generosità e senza cupidigia, da una parte, e si
ricevano, dall'altra, con tutta onestà.
Per
instaurare un vero ordine economico mondiale,
bisognerà rinunciare ai benefici esagerati, alle
ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione
politica, ai calcoli di natura militaristica e alle
manovre tendenti a propagare e imporre ideologie.
Vari sono i sistemi economici e sociali proposti; è
desiderabile che gli esperti possano trovare in essi
un fondamento comune per un sano commercio mondiale.
Ciò sarà più facile se ciascuno, rinunciando ai
propri pregiudizi, si dispone di buon grado a
condurre un sincero dialogo.
86.
Alcune norme opportune
In vista di
questa cooperazione, sembra utile proporre le norme
seguenti:
a) Le
nazioni in via di sviluppo tendano soprattutto ad
assegnare, espressamente e senza equivoci, come fine
del progresso la piena espansione umana dei
cittadini. Si ricordino che questo progresso trova
innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel
lavoro e nella ingegnosità delle popolazioni stesse,
visto che esso deve sl far leva sugli aiuti esterni,
ma, prima di tutto, sulla valorizzazione delle
proprie risorse nonché sulla propria cultura e
tradizione. In questa materia, quelli che esercitano
sugli altri maggiore influenza devono dare
l'esempio.
b) È dovere
gravissimo delle nazioni evolute di aiutare i popoli
in via di sviluppo ad adempiere i compiti
sopraddetti. Perciò esse procedano a quelle
revisioni interne, spirituali e materiali, richieste
da questa cooperazione universale. Così bisogna che
negli scambi con le nazioni più deboli e meno
fortunate abbiano riguardo al bene di quelle che
hanno bisogno per la loro stessa sussistenza dei
proventi ricavati dalla vendita dei propri prodotti.
c) Spetta
alla comunità internazionale coordinare e stimolare
lo sviluppo, curando tuttavia di distribuire con la
massima efficacia ed equità le risorse a ciò
destinate. Salvo il principio di sussidiarietà, ad
essa spetta anche di ordinare i rapporti economici
mondiali secondo le norme della giustizia.
Si fondino
istituti capaci di promuovere e di regolare il
commercio internazionale, specialmente con le
nazioni meno sviluppate, e destinati pure a
compensare gli inconvenienti che derivano
dall'eccessiva disuguaglianza di potere fra le
nazioni. Accanto all'aiuto tecnico, culturale e
finanziario, un simile ordinamento dovrebbe mettere
a disposizione delle nazioni in via di sviluppo le
risorse necessarie ad ottenere una crescita
soddisfacente della loro economia.
d) In molti
casi è urgente procedere a una revisione delle
strutture economiche e sociali. Ma bisogna guardarsi
dalle soluzioni tecniche premature, specialmente da
quelle che, mentre offrono all'uomo certi vantaggi
materiali, si oppongono al suo carattere spirituale
e alla sua crescita. Poiché « non di solo pane vive
l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di
Dio » (Mt 4,4). Ogni parte della famiglia umana reca
in sé e nelle sue migliori tradizioni qualcosa di
quel tesoro spirituale che Dio ha affidato
all'umanità, anche se molti ignorano da quale fonte
provenga.
87.
La cooperazione internazionale e l'accrescimento
demografico
La
cooperazione internazionale è indispensabile
soprattutto quando si tratta dei popoli che, fra le
molte altre difficoltà, subiscono oggi in modo tutto
speciale quelle derivanti da un rapido incremento
demografico. È urgente e necessario ricercare come,
con la cooperazione intera ed assidua di tutti,
specie delle nazioni più favorite, si possa
procurare e mettere a disposizione dell'intera
comunità umana quei beni che sono necessari alla
sussistenza e alla conveniente istruzione di
ciascuno. Alcuni popoli potrebbero migliorare
seriamente le loro condizioni di vita se,
debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi
di agricoltura ai nuovi procedimenti tecnici di
produzione, applicandoli con la prudenza necessaria
alla situazione propria e se instaurassero inoltre
un migliore ordine sociale e attuassero una più
giusta distribuzione della proprietà terriera.
Nei limiti
della loro competenza, i governi hanno diritti e
doveri per ciò che concerne il problema demografico
della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda
la legislazione sociale e familiare, le migrazioni
dalla campagna alle città, o quando si tratta
dell'informazione relativa alla situazione e ai
bisogni del paese. Oggi gli animi sono molto agitati
da questi problemi. Si deve quindi sperare che
cattolici competenti in tutte queste materie, in
particolare nelle università, proseguano
assiduamente gli studi già iniziati e li sviluppino
maggiormente.
Poiché
molti affermano che l'accrescimento demografico nel
mondo, o almeno in alcune nazioni, debba essere
frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non
importa quale intervento dell'autorità pubblica, il
Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni
contrarie alla legge morale, siano esse promosse o
imposte pubblicamente o in privato. Infatti, in
virtù del diritto inalienabile dell'uomo al
matrimonio e alla generazione della prole, la
decisione circa il numero dei figli da mettere al
mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non
può in nessun modo essere lasciata alla discrezione
dell'autorità pubblica. Ma siccome questo giudizio
dei genitori suppone una coscienza ben formata, è di
grande importanza dare a tutti il modo di accedere a
un livello di responsabilità conforme alla morale e
veramente umano, nel rispetto della legge divina e
tenendo conto delle circostanze. Tutto ciò esige un
po' dappertutto un miglioramento dei mezzi
pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto
una formazione religiosa o almeno una solida
formazione morale. Le popolazioni poi siano
opportunamente informate sui progressi della scienza
nella ricerca di quei metodi che potranno aiutare i
coniugi in materia di regolamentazione delle
nascite, una volta che sia ben accertato il valore
di questi metodi e stabilito il loro accordo con la
morale.
88.
Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi
I cristiani
cooperino volentieri e con tutto il cuore
all'edificazione dell'ordine internazionale, nel
rispetto delle legittime libertà e in amichevole
fraternità con tutti. Tanto più che la miseria della
maggior parte del mondo è così grande che il Cristo
stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce
alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo
scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per
la maggior parte si dicono cristiani, godono d'una
grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive
del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla
malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di
povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno
della Chiesa di Cristo.
Sono,
pertanto, da lodare e da incoraggiare quei
cristiani, specialmente i giovani, che
spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri
uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto il
popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi
vescovi, sollevare, nella misura delle proprie
forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo
l'antico uso della Chiesa, attingendo non solo dal
superfluo, ma anche dal necessario.
Le collette
e la distribuzione dei soccorsi materiali, senza
essere organizzate in una maniera troppo rigida e
uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano,
nazionale e mondiale; ovunque la cosa sembri
opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici
e altri fratelli cristiani. Infatti lo spirito di
carità non si oppone per nulla all'esercizio
provvido e ordinato dell'azione sociale e
caritativa; anzi l'esige. È perciò necessario che
quelli che vogliono impegnarsi al servizio delle
nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione
adeguata in istituti specializzati.
89.
Efficace presenza della Chiesa nella comunità
internazionale
La Chiesa,
in virtù della sua missione divina, predica il
Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le
genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in
ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della
legge divina e naturale a solido fondamento della
solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le
nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere assolutamente
presente nella stessa comunità delle nazioni, per
incoraggiare e stimolare gli uomini alla
cooperazione vicendevole. E ciò, sia attraverso le
sue istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale
collaborazione di tutti i cristiani animata
dall'unico desiderio di servire a tutti.
Per
raggiungere questo fine in modo più efficace, i
fedeli stessi, coscienti della loro responsabilità
umana e cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare
la volontà di pronta collaborazione con la comunità
internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di
vita. Si abbia una cura particolare di formare in
ciò i giovani, sia nell'educazione religiosa che in
quella civile.
90.
La partecipazione dei cristiani alle istituzioni
internazionali
Indubbiamente una forma eccellente d'impegno per i
cristiani in campo internazionale è l'opera che si
presta, individualmente o associati, all'interno
degli istituti già esistenti o da costituirsi, con
il fine di promuovere la collaborazione tra le
nazioni. Inoltre, le varie associazioni cattoliche
internazionali possono servire in tanti modi
all'edificazione della comunità dei popoli nella
pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà
rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori ben
formati, con i necessari sussidi e mediante un
adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri
giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di
dialogo esigono iniziative collettive. Per di più
simili associazioni giovano non poco a istillare
quel senso universale, che tanto conviene ai
cattolici, e a formare la coscienza di una
responsabilità e di una solidarietà veramente
universali.
Infine è
auspicabile che i cattolici si studino di cooperare,
in maniera fattiva ed efficace, sia con i fratelli
separati, i quali pure fanno professione di carità
evangelica, sia con tutti gli uomini desiderosi
della pace vera. Adempiranno così debitamente al
loro dovere in seno alla comunità internazionale. Il
Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che
ancora affliggono la maggior parte del genere umano,
ritiene assai opportuna la creazione d'un organismo
della Chiesa universale, al fine di fomentare
dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i
poveri. Tale organismo avrà per scopo di stimolare
la comunità cattolica a promuovere lo sviluppo delle
regioni bisognose e la giustizia sociale tra le
nazioni.
CONCLUSIONE
91.
Compiti dei singoli fedeli e delle Chiese
particolari
Quanto
viene proposto da questo santo Sinodo fa parte del
tesoro dottrinale della Chiesa e intende aiutare
tutti gli uomini del nostro tempo--sia quelli che
credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo
riconoscono - affinché, percependo più chiaramente
la pienezza della loro vocazione, rendano il mondo
più conforme all'eminente dignità dell'uomo,
aspirino a una fratellanza universale poggiata su
fondamenti più profondi, e possano rispondere, sotto
l'impulso dell'amore, con uno sforzo generoso e
congiunto agli appelli più pressanti della nostra
epoca.
Certo
dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e
delle forme di civiltà, questa presentazione non ha
volutamente, in numerosi punti, che un carattere del
tutto generale; anzi, quantunque venga presentata
una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non
raramente si tratta di realtà soggette a continua
evoluzione, l'insegnamento presentato qui dovrà
essere continuato ed ampliato.
Tuttavia
confidiamo che le molte cose che abbiamo esposto,
basandoci sulla parola di Dio e sullo spirito del
Vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti,
soprattutto dopo che i cristiani, sotto la guida dei
pastori, ne avranno portato a compimento
l'adattamento ai singoli popoli e alle varie
mentalità.
92.
Il dialogo fra tutti gli uomini
La Chiesa,
in forza della missione che ha di illuminare tutto
il mondo con il messaggio evangelico e di radunare
in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque
nazione, razza e civiltà, diventa segno di quella
fraternità che permette e rafforza un sincero
dialogo.
Ciò esige
che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la
mutua stima, il rispetto e la concordia,
riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire
un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che
formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei
pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più
forti infatti le cose che uniscono i fedeli che
quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose
necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto
carità (171).
Il nostro
pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e
alle loro comunità, che non vivono ancora in piena
comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella
confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità
dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da
molti che non credono in Cristo.
Quanto più,
in effetti, questa unità crescerà nella verità e
nell'amore, sotto la potente azione dello Spirito
Santo, tanto più essa diverrà per il mondo intero un
presagio di unità e di pace. Perciò, unendo le
nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre
più adeguati al conseguimento efficace di così alto
fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare
fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni
giorno maggiore, al servizio della famiglia umana
che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la
famiglia dei figli di Dio.
Rivolgiamo
anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono
in Dio e che conservano nelle loro tradizioni
preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci
che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad
accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a
portarli a compimento con alacrità.
Per quanto
ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo
che sia ispirato dal solo amore della verità e
condotto con la opportuna prudenza, non esclude
nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori
umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né
coloro che si oppongono alla Chiesa e la
perseguitano in diverse maniere.
Essendo Dio
Padre principio e fine di tutti, siamo tutti
chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a
una sola e identica vocazione umana e divina, senza
violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo
lavorare insieme alla costruzione del mondo nella
vera pace.
93.
Un mondo da costruire e da condurre al suo fine
I
cristiani, ricordando le parole del Signore: «in
questo conosceranno tutti che siete i miei
discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv
13,35), niente possono desiderare più ardentemente
che servire con maggiore generosità ed efficacia gli
uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo
fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua
forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano
la giustizia, hanno assunto un compito immenso da
adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere
conto a colui che tutti giudicherà nell'ultimo
giorno.
Non tutti
infatti quelli che dicono: « Signore, Signore »,
entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno
la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono
(172). Perché la volontà del Padre è che in tutti
gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo
Cristo fratello, con la parola e con l'azione,
rendendo così testimonianza alla verità, e
comunichiamo agli altri il mistero dell'amore del
Padre celeste.
Così
facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della
terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo,
affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e
felicità somma, nella patria che risplende della
gloria del Signore. « A colui che, mediante la
potenza che opera in noi, può compiere infinitamente
di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o
pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in
Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei
secoli. Amen» (Ef 3,20-21).
Tutte e
singole le cose stabilite in questo Decreto sono
piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in
virtù della potestà Apostolica conferitaci da
Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello
Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le
stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso
comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.
Roma,
presso San Pietro
7 dicembre
1965.
Io PAOLO
Vescovo della Chiesa Cattolica
Seguono le firme dei Padri.
SOSPENSIONE DELLA LEGGE PER I
DECRETI PROMULGATI NELLA SESSIONE IX
Il
Beatissimo Padre ha stabilito la dilazione, quanto
alle nuove leggi che sono contenute nei decreti ora
promulgati, fino al 29 giugno 1966, cio fino alla
festa dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo dell’anno
prossimo.
Nel
frattempo il Sommo Pontefice emaner le norme per
l’applicazione di dette leggi.
† Pericle
Felici
Arcivescovo tit. di Samosata
Segretario Generale del Ss.
Concilio
Firme dei Padri
Ego PAULUS
Catholicae Ecclesiae Episcopus
† Ego
EUGENIUS Episcopus Ostiensis ac Portuensis et S.
Rufinae Cardinalis TISSERANT, Sacri Collegii
Decanus.
† Ego
IOSEPHUS Episcopus Albanensis Cardinalis PIZZARDO.
† Ego
BENEDICTUS Episcopus Praenestinus Cardinalis ALOISI
MASELLA.
† Ego
FERDINANDUS Episcopus tit. Veliternus Cardinalis
CENTO.
† Ego
HAMLETUS IOANNES Episcopus tit. Tusculanus
Cardinalis CICOGNANI.
† Ego
IOSEPHUS Episcopus tit. Sabinensis et Mandelensis
Cardinalis FERRETTO.
† Ego
IGNATIUS GABRIEL Cardinalis TAPPOUNI, Patriarcha
Antiochenus Syrorum.
† Ego
MAXIMUS IV Cardinalis SAIGH, Patriarcha Antiochenus
Melkitarum.
† Ego
PAULUS PETRUS Cardinalis MEOUCHI, Patriarcha
Antiochenus Maronitarum.
† Ego
STEPHANUS I Cardinalis SIDAROUSS, Patriarcha
Alexandrinus Coptorum.
† Ego
EMMANUEL TIT. Ss. Marcellini et Petri Presbyter
Cardinalis GONÇALVES CEREJEIRA, Patriarcha
Lisbonensis.
† Ego
ACHILLES titulo S. Sixti Presbyter Cardinalis
LIÉNART, Episcopus Insulensis.
Ego IACOBUS
ALOISIUS titulo S. Laurentii in Damaso Presbyter
Cardinalis COPELLO, S. R. E. Cancellarius.
Ego
GREGORIUS PETRUS titulo S. Bartholomaei in Insula
Presbyter Cardinalis AGAGIANIAN.
† Ego
VALERIANUS titulo S. Mariae in Via Lata Presbyter
Cardinalis GRACIAS, Archiepiscopus Bombayensis.
† Ego
IOANNES titulo S. Marci Presbyter Cardinalis URBANI,
Patriarcha Venetiarum.
Ego PAULUS
titulo S. Mariae in Vallicella Presbyter Cardinalis
GIOBBE, S. R. E. Datarius.
† Ego
IOSEPHUS titulo S. Honuphrii in Ianiculo Presbyter
Cardinalis GARIBI Y RIVERA, Archiepiscopus
Guadalajarensis.
Ego CAROLUS
titulo S. Agnetis extra moenia Presbyter Cardinalis
CONFALONIERI.
† Ego
PAULUS titulo Ss. Quirici et Iulittae Presbyter
Cardinalis RICHAUD, Archiepiscopus Burdigalensis.
† Ego
IOSEPHUS M. titulo Ss. Viti, Modesti et Crescentiae
Presbyter Cardinalis BUENO Y MONREAL, Archiepiscopus
Hispalensis.
† Ego
FRANCISCUS titulo S. Eusebii Presbyter Cardinalis
KÖNIG, Archiepiscopus Vindobonensis.
† Ego
IULIUS titulo S. Mariae Scalaris Presbyter
Cardinalis DÖPFNER, Archiepiscopus Monacensis et
Frisingensis.
Ego PAULUS
titulo S. Andreae Apostoli de Hortis Presbyter
Cardinalis MARELLA.
Ego
GUSTAVUS titulo S. Hieronymi Illyricorum Presbyter
Cardinalis TESTA.
Ego
ALOISIUS titulo S. Andreae de Valle Presbyter
Cardinalis TRAGLIA.
† Ego
PETRUS TATSUO titulo S. Antonii Patavini de Urbe
Presbyter Cardinalis DOI, Archiepiscopus Tokiensis.
† Ego
IOSEPHUS titulo S. Ioannis Baptistae Florentinorum
Presbyter Cardinalis LEFEBVRE, Archiepiscopus
Bituricensis.
† Ego
BERNARDUS titulo S. Ioachimi Presbyter Cardinalis
ALFRINK, Archiepiscopus Ultraiectensis.
† Ego
RUFINUS I. titulo S. Mariae ad Montes Presbyter
Cardinalis SANTOS, Archiepiscopus Manilensis.
† Ego
LAUREANUS titulo S. Francisci Assisiensis ad Ripam
Maiorem Presbyter Cardinalis RUGAMBWA, Episcopus
Bukobaënsis.
† Ego
IOSEPHUS titulo Ssmi Redemptoris et S. Alfonsi in
Exquiliis Presbyter Cardinalis RITTER,
Archiepiscopus S. Ludovici.
† Ego
IOANNES titulo S. Silvestri in Capite Presbyter
Cardinalis HEENAN, Archiepiscopus
Vestmonasteriensis, Primas Angliae.
† Ego
IOANNES titulo Ssmae Trinitatis in Monte Pincio
Presbyter Cardinalis VILLOT, Archiepiscopus
Lugdunensis et Viennensis, Primas Galliae.
† Ego
PAULUS titulo S. Camilli de Lellis ad Hortos
Sallustianos Presbyter Cardinalis ZOUNGRANA,
Archiepiscopus Uagaduguensis.
† Ego
HENRICUS titulo S. Agathae in Urbe Presbyter
Cardinalis DANTE.
Ego CAESAR
titulo D.nae N.ae a Sacro Corde in Circo Agonali
Presbyter Cardinalis ZERBA.
† Ego
AGNELLUS titulo Praecelsae Dei Matris Presbyter
Cardinalis ROSSI, Archiepiscopus S. Pauli in
Brasilia.
† Ego
IOANNES titulo S. Martini in Montibus Presbyter
Cardinalis COLOMBO, Archiepiscopus Mediolanensis.
† Ego
GUILLELMUS titulo S. Patricii ad Villam Ludovisi
Presbyter Cardinalis CONWAY, Archiepiscopus
Armachanus, totius Hiberniae Primas.
† Ego
ANGELUS titulo Sacri Cordis Beatae Mariae Virginis
ad forum Euclidis Presbyter Cardinalis HERRERA,
Episcopus Malacitanus.
Ego
ALAPHRIDUS S. Mariae in Domnica Protodiaconus
Cardinalis OTTAVIANI.
Ego
ALBERTUS S. Pudentianae Diaconus Cardinalis DI
JORIO.
Ego
FRANCISCUS S. Mariae in Cosmedin Diaconus Cardinalis
ROBERTI.
Ego
ARCADIUS SS. Blasii et Caroli ad Catinarios Diaconus
Cardinalis LARRAONA.
Ego
FRANCISCUS SS. Cosmae et Damiani Diaconus Cardinalis
MORANO.
Ego
GUILLELMUS THEODORUS S. Theodori in Palatio
Cardinalis HEARD.
Ego
AUGUSTINUS S. Sabae Diaconus Cardinalis BEA.
Ego
ANTONIUS S. Eugenii Diaconus Cardinalis BACCI.
Ego FRATER
MICHAEL S. Pauli in Arenula Diaconus Cardinalis
BROWNE.
Ego
FRIDERICUS S. Ioannis Bosco in via Tusculana
Diaconus Cardinalis Callori DI VIGNALE
NOTE
(1) La Costituzione Pastorale
"Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo" consta di due
parti, ma un tutto unitario. La Costituzione detta
"Pastorale" perché, basata sui principi dottrinali,
intende esporre l’atteggiamento della Chiesa verso
il mondo e gli uomini d’oggi. Non manca dunque né
l’intento pastorale nella prima parte, né l’intento
dottrinale nella seconda. Nella prima parte la
Chiesa sviluppa la sua dottrina sull’uomo, sul mondo
nel quale l’uomo inserito e sul suo rapporto con
queste realtà . Nella seconda considera pi da vicino
i diversi aspetti della vita odierna e della società
umana, e precisamente in particolare le questioni e
i problemi che ai nostri tempi sembrano pi urgenti
in questo campo. Per cui in questa seconda parte la
materia, soggetta ai principi dottrinali, consta di
elementi non solo immutabili, ma anche contingenti.
Perciò la Costituzione dev’essere interpretata
secondo le norme generali dell’interpretazione
teologica, e ciò tenendo conto, soprattutto nella
sua seconda parte, delle mutevoli circostanze con le
quali sono connessi, per loro natura, gli argomenti
di cui si tratta.
(2) Cf. Gv 18,37.
(3) Cf. Gv 3,17; Mt
20,28; Mc 10,45.
(4) Cf. Rm 7,14ss.
(5) Cf. 2 Cor 5,15.
(6) Cf. At 4,12.
(7) Cf. Eb 13,8.
(8) Cf. Col 1,15.
(9) Cf. Gen 1,26; Sap 2,23.
(10) Cf. Sir 17,3-10.
(11) Cf. Rm 1,21-25.
(12) Cf. Gv 8,34.
(13) Cf. Dn 3,57-90.
(14) Cf. 1 Cor 6,13-20.
(15) Cf. 1 Sam 16,7; Ger
17,10.
(16) Cf. Sir 17,7-8.
(17) Cf. Rm 2,14-16.
(18) Cf. PIO XII, Messaggio
radiofonico sulla retta formazione della coscienza
cristiana nei giovani,
La famiglia è la culla, 23 marzo 1952: AAS
44 (1952), p. 271.
(19) Cf. Mt 22,37-40;
Gal 5,14.
(20) Cf. Sir 15,14.
(21) Cf. 2 Cor 5,10.
(22) Cf. Sap 1,13; 2,23-24;
Rm 5,21; 6,23; Gc 1,15.
(23) Cf. 1 Cor 15,56-57.
(24) Cf. PIO XI, Encicl.
Divini Redemptoris, 19 marzo 1937: AAS 29
(1937), pp. 65-106 [in parte Dz 3771-74]; PIO XII,
Encicl.
Ad Apostolorum Principis,
29 giugno 1958: AAS 50 (1958), pp. 601-614; GIOVANNI
XXIII, Encicl.
Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53
(1961), pp. 451-453; PAOLO VI, Encicl.
Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964),
pp. 651-653.
(25) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965),
p. 12 [pag. 129ss].
(26) Cf. Fil 1,27.
(27) S. AGOSTINO, Confess.,
I,1: PL 32, 661.
(28) Cf. Rm 5,14. Cf.
TERTULLIANO, De carnis resurr., 6: "Tutto
quello che il fango significava, si riferiva a
Cristo, l’uomo futuro": PL 2, 802 (848); CSEL 47, p.
33, l. 12-13.
(29) Cf. 2 Cor 4,4.
(30) Cf. CONCILIO DI COSTANTINOP.
II, can. 7: "Né il Verbo Dio passato nella natura
della carne, né la carne si trasformata nella natura
del Verbo": Dz 219 (428) [Collantes 4.026]. - Cf.
anche CONC. DI COSTANTINOP. III: "Come la
santissima, immacolata, animata sua carne deificata
non fu distrutta ( theótheisa ouk anèrethè), ma
rimase nel suo proprio stato e modo d’essere": Dz
291 (556) [Collantes 4.071]. - Cf. CONC. DI CALCED.:
"Dev’essere riconosciuto inconfusamente,
immutabilmente, senza divisione, inseparabilmente in
due nature": Dz 148 (302) [Collantes 4.012].
(31) Cf. CONC. DI COSTANTINOP.
III: "Così non stata distrutta la sua volontà
umana": Dz 291 (556) [Collantes 4.071].
(32) Cf. Eb 4,15.
(33) Cf. 2 Cor 5,18-19;
Col 1,20-22.
(34) Cf. 1 Pt 2,21; Mt
16,24; Lc 14,27.
(35) Cf. Rm 8,29; Col
1,18.
(36) Cf. Rm 8,1-11.
(37) Cf. 2 Cor 4,14.
(38) Cf. Fil 3,10; Rm
8,17.
(39) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. II, n. 16: AAS 57
(1965), p. 20 [pag. 151ss].
(40) Cf. Rm 8,32.
(41) Cf. Liturgia Paschalis
Bizantina.
(42) Cf. Rm 8,15; Gal
4,6; Gv 1,12 e 1 Gv 3,1-2.
(43) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53
(1961), pp. 401-464 [in parte Dz 3931-53], e Encicl.
Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55
(1963), pp. 257-304 [in parte Dz 3955-97]; PAOLO VI,
Encicl.
Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964),
pp. 609-659.
(44) Cf. Lc 17,33.
(45) Cf. S. TOMMASO, I Ethic.,
Lez. 1.
(46) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 418;
PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno, 15 maggio 1931: AAS 23
(1931), p. 222ss.
(47) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 417.
(48) Cf. Mc 2,27.
(49) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), p. 266.
(50) Cf. Gc 2,15-16.
(51) Cf. Lc 16,19-31.
(52) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 299-300
[in parte Dz 3996-97].
(53) Cf. Lc 6,37-38; Mt
7,1-2; Rm 2,1-11; 14,10-12.
(54) Cf. Mt 5,45-47.
(55) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, Cap. II, n. 9: AAS 57 (1965),
pp. 12-13 [pag. 133ss.
(56) Cf. Es 24,1-8.
(57) Cf. Gen 1,26-27;
9,2-3; Sap 9,2-3.
(58) Cf. Sal 8,7 e 10.
(59) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), p. 297.
(60) Cf. Messaggio a tutti gli
uomini indirizzato dai Padri all’inizio del
Concilio Vaticano II, 20 ott. 1962: AAS 54 (1962),
pp. 822-823 [pag. 1113ss].
(61) Cf. PAOLO VI, Disc. al
Corpo diplomatico, 7 genn. 1965: AAS 57 (1965),
p. 232.
(62) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm.
sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III. Dz
1785-86 (3004-05) [Collantes 1.061-63].
(63) Cf. PIO PASCHINI, Vita e
opere di Galileo Galilei, 2 vol., Pont.
Accademia delle Scienze, Città del Vatic. 1964.
(64) Cf. Mt 24,13; 13,24-30
e 36-43.
(65) Cf. 2 Cor 6,10.
(66) Cf. Gv 1,3 e 14.
(67) Cf. Ef 1,10.
(68) Cf. Gv 3,14-16; Rm
5,8-10.
(69) Cf. At 2,36; Mt
28,18.
(70) Cf. Rm 15,16.
(71) Cf. At 1,7.
(72) Cf. 1 Cor 7,31; S.
IRENEO, Adversus Haereses, V, 36, 1: PG 7,
1222.
(73) Cf. 2 Cor 5,2; 2 Pt
3,13.
(74) Cf. 1 Cor 2,9; Ap
21,4-5.
(75) Cf. 1 Cor 15,42 e 53.
(76) Cf. 1 Cor 13,8; 3,14.
(77) Cf. Rm 8,19-21.
(78) Cf. Lc 9,25.
(79) Cf. PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 207.
(80) Messale romano,
prefazio della festa di Cristo Re.
(81) Cf. PAOLO VI, Encicl.
Ecclesiam suam, III: AAS 56 (1964), pp.
637-659.
(82) Cf. Tt 3,4: «philanthropia».
(83) Cf. Ef
1,3.5-6.13-14.23.
(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965),
p. 12 [pag. 129ss].
(85) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. II, n. 9: AAS 57 (1965),
p. 14 [pag. 133ss]; cf. n. 8: AAS, l.c., p. 11 [pag.
129ss].
(86) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965),
p. 11 [pag. 129ss].
(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. IV, n. 38: AAS 57
(1965), p. 43 [pag. 209ss] con la nota 120.
(88) Cf. Rm 8,14-17.
(89) Cf. Mt 22,39.
(90) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. II, n. 9: AAS 57 (1965),
pp. 12-14 [pag. 133ss].
(91) Cf. PIO XII, Discorso a
cultori di storia e di arte, 9 marzo 1956: AAS
48 (1956), p. 212: “Il suo Divino Fondatore, Gesù
Cristo, non le ha conferito nessun mandato né
fissato alcun fine d’ordine culturale. Lo scopo che
il Cristo le assegna è strettamente religioso (...).
La Chiesa deve condurre gli uomini a Dio, perché si
donino a lui senza riserva (...). La Chiesa non può
perdere mai di vista questo fine strettamente
religioso, soprannaturale. Il senso di ogni sua
attività, fino all’ultimo canone del suo Codice, non
può che riferirsi ad esso direttamente o
indirettamente”.
(92) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. I, n. 1: AAS 57 (1965),
p. 5 [pag. 115].
(93) Cf. Eb 13,14.
(94) Cf. 2 Ts 3,6-13; Ef
4,28.
(95) Cf. Is 58,1-12.
(96) Cf. Mt 23,3-33; Mc
7,10-13.
(97) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra, IV: AAS 53 (1961), pp.
456-457 e I: l.c., pp. 407, 410-411.
(98) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. III, n. 28: AAS 57
(1965), pp. 34-35 [pag. 185ss].
(99) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. III, n. 28: AAS, l.c.,
pp. 35-36 [pag. 185ss].
(100) Cf. S. AMBROGIO, De
virginitate, cap. VIII, n. 48: PL 16, 278.
(101) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. II, n. 15: AAS 57
(1965), p. 20 [pag. 149ss].
(102) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. II, n. 13: AAS 57
(1965), p. 17 [pag. 143ss].
(103) Cf. GIUSTINO, Dialogus
cum Triphone, cap. 110: PG 6, 729; ed. Otto,
1897, pp. 391-393: “...ma quanto più ci vengono
inflitte queste pene, tanto più altri diventano
fedeli e pii per il nome di Gesù”. Cf. TERTULLIANO,
Apologeticus, cap. L, 13: PL 1, 534; Corpus
Christ., ser. lat. I, p. 171: “Diventiamo anzi
sempre di più ogni volta che siamo mietuti da voi:
il sangue dei Cristiani è seme!”). Cf. CONC. VAT.
II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. II, n. 9: AAS 57 (1965),
p. 14 [pag. 133ss].
(104) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. VII, n. 48: AAS 57
(1965), p. 53 [pag. 233ss].
(105) CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. VII, n. 48: AAS 57
(1965), p. 53 [pag. 233ss].
(106) Cf. PAOLO VI, Discorso
pronunciato il 3 feb. 1965: L’Osservatore Romano, 4
febr. 1965.
(107) Cf. S. AGOSTINO, De bono
coniugali: PL 40, 375-376 e 394; S. TOMMASO,
Summa Theol., Suppl. Quaest. 49, art. 3 ad 1;
Decretum pro Armenis: Dz 702 (1327) [Collantes
9.343]; PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS 22 (1930), pp. 543-555;
Dz 2227-28 (3703-14) [in parte anche Collantes
9.381-86].
(108) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii AAS 22 (1930), pp. 546-547;
Dz 2231 (3706) [Collantes 9.383].
(109) Cf. Os 2; Ger
3,6-13; Ez 16 e 23; Is 54.
(110) Cf. Mt 9,15; Mc
2,19-20; Lc 5,34-35; Gv 3,29; 2
Cor 11,2; Ef 5,27; Ap 19,7-8; 21,2
e 9.
(111) Cf. Ef 5,25.
(112) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium: AAS 57 (1965), pp. 15-16;
40-41; 47.
(113) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS 22 (1930), p. 583.
(114) Cf.1 Tm 5,3.
(115) Cf. Ef 5,32.
(116) Cf. Gen 2,22-24;
Pr 5,18-20; 31,10-31; Tb 8,4-8; Ct
1,1-3; 2,16; 4,16-5,1; 7,8-11; 1 Cor 7,3-6;
Ef 5,25-33.
(117) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS 22 (1930), pp. 547-548;
Dz 2232 (3707).
(118) Cf. 1 Cor 7,5.
(119) Cf. PIO XII, Discorso Tra
le visite, 20 gen. 1958: AAS 50 (1958), p. 91.
(120) Cf. PIO XI, Encicl.
Casti Connubii: AAS 22 (1930), pp. 559-561;
Dz 3716-18 [in parte]; PIO XII, Discorso al Convegno
dell’Unione Italiana Ostetriche 29 ott. 1951: AAS 43
(1951), pp. 835-854; PAOLO VI,
Discorso agli Em.mi Padri Cardinali, 23
giugno 1964: AAS 56 (1964) pp. 581-589. Alcuni
problemi, che hanno bisogno di analisi ulteriori e
più approfondite, per ordine del Sommo Pontefice
sono stati demandati alla Commissione per lo studio
della popolazione, della famiglia e della natalità,
perché il Sommo Pontefice dia il suo giudizio dopo
che essa avrà concluso il suo compito. Stando a
questo punto la dottrina del Magistero, il S.
Concilio non intende proporre immediatamente
soluzioni concrete.
(121) Cf. Ef 5,16; Col
4,5.
(122) Cf. Sacramentarium
Gregorianum: PL 78, 262.
(123) Cf. Rm 5,15 e 18;
6,5-11; Gal 2,20.
(124) Cf. Ef 5,25-27.
(125) Cf. Esposizione
introduttiva di questa Costituzione, nn. 4-10
[pag. 849-863].
(126) Cf. Col 3,1-2.
(127) Cf. Gen 1,28.
(128) Cf. Pr 8,30-31.
(129) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer.,
III, 11, 8: ed. Sagnard, p. 200; cf. Ib., 16, 6: pp.
290-292; 21, 10-22: pp. 370-372; 22, 3: p. 378; ecc.
(130) Cf. Ef 1,10.
(131) Cf. le parole di PIO XI
all’Ecc.mo Sig. Roland-Gosselin: “Non bisogna
perdere mai di vista che l’obiettivo della Chiesa è
di evangelizzare e non di civilizzare. Se essa
civilizza, è per l’evangelizzazione” (Semaine
Sociale de Versailles, 1936, pp. 461-462).
(132) Cf. CONC. VAT. I, Cost.
dogm. sulla fede catt. Dei Filius, cap. IV: Dz 1795,
1799 (3015, 3019) [Collantes 1.080-84]. Cf. PIO XI,
Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 190 [in
parte Dz 3725).
(133) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), p. 260 [Dz
3959].
(134) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 283 [Dz
3989]; PIO XII, Messaggio radiofon
Nell'alba e nella luce., 24 dic. 1941: AAS
34 (1942), pp. 16-17.
(135) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 260 [Dz
3960].
(136) Cf. GIOVANNI XXIII,
Discorso tenuto all’inizio del Concilio l’11
ott. 1962: AAS 54 (1962), p. 792 [pag. 1103].
(137) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
sulla Sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, n. 123: AAS 56
(1964), p. 131 [pag. 81ss]; PAOLO VI, Discorso agli
artisti romani, 7 maggio 1964: AAS 56 (1964), pp.
439-442.
(138) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sulla formazione sacerdotale
Optatam totius: e Dich. sull’educazione
cristiana
Gravissimum educationis.
(139) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, cap. IV, n. 37: AAS 57
(1965), pp. 42-43 [pag. 207ss].
(140) Cf. PIO XII, Messaggio
La famiglia è la culla, 23 marzo 1952: AAS
44 (1952), p. 273; GIOVANNI XXIII, Discorso alle
A.C.L.I., 1° maggio 1959: AAS 51 (1959), p. 358.
(141) Cf. PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 190ss
[in parte Dz 3725ss]; PIO XII, Messaggio
La famiglia è la culla, 23 marzo 1952: AAS
44 (1952), p. 276ss; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 450;
CONC. VAT. II, Decreto sugli strum. di comunic.
sociale
Inter mirifica, cap. I, n. 6: AAS 56 (1964),
p. 147 [pag. 99].
(142) Cf. Mt 16,26; Lc
16,1-31; Col 3,17.
(143) Cf. LEONE XIII, Encicl.
Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888:
ASS 20 (1887-1888), pp. 597ss [in parte Dz 3252-53);
PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191ss.;
ID.,
Divini Redemptoris: AAS 29 (1937), p. 65ss;
PIO XII, Messaggio natalizio
Nell'alba e nella luce 1941: AAS 34 (1942),
p 10ss; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp.
401-464 [in parte Dz 3935-53].
(144) Quanto al problema
dell’agricoltura, cf. soprattutto GIOVANNI XXIII,
Encicl
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 431ss.
(145) Cf. LEONE XIII, Encicl.
Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 649-662
[in parte Dz 3268ss]; PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p.
200-201; ID, Encicl.
Divini Redemptoris: AAS 29 (1937), p. 92 [Dz
3774]; PIO XII, Messaggio radiofonico nella vigilia
del Natale del Signore 1942:Con
sempre nuova freschezza AAS 35 (1943), p.
20; ID., Discorso 13 giugno 1943: AAS 35 (1943), p.
172; ID., Messaggio radiofonico diretto agli operai
di Spagna, 11 marzo 1951: AAS 43 (1951), p. 215;
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 419 [Dz
3944].
(146) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 408,
424 [Dz 3948], 427; il termine “curatione”
[=conduzione] è desunto dal testo latino
dell’Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 199 [Dz
3733]. Riguardo all’evoluzione del problema cf.
anche: PIO XII, Discorso 3 giugno 1950: AAS 42
(1950), pp. 485-488; PAOLO VI,
Discorso, 8 giugno 1964: AAS 56 (1964), pp.
574-579.
(147) Cf. PIO XII, Encicl.
Sertum laetitiae: AAS 31 (1939), p. 642;
GIOVANNI XXIII, Discorso concistoriale: AAS 52
(1960), pp. 5-11; ID., Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 411.
(148) Cf. S. TOMMASO, Summa
Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2;
cf. la spiegazione in LEONE XIII, Encicl.
Rerum Novarum: ASS 23 (1890-1891), p. 651
[Dz 3267]; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno
1941: AAS 23 (1941), p. 199; ID., Messaggio
radiofonico natalizio
Ecce ego declinabo 1954: AAS 47 (1955), p.
27.
(149) Cf. S. BASILIO, Hom. in
illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31,
263; LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib.
V, sulla giustizia: PL 6: 565B; S. AGOSTINO, In
Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID.,
Enarratio in Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S.
GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76,
1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars
III, c. 21: PL 77, 87; S. BONAVENTURA, In III Sent.,
d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV
Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b;
Quaest. de superfluo: ms. Assisi, Bibl. comun. 186,
ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a.
3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV
Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX, 494-497. Quanto
alla determinazione del superfluo ai nostri tempi,
cf. GIOVANNI XXIII,
Messaggio radiotelevisivo 11 sett. 1962: AAS
54 (1962), p. 682: “Dovere di ogni uomo, dovere
impellente del cristiano è di considerare il
superfluo con la misura delle necessità altrui, e di
ben vigilare perché l’amministrazione e la
distribuzione dei beni creati venga posta a
vantaggio di tutti”.
(150) Vale in tal caso l’antico
principio: “In estrema necessità tutto è in comune,
cioè da comunicare”. D’altra parte, per il criterio,
l’estensione e il modo con cui si applica il
principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori
moderni, cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II,
q. 66, a. 7. Com’è evidente, per una corretta
applicazione del principio, si devono osservare
tutte le condizioni moralmente richieste.
(151) Cf. Gratiani Decretum,
c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo
detto si trova già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B.
Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366.
(152) Cf. LEONE XII, Encicl.
Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 643-646
[in parte Dz 3265-67]; PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191;
PIO XII,
Messaggio radiofonico 1° giugno 1941: AAS 33
(1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico nella
vigilia del Natale del Signore 1942
Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943),
p. 17; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944
Oggi al compiersi: AAS 36 (1944), p. 253;
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp.
428-429.
(153) Cf. PIO XI, Encicl.
Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 214;
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 429.
(154) Cf. PIO XII,
Messaggio radiofonico per la Pent. 1941: AAS 33
(1941), p. 199; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 430 [Dz
3952].
(155) Per il giusto uso dei beni
secondo la dottrina del Nuovo Testamento cf. Lc
3,11; 10,30ss; 11,41; 1 Pt 5,3; Mc 8,36;
12,29-31; Gc 5,1-6; 1Tm 6,8; Ef 4,28;
2 Cor 8,13ss; 1 Gv 3,17-18.
(156) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 417.
(157) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 417.
(158) Cf. Rm 13,1-5.
(159) Cf. Rm 13,5.
(160) Cf. PIO XII, Messaggio
radiof., 24 dic. 1942
Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943),
pp. 9-24; 24 dic. 1944: AAS 37 (1945), pp. 11-17;
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 263 [Dz
3968], 271, 277-278.
(161) Cf. PIO XII,
Messaggio radiof., 1° giu. 1941: AAS 33 (1941),
p. 200; GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris, l. c., pp. 273-274 [in
parte Dz 3984-85].
(162) Cf. GIOVANNI XXIII, Lett.
Encicl.
Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp.
415-418.
(163) Cf. PIO XI, Discorso Ai
dirigenti della Federazione Universitaria cattolica:
Discorsi di Pio XI: ed. Bertetto, Torino, vol. I,
1960, p. 743.
(164) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), p. 17
[pag. 143ss].
(165) Cf. Lc 2,14.
(166) Cf. Ef 2,16; Col
1,20-22.
(167) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55
(1963), pp. 291: “Perciò in questa nostra età, che
si vanta della forza atomica, è contrario alla
ragione essere sempre predisposti alla guerra per
ricuperare i diritti violati”.
(168) Cf. PIO XII, Discorso 30
set. 1954: AAS 46 (1954), p. 589; ID., Messaggio
radiofonico, 24 dic. 1954
Ecce ego declinabo: AAS 47 (1955), pp. 15ss;
GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 286-291
[in parte Dz 3991]; PAOLO VI, Discorso all’Assemblea
delle Nazioni Unite, 4 ott. 1965: AAS 57 (1965), pp.
877-885.
(169) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Pacem in terris, dove si parla di disarmo:
AAS 55 (1963), p. 287 [Dz 3991].
(170) Cf. 2 Cor 6,2.
(171) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl.
Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51
(1959), p. 513.
(172) Cf. Mt 7,21.
Fonti: Vaticano
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